Il Casalese e il contagocce. Verso l’udienza sul sequestro

Domani, martedì 24, saremo di nuovo al Tribunale di Napoli per sapere cosa ne sarà de Il Casalese. Su questo libro pende una richiesta di sequestro e distruzione delle copie sul mercato più una richiesta di risarcimento danni, intentata da Giovanni Cosentino, fratello del più noto Nicola, pari a 1,2 milioni di euro.

Il giudice è chiamato a valutare solo la richiesta di sequestro e distruzione e spero lo faccia, spero non vi siano ulteriori rinvii: si tratta di una procedura d’urgenza – voluta dai Cosentino – e stavolta speriamo di avere una sentenza. Andare in giro a raccontare del libro sta diventando una esperienza strana: sembra di avere  il contagocce in mano e dover prosciugare un oceano. Ad ogni incontro, presentazione, dibattito, si arriva ad un punto in cui qualcuno dice “quindi questa potrebbe essere l’ultima volta che lo presentate, vero?”. Sì, sembra assurdo ma potrebbe essere l’ultima volta. E lo dico oggi, nella giornata mondiale del libro.

Oggi è morto Totò

La prima pagina del Paese Sera con la morte di Totò

 

L’anniversario della morte di Totò, morto nel 1967, cade il 15 aprile. Questo è il ricordo, commovente, che Eduardo De Filippo fece dalle pagine del ‘Paese Sera’, storico quotidiano comunista nato nel 1948 e chiuso negli anni Novanta. Eduardo fu amico di Totò, lo testimoniano numerose attestazioni di fiducia e affetto, anche alcune belle fotografie. Quando il Principe della Risata se ne andò, il drammaturgo volle affidare un suo ricordo alla penna. Ne uscì qualcosa di puro, antico, di vero e schietto. Un ricordo pubblico perché quello privato, scrisse Eduardo, lo tengo per me.

 

«Erano più colorate le strade di Napoli, più ricche di bancarelle improvvisate di chioschi di acquaioli, più affollate di gente aperta al sorriso allora, quando alle dieci di mattina le attraversavo a passo lesto avevo quattordici anni per trovarmi puntuale al teatro Orfeo, un piccolo, tetro, e lurido locale periferico, dove, in un bugigattolo di camerino dalle pareti gonfie di umidità, per fare quattro chiacchiere tra uno spettacolo e l’altro, mi aspettava un mio compagno sedicenne che lavorava là…

Oggi è morto Totò. E io, quattordicenne di nuovo, a passo lento risalgo la via Chiaia, e giù per il Rettifilo, attraverso piazza Ferrovia. Entro per la porta del palcoscenico di quello sporco locale che a me pare bello e sontuoso, raggiungo il camerino, mi siedo e mentre aspetto ascolto a distanza la sua voce, le note della misera orchestrina che lo accompagna e l’uragano di applausi che parte da quella platea esigente e implacabile a ogni gesto, ogni salto, ogni contorsione, ogni ammiccamento del “guitto”. Do un’occhiata attorno; il fracchettino verde, striminzito, è lì appeso a un chiodo: accanto c’è quello nero. Quello rosso glielo vedrò indosso tra poco, quando avrà terminato il suo numero. I ridicoli cappellini… A bacchetta, a tondino… e nero, marrone, e grigio… sono tutti allineati sulla parete di fronte. ..Manca il tubino: lo vedrò tra poco. Il bastoncino di bambù non c’è: lo avrà portato in scena. E lì, sulla tavoletta del trucco? Cosa c’è in quel pacchetto fatto con la carta di giornale? È la merenda, pane e frittata. E la miserabile musica continua, e la sua voce diventa via via ansiosa di trasportare altrove quella orchestrina, di moltiplicarla. Dal bugigattolo dove mi trovo non mi è dato vederlo lavorare, ma di sentirlo e immaginarlo com’è, come io lo vedo come vorrei che lo vedessero gli altri. Non come una curiosità da teatro, ma come una luce che miracolosamente assume le fattezze di una creatura irreale che ha facoltà di rompere, spezzettare e far cadere a terra i suoi gesti e raccoglierli poi per ricomporli di nuovo, e assomigliare a tutti noi, e che va e viene, viene e va, e poi torna sulla Luna da dove è disceso.

Ora sono travolgenti gli applausi e le grida di entusiasmo di quel pubblico: il numero è finito. Un rumore di passi lenti e stanchi si avvicina, la porticina del bugigattolo viene spinta dall’esterno. Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: ” Edua’, stai cca’! ” E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa».

Eduardo De Filippo – dal Paese Sera del 1967

Per la Coppa America a Napoli 3 milioni in comunicazione. Ma serve un solo giornalista

 

Le preregate della Coppa America di vela che si terranno a Napoli dovrebbero essere – così ci hanno detto – una grande occasione di sport ma anche mediatica ed economica. Dovrebbero rilanciare l’immagine di Napoli e al tempo stesso dare lavoro a molte persone, seppur per limitato tempo. Si parla di un indotto di mille e più persone impegnate per la realizzazione del grande evento.

In questo grande affare, ovviamente serve chi tenga le redini dal punto di vista mediatico. La società organizzatrice di America’s Cup, l’Acea, ha i suoi fortissimi canali, poi ci  sono gli sponsor altrettanto forti, ci sono i team sportivi eccetera. A Napoli ci sarà ovviamente anche un centro media locale. C’è un bando di gara ristretto (ad inviti) per stabilire chi dovrà gestire l’evento partenopeo (dal galà d’apertura alla festa di chiusura agli eventi di intrattenimento fra una giornata e l’altra di regate) e pianificare le uscite pubblicitarie (tv, radio, cartacei, web, affissioni). Parliamo di un affare di 3,2 milioni d’euro.

La cosa che mi colpisce è ovviamente la parte che riguarda i giornalisti. Insomma, l’ufficio stampa della Coppa America targata Napoli. Recita il bando:

L’ufficio stampa dovrà operare con gli uffici stampa dei soggetti che costituiscono l’Acn srl (la società organizzatrice costituita da Comune, Provincia, Regione, Unione industriali ndr.)  e degli organizzatori degli eventi […] La redazione dovrà essere costituita da un esperto del settore, in qualità di responsabile e da un giornalista junior con conoscenze nei settori dello sport, del territorio, dell’utilizzo delle nuove tecnologie  di comunicazione e del marketing.

Stupisce una cosa: com’è possibile che per un evento del genere sia previsto un solo giornalista, uno solo (mi sfugge francamente il significato di giornalista “junior”). Uno che deve sapere di sport e territorio, nonché conoscere comunicazione e marketing. Non so a me inquieta che ogni qual volta si scrivono dei bandi per la comunicazione il ruolo del giornalista venga descritto con superficialità così evidente.

 

È tutto intorno a te

queste poche righe le ho scritte per il mio compleanno, il 27 febbraio, pubblicate su giualsud.it, un progetto che vi consiglio di seguire.

 

Sono Trentacinque. Nacqui una domenica di 12.775 giorni fa, fatti i dovuti calcoli (ma non ne sono del tutto sicuro). In tutto questo tempo ho accumulato libri, passioni e solleciti di pagamento.
«È tutto intorno a te» mi dice oggi dice la pubblicità del cellulare. La modella guarda proprio me e lo sussurra, voluttuosa. È tutto intorno a me. Dai, senza pensarci, chiudo gli occhi. Cosa c’è? Vedo i miei trentacinque e una casa piccola in un vicolo stretto: di fronte c’è uno che sta tutta la notte con la porta di casa aperta e litiga con la moglie. Mi giro. Hanno costruito una casa abusiva, non ci vedo ma sento il rumore degli operai, parlano dialetto casertano. Hai presente Ameliè che porta in giro il cieco? Ecco, non gli somiglio per niente.
Sulla destra c’è un palazzo enorme: una volta era la casa dello Studente. Poi è diventata la casa degli sfollati del terremoto e dei tossici, oggi è la casa di nessuno. Il giornale qualche anno fa ci ha fatto un servizio fotografico: hanno trovato un maiale da allevare. Un maiale allevato in pieno centro di Napoli, al rione Sanità. Poi dice che non c’è iniziativa privata.
A sinistra c’è la strada. Il vicolo è un serpente: ci sono le scale che una volta vennero usate per il film in cui Sofia Loren faceva la contrabbandiera di sigarette e Marcello Mastroianni doveva metterla incinta per non farla finire in carcere. Il tutto era ambientato a Forcella, il regista era Vittorio de Sica. Però siccome a Forcella il contrabbando si faceva sul serio e la catena di montaggio non poteva fermarsi mai, De Sica rinunciò al realismo e ripiegò sul vicolo mio.
Scendo più giù. C’è il palazzo dello Spagnuolo nel rione Sanità. Bello, enigmatico. Nanni Loy lo amava follemente, ci ha ambientato un paio di film. Lì doveva esserci il museo di Totò, nato proprio qualche vicolo più su, a Santa Maria Antaesecula. Se n’è parlato tanto e poi nulla. Tengo chiusi gli occhi: una mattina di qualche anno fa in zona ci fu un omicidio di camorra ripreso dalle telecamere in un bar. Il killer uccise e fece le corna. Così, tanto per scaramanzia. Chiudo gli occhi e scendo. Via Foria è il mio ingresso a Napoli. Da lì partono i miei autobus verso le notizie.
Sì: dei trentacinque ne ho spesi quindici per imparare a fare il giornalista. Il fatto che non penso di esserci riuscito mi incasella automaticamente nella schiera dei cronisti timidi. Nel mio mestiere su dieci lavoratori attivi ce ne sono sette precari. L’ho detto così tante volte che qualche mese fa sono finito per urlarlo in Piazza della Signoria a Firenze, con decine di altri giovani giornalisti che mantenevano striscioni e mi ascoltavano. Il giornalismo non è «sempre meglio che lavorare» e non pagare un cronista significa avvelenare il pozzo dell’informazione: l’ho scritto nella tesi di laurea. Non ve l’ho detto ma chiudendo gli occhi finisco per ricordarmi anche questo: mi sono laureato a trentaquattro anni dopo aver passato qualche tempo a interrogarmi sulla semiotica e su quanto fosse difficile la vita di Ivan, del mago e delle vacche di Propp.
Trentacinque anni. Sono nato qualche giorno dopo Sanremo e prima degli Oscar. Capirete la vocazione al protagonismo. E sotto il segno dei Pesci, come dice la canzone che “eravamo io e te e il rock passava lento sulle nostre discussioni”.
La fortuna è che non dovrei per forza definirmi giovane, la sfortuna è che dalle mie parti è meglio farlo. È rassicurante. «Lascia stare, sei giovane. Ma sai io a quanti anni mi sono sistemato?»; «Sei ancora giovane, vedrai a quaranta»; «Signore, volete sedervi?» (no, stronza adolescente sull’autobus, non voglio sedermi ma grazie, che ti possa crepare Justin Bieber).
«È tutto intorno a te», ripete la pubblicità. Riaprendo gli occhi vedo che la modella sorride, ce l’ha proprio con me.
Giù al Sud è davvero tutto intorno a te. E siamo davvero tanto grati a chi ripulisce così bene il vetro blindato da farci sembrare tutto a portata di mano.

 

«La vita umana non dura che un istante, si dovrebbe trascorrerla a fare ciò che piace. In questo mondo fugace come un sogno vivere nell’affanno è follia, ma non rivelerò questo segreto del mestiere ai giovani, visto come vanno le cose oggi nel mondo potrebbero fraintendermi».
Giovanni Lindo Ferretti (prima che iniziasse lui, il papa e il cattolicesimo)

 

Regione Campania, dietrofront sullo strano bando per addetto stampa

Quel bando della Regione Campania di cui avevo scritto qualche settimana fa per un posto di ufficio stampa al Consiglio regionale è stato revocato. La Regione ha evidentemente compreso che troppe erano le incongruenze, denunciate anche dai giornalisti precari.

Ora occorrerà tenere gli occhi aperti per capire i criteri del bando che sarà licenziato da Palazzo Santa Lucia: che sia un bando vero, per giovani, non un abito cucito addosso a chissachì.