Buon Natale 2012, giornalista precario

giornalista precario

«Cazzo ma non sorridete mai!». Così, circa due anni fa, un collega del sindacato dei giornalisti italiani – alla fine anche una buona persona – mi fece notare che insomma, quella faccia cupa (e barbuta) sì giustificata dalla condizioni di giornalista precario – all’epoca ero appena entrato nel gorgo della cassa integrazione – non era necessario avercela sempre. Quel grugno poteva ogni tanto addolcirsi: la vita non va presa così male, è, appunto, vita. Lì per lì non seppi rispondere, feci il sorriso più sforzato del repertorio e passai avanti.
Oggi, rivedendo questo video di “Servizio Pubblico”, dove il cronista scopre in un centro commerciale un altro giornalista precario, vestito da Babbo Natale, ricordo bene il motivo di quel perenne grugno, di quella perenne durezza, della risposta caustica che tanti problemi e litigi mi ha causato, del distacco verso un determinato modello di vita e di discussione. Non penso finirà presto questo momento di incertezza e perenne insoddisfazione. Dunque toccherà abituarsi a questa smorfia, penso molto comune fra quelli della mia età, in Italia, oggi.

Per il giornalista precario le parole magiche, oggi, sono equo compenso e Carta di Firenze. Magiche ma non risolutive: occorrerà ancora lottare per far sì che qualcosa si muova per davvero. Non sappiamo se questa lotta, se questo grugno, se quest’incredibile incazzatura generazionale porterà a qualcosa. Personalmente so soltanto che non mi riesce altrimenti. Proprio non mi riesce non arrabbiarmi, non dirlo, non lavorare affinché chi è dall’altra parte del tavolo, quella dello sfruttatore, abbia problemi, preoccupazioni o quanto meno una sana vagonata di merda in faccia.

Diffamazione, il fallimento sindacale dello sciopero dei giornalisti

«Non bisogna mai negoziare per paura, non bisogna mai aver paura di negoziare» sosteneva John Kennedy e come dargli torto? C’è stato un anno in cui, da sindacalista, penso di aver condiviso con altri tre colleghi il record nazionale di proclamazione degli scioperi d’un giornale. Manco la Fiom. Però alcune regole le conoscevo e la conosco: non si lascia il tavolo se c’è trattativa, se si apre uno spiraglio non si proclama lo sciopero, prima di proclamare lo sciopero devi essere sicuro che la base ti segua o è un disastro.

Regole che con la vicenda dello sciopero dei giornalisti sulla diffamazione, astensione proclamata lunedì 26 e ieri sera rinviata frettolosamente, sono state ignorate. Il “differimento” dello sciopero è stato un clamoroso boomerang,  una gigantesca perdita di credibilità da parte del sindacato dei giornalisti italiani.

I motivi sono molto semplici: anzitutto questo sciopero è nato male.

Proclamato dalla giunta della Federazione nazionale della Stampa sentiti chi? I grandi gruppi editoriali, Ansa, Rcs, Espresso-Repubblica, Rai, Mediaset, Sky, La7  e via seguendo. Ignorando la platea crescente – e numericamente rilevante – che si muove sul web e non ha giornali cartacei ma rappresenta ormai il cuore pulsante di un sistema che non è più marginale come un tempo ma macina milioni di contatti e “muove” qualcosa nel panorama editoriale. Una decisione calata dall’alto, con un desueto comunicato  (“Sanzionare gli editori” è una frase da Camera del Lavoro degli anni ’70) e un errore madornale, ovvero il mancato confronto con una platea, quella dei giornalisti precari, che rappresenta la maggioranza del panorama lavorativo italiano in questo settore. La metà, se non di più.

Lo sciopero – lo facevano notare molte persone che delle dinamiche del giornalismo italiano fanno pane quotidiano, Arianna Ciccone, Mario Tedeschini-Lalli – così com’è, non è più lo strumento di lotta principale dei giornalisti. Fermare le rotative non è più possibile, fermare il web non è mai stato possibile. Per questioni di carattere generale come quella della diffamazione occorre oggettivamente trovare strumenti nuovi. Ma bisognava pensarci prima di proclamare lo sciopero al grido di «Sanzioniamoli!».

Poi che cosa è successo? Una volta arrivata la notizia dell’astensione dal lavoro, molti si sono rizelati: «Ma come,  il giorno delle primarie del centrosinistra?». E si è spaccato il fronte: “Il Giornale”, quello di Sallusti, il direttore la cui condanna al carcere ha aperto la discussione sulla legge diffamazione, ha annunciato che il suo quotidiano non avrebbe aderito allo sciopero. Per la serie, “mi si nota di più se non vado o se vado e resto in disparte”? Dunque “Giornale” – e probabilmente “Libero” –  in edicola.

Enrico Mentana direttore del Tg di La7, si è arrabbiato:

Stefano Menichini, direttore di “Europa”, ingoiava il boccone amaro scrivendo su Facebook: «Non contesto lo sciopero Fnsi. Ma il giorno dopo le primarie Europa, il giornale meno diffamatore d’Italia, sarà il giornale più penalizzato». Luca Sofri, direttore de “Il Post”, pure marcava delle distanze facendo capire che il suo giornale non avrebbe osservato 24 ore di silenzio:

Anche il gruppo Riffeser (“Quotidiano Nazionale”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione”, “Il Giorno”) aveva annunciato una iniziativa alternativa allo sciopero: mettere le notizie di politica in ultima pagina.

La Fieg, ovvero gli editori,  si è dichiarata favorevole alla mobilitazione ma ovviamente contraria allo sciopero. Scriveva ieri  il presidente Giulio Anselmi in una nota:

Le ragioni della protesta dei giornalisti contro una pessima legge sulla diffamazione sono comprese e condivise. Ma la Fieg ritiene improprie le modalita’ della protesta con uno sciopero che rende ancora piu’ difficile la situazione dell’informazione.

Ora vengono le dolenti e peggiori note di questa sgangherata orchestrina sindacale.

Ieri sera verso le 21 lo sciopero è saltato. La notizia l’ha data Mario Lavia, vicedirettore di Europa, sempre su twitter.

Ciò, mentre le agenzie battevano una dichiarazione del presidente del Senato Renato Schifani:

“L’eventuale rinvio della protesta potrà consentire alle organizzazioni sindacali una valutazione complessiva del testo esitato dal Senato, destinato, tra l’altro, a successiva valutazione da parte della Camera dei deputati. Tutto cio’ – conclude il presidente del Senato – costituirebbe garanzia di quel clima di coesione sociale di cui l’Italia ha bisogno.

Dopo qualche decina di lunghissimi minuti la Fnsi se n’è uscita con un comunicato , parlando di «lotta convergente tra giornalisti ed editori».

“Rispettosi della vita istituzionale del Paese, per gli stessi principi di adesione al dettato della Costituzione messi a rischio da proposte di legge devastanti, che ci costringono alla più forte protesta perché aggrediscono il diritto dei cittadini alla verità dei fatti di interesse pubblico e all’autonomia dell’informazione, accogliamo l’appello alla riflessione che arriva dalla seconda carica dello Stato. E’ un appello che, parimenti, va rivolto ai proponenti delle norme legislative in discussione in Senato. La riflessione sarà speculare a quella che avanzerà nel corso del processo legislativo. Nello stesso tempo la Fnsi rileva che, per la prima volta, la sua protesta, dopo la proclamazione di uno sciopero dei giornalisti, registra la convergenza piena della Federazione degli Editori sulle ragioni di una protesta determinata, sostenuta dai comitati di redazione, dalle associazioni regionali di stampa e da migliaia di colleghi, rendendo possibile una grande iniziativa comune per consentire a milioni di italiani di capire cosa sta accadendo, quale sia il senso di una battaglia civile per il diritto alle verità delle notizie, all’autonomia e al pluralismo dell’informazione.

Insomma, una cura peggiore del male: se proclamare lo sciopero così significava far ridere i polli, quegli stessi pennuti ora si stanno scompisciando, leggendo la precipitosa retromarcia. Una perdita di credibilità, una arroganza – nell’annunciare sciopero senza ascoltare tutti, ma proprio tutti, e un asservimento al potere politico e a quello editoriale col frettoloso dietrofront.

