Pratica guida per scrivere un dialogo di Gomorra la serie

(Vi piace la terza stagione? La guardate? Mi sta un po’ annoiando ma pare stia avendo un successone. Conosco la trama di tutta la terza serie ma non ve la spoilero, giuro).

Avete mai parlato con uno sceneggiatore, di quelli che devono scrivere i dialoghi di una serie tv o di un film molto caratterizzato? Sono dei predatori. Qualsiasi  cosa tu dica sono pronti ad arraffarla e schiaffarla nel loro lavoro.
Immaginate uno sceneggiatore di Gomorra.  Ormai la serie tv, giunta alla sua terza stagione, ha affrontato ogni argomento.
Mancano solo il racket delle creme emorroidali, il traffico di bustine di Aulin dalla Polonia e la temibile paranza dei giocatori di scopone scientifico sotto alla fontana delle paparelle di piazza Cavour.
Insomma, sono disperati, aiutiamoli.

Per scrivere Gomorra servono:
1. Situazione di contrasto tra due persone con conseguente velata o esplicita minaccia
2. Chiarimento  e/o riferimento a terzo personaggio.

Le battute sono secche, epigrafiche.
Gomorra è tutto frase-punto-stacco di telecamera-frase e/o pistola.

Pensatelo nella quotidianità. Potete applicare Gomorra a qualsiasi aspetto della vostra vita.

Esempio 1. Dal macellