queste poche righe le ho scritte per il mio compleanno, il 27 febbraio, pubblicate su giualsud.it, un progetto che vi consiglio di seguire.
Sono Trentacinque. Nacqui una domenica di 12.775 giorni fa, fatti i dovuti calcoli (ma non ne sono del tutto sicuro). In tutto questo tempo ho accumulato libri, passioni e solleciti di pagamento.
«È tutto intorno a te» mi dice oggi dice la pubblicità del cellulare. La modella guarda proprio me e lo sussurra, voluttuosa. È tutto intorno a me. Dai, senza pensarci, chiudo gli occhi. Cosa c’è? Vedo i miei trentacinque e una casa piccola in un vicolo stretto: di fronte c’è uno che sta tutta la notte con la porta di casa aperta e litiga con la moglie. Mi giro. Hanno costruito una casa abusiva, non ci vedo ma sento il rumore degli operai, parlano dialetto casertano. Hai presente Ameliè che porta in giro il cieco? Ecco, non gli somiglio per niente.
Sulla destra c’è un palazzo enorme: una volta era la casa dello Studente. Poi è diventata la casa degli sfollati del terremoto e dei tossici, oggi è la casa di nessuno. Il giornale qualche anno fa ci ha fatto un servizio fotografico: hanno trovato un maiale da allevare. Un maiale allevato in pieno centro di Napoli, al rione Sanità. Poi dice che non c’è iniziativa privata.
A sinistra c’è la strada. Il vicolo è un serpente: ci sono le scale che una volta vennero usate per il film in cui Sofia Loren faceva la contrabbandiera di sigarette e Marcello Mastroianni doveva metterla incinta per non farla finire in carcere. Il tutto era ambientato a Forcella, il regista era Vittorio de Sica. Però siccome a Forcella il contrabbando si faceva sul serio e la catena di montaggio non poteva fermarsi mai, De Sica rinunciò al realismo e ripiegò sul vicolo mio.
Scendo più giù. C’è il palazzo dello Spagnuolo nel rione Sanità. Bello, enigmatico. Nanni Loy lo amava follemente, ci ha ambientato un paio di film. Lì doveva esserci il museo di Totò, nato proprio qualche vicolo più su, a Santa Maria Antaesecula. Se n’è parlato tanto e poi nulla. Tengo chiusi gli occhi: una mattina di qualche anno fa in zona ci fu un omicidio di camorra ripreso dalle telecamere in un bar. Il killer uccise e fece le corna. Così, tanto per scaramanzia. Chiudo gli occhi e scendo. Via Foria è il mio ingresso a Napoli. Da lì partono i miei autobus verso le notizie.
Sì: dei trentacinque ne ho spesi quindici per imparare a fare il giornalista. Il fatto che non penso di esserci riuscito mi incasella automaticamente nella schiera dei cronisti timidi. Nel mio mestiere su dieci lavoratori attivi ce ne sono sette precari. L’ho detto così tante volte che qualche mese fa sono finito per urlarlo in Piazza della Signoria a Firenze, con decine di altri giovani giornalisti che mantenevano striscioni e mi ascoltavano. Il giornalismo non è «sempre meglio che lavorare» e non pagare un cronista significa avvelenare il pozzo dell’informazione: l’ho scritto nella tesi di laurea. Non ve l’ho detto ma chiudendo gli occhi finisco per ricordarmi anche questo: mi sono laureato a trentaquattro anni dopo aver passato qualche tempo a interrogarmi sulla semiotica e su quanto fosse difficile la vita di Ivan, del mago e delle vacche di Propp.
Trentacinque anni. Sono nato qualche giorno dopo Sanremo e prima degli Oscar. Capirete la vocazione al protagonismo. E sotto il segno dei Pesci, come dice la canzone che “eravamo io e te e il rock passava lento sulle nostre discussioni”.
La fortuna è che non dovrei per forza definirmi giovane, la sfortuna è che dalle mie parti è meglio farlo. È rassicurante. «Lascia stare, sei giovane. Ma sai io a quanti anni mi sono sistemato?»; «Sei ancora giovane, vedrai a quaranta»; «Signore, volete sedervi?» (no, stronza adolescente sull’autobus, non voglio sedermi ma grazie, che ti possa crepare Justin Bieber).
«È tutto intorno a te», ripete la pubblicità. Riaprendo gli occhi vedo che la modella sorride, ce l’ha proprio con me.
Giù al Sud è davvero tutto intorno a te. E siamo davvero tanto grati a chi ripulisce così bene il vetro blindato da farci sembrare tutto a portata di mano.
«La vita umana non dura che un istante, si dovrebbe trascorrerla a fare ciò che piace. In questo mondo fugace come un sogno vivere nell’affanno è follia, ma non rivelerò questo segreto del mestiere ai giovani, visto come vanno le cose oggi nel mondo potrebbero fraintendermi».
Giovanni Lindo Ferretti (prima che iniziasse lui, il papa e il cattolicesimo)