Sì, è proprio il perfetto specchio del giornalismo italiano e di chi lo rappresenta.

 

Huffington Post Italia, i blogger non pagati, la Fiom e la politica “di sinistra”

Lo dico all’inizio così evitiamo equivoci: non sono fra quelli che criticano Huffington Post a prescindere. La questione dei blogger non pagati è una discussione infinita. A me non piace l’idea che qualcuno accetti di scrivere in cambio di “visibilità”: chi trova e scrive  notizie dovrebbe essere retribuito. Così come le opinioni di un certo rilievo, frutto di elaborazione, esperienza e ricerca dovrebbero essere pagate. E non solo su Huffpo ma su tutte le testate.

Tuttavia questa è la mia visione, il mio mondo: non posso ignorare che esiste una categoria di persone che si può permettere il lusso di rifiutare il pagamento di una sua opinione o notizia scritta (e magari trarne vantaggi diversi da quello economico). Rispetto questa visione. Però consentitemi: un giornalista che scrive a gratis, esclusivamente per la gloria, per quanto mi riguarda vale quanto l’articolo che accetta di scrivere a quelle determinate condizioni.

Detto ciò, ho seguito con vivo interesse la nascita della versione italiana di Huffington Post, frutto di una col gruppo L’Espresso. Il sito è davvero notevole e va seguito. Vado a spulciare ogni tanto i blogger (la lista completa ad oggi non è ancora disponibile) e faccio dei ragionamenti.

Mi hanno molto colpito alcuni nomi presenti. Penso a Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Cgil. Proprio a lui mi verrebbe da chiedere se non vede nell’apertura di un blog su HuffPo una contraddizione rispetto a quanto ogni giorno proclama sull’eterna vertenza Fiat. La sua visione così rigida del lavoro non si applica in altri ambiti? Vale solo per le tute blu? Folgorato sulla via di Arianna?

Poi c’è Pizzarotti, il sindaco a Cinque Stelle di Parma. Ieri col coltello fra i denti contro i giornali, oggi docile blogger nella schiera d’un impero italoamericano. Vogliamo parlare di Lele Rizzo dei NoTav, uno dei movimenti più duri contro la stampa italiana, anche col gruppo l’Espresso? E dei tanti progressisti di centrosinistra (Nichi Vendola, Anna Paola Concia, Chiara Geloni, eccetera)? C’è una buona schiera di giornalisti – per lo più disoccupati e precari – che vorrebbero sapere come la pensano questi politici, giornalisti, opinion leader in merito alla retribuzione del lavoro. Sarebbe davvero utile capire come lorsignori vedono questa loro nuova avventura lavorativa. Ops, volontaristica.

L’ultima copia del Casalese. Ecco chi e perché non vuole questo libro

 

Dice Antonio Menna (che è un amico e di querele pure lui ne capisce): tranquillo, tempo due giorni e resti tu e l’avvocato. Sorrido e penso che mi è già successo. Anzi mi è successo di peggio: avevo una serie di querele e richieste di risarcimento, il giornale è fallito e me la sono dovuta spicciare da solo. Fortunatamente qui siamo in nove. E l’avvocato non ha intenzione di scappare (almeno per ora e ha già letto tutte le carte).

Però ci tengo a dire un grazie, grande, a tutti. So che esiste l’attivismo virtuale e un twit, un like non si negano a nessuno. Io però sono abituato a ringraziare per tutte le manifestazioni di sostegno. E non mi sottrarrò, oggi, a questa regola.
Non sono – non siamo – soli. Oggi ne ha scritto anche lo spagnolo El Mundo.

C’è solo da fare molto tam-tam in rete per tenere alta l’attenzione. Far notare questa vicenda de “Il Casalese” la  maxi richiesta di risarcimento da 1,2 milioni più ritiro dal mercato e distruzione di tutte le copie del libro che nell’idea di Giovanni Cosentino, fratello del potente parlamentare PdL Nicola Cosentino,  è il modo per chiudere definitivamente la storia del primo libro che narra le gesta di questo importante, controverso personaggio.
Che poi, ci pensi? Facciamo che il prossimo 5 aprile il giudice davvero decide di far sparire “Il Casalese” dalle librerie. Che fanno? Lo portano al macero? A me a questo punto piacerebbe dargli fuoco. Vedere la fiamma purificatrice e tutt’intorno i supporter, i fedelissimi, di Nick ‘o mericano che applaudono. Scene da Fahrenheit 451.

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Sono stato in casa editrice qualche giorno fa. Ho degli amici che  lavorano in Mondadori, dice che lì c’è un delizioso parco con animali assortiti.   Cento Autori è a Villaricca, popoloso comune al confine fra il Napoletano e l’entroterra Casertano. L’editore non fa (solo) l’editore: ha una farmacia. Sapendo come curare i mali del corpo voleva giustamente imparare a curare  quelli dello spirito: ha provato a farlo coi libri. Non è un editore ricco né potente, eppure si è imbarcato in quest’avventura con entusiasmo, sapeva che sarebbero potuti esserci problemi. Che, puntualmente, si sono verificati.

C’è una linea di confine tra la legittima richiesta di rettifica o anche di risarcimento e l’aggressione legale. Un milione e 200mila euro più la distruzione del libro è una richiesta che fa pendere forte la bilancia sulla seconda opzione. Qualcuno ha sconfinato e non siamo stati noi autori di questo libro, realizzato coi crismi dell’inchiesta giornalistica, consultando atti, articoli scritti nel corso di questi anni, fonti politiche, giudiziarie, economiche.

Oggi c’è stata la conferenza stampa all’Ordine dei Giornalisti della Campania.
Mi piaceva battagliare, mi è sempre piaciuto. Ma c’è stato, oggi, un preciso momento di sconforto.  Ad un certo punto ho pensato che non avrei mai potuto scrivere nulla senza confrontarmi con l’idea che un avvocato potrà poi chiedermi, anche senza alcun reale motivo, milioni d’euro, trascinandomi in una diatriba legale non voluta, non cercata, né nelle intenzioni né nella scrittura. Come quando ti costringono a litigare. Beh, ti tocca vincere se non vuoi prenderle forte: se uno ti costringe a litigare è pieno d’odio.

È successo che abbiamo parlato e che alla fine di tutto un signore con gli occhiali scuri si è alzato : sono l’avvocato di Cosentino. E ha parlato, agitandosi molto, forse era nervoso anche lui, non dev’essere facile venire a cercare la questione in casa altrui. E noi eravamo nella nostra casa all’Ordine dei giornalisti.
Noi continuiamo questo lungo viaggio che chiamavamo libertà di stampa (e scusate il libero adattamento).  Ci sono tutta una serie di questioni aperte: petizione on-line; conferenza stampa giovedì alla Fnsi; presentazioni, tante.  Poi tentare di far acquistare il libro a quante più persone è possibile.

Già (e chiudo) : ma voi ospitereste un libro del genere?
Quello che segue è l’incipit di una lettera che i destinatari hanno inteso render pubblica: si ospitava una presentazione de Il Casalese e gli avvocati hanno così scritto:

Le scriviamo in nome e per conto di Giovanni Cosentino, per renderevi noto che nei confronti del libro Il Casalese, che apprendiamo verra’ presentato presso la sede della Vostra Galleria, e’ stata gia’ depositata presso il Tribunale di Napoli, sezione proprieta’ industriale ed intellettuale, una richiesta ex articolo 700 c.p.c.di sequestro del manoscritto, date le numerose false informazioni gravemente diffamatorie in esso contenute e riguardanti la onorabilita’ e professionalita’ del nostro assistito […]

Il problema è che a tutt’oggi nessun giudice ha mai ritenuto Il Casalese un libro contenente false informazioni, diffamatorie, eccetera.
Ecco, io ho paura che qualcuno, per dire, si spaventi e decida di non presentare più il Casalese. O di non esporlo più in libreria. Per questo c’è bisogno dell’aiuto di tutti, oggi più che mai.