Strange days e non potrebbe essere altrimenti. Un figlio che sta per nascere, dura sì 9 mesi di gravidanza, ma un giornale che puf, spunta lì all’improvviso, mettendosi tra il capo e il collo di una città, è molto più devastante – almeno nel breve periodo – nella vita di qualsiasi giornalista. Specie se il giornale è una «zeppa» per dirla alla Scalfari, in quel compromesso storico (che ormai ha fatto il suo tempo) tra i giornali che si vendono e quelli che si fanno acquistare. E non intendo dai lettori.
Che, poi, voglio dire, io ancora non ci credo a tutta una serie di cose: certi comportamenti isolani mi hanno sorpreso, in bene. Mica capita tutti i giorni di salire in una barca senza trovare quello che ti dice: "stanotte dormi in stiva, amico, qui ci sono arrivato per primo e comando io. E se non ti va bene, vaffanculo". No, non capita quasi mai, direi. Non a Napoli, non in una città che ancora, con mio sommo sbigottimento è isterica anche nel modo di giudicare un nuovo giornale. Una nuova voce che – timidamente, ma neanche troppo – si mette lì, un poco in disparte e cerca di fare la voce stridula quando non serve. Cerca di rompere le palle, insomma. A Dio piacendo, se non le rompe, almeno le fa girare a qualcuno. Il che non è mai male.
Il bidone di notizie napoletane non delude mai: basta rovistare ben bene che dal calderone salta giù sempre qualcosa di interessante, ogni giorno. Una soddisfazione ampiamente compensata dalle malignità che quotidianamente accompagnano il nuovo. Io, da fortemente scarmantico, ho un paio di accorgimenti che mi costringono a tenere spesso le mani in tasca.
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Nella superesposizione di questi giorni, si fa poi il pieno di niente. In saccoccia notizie e un paio di caffè al giorno, un’organizzazione che piano piano prende la sua strada, costruisce i binari sulla base di esigenze e qualità della vita (quella, però, ancora manca).
Così come manca una giornata normale, unplugged dal calderone bolloso di notizie. Qualche amico con cui parlare in tranquillità (ah, e ringrazio tutti quelli che qui, sul blog, hanno chiesto di me in questi giorni). Mi manca un gatto docile che fa le fusa e qualcuno che ti accetta al di là dell’immagine tua con la penna in mano due cellulari e cinquecentochiamateinlineaaspettaspetta. Qualcuno capace di sgonfiare ogni boria, ridere su ogni collera, affondare ogni boccone amaro e indigesto. Questo sì, manca. Bisogna tenere ancora i pugni serrati, amore mio (per non dire le chiappe strette, che pareva troppo brutto su un blog, non ti pare?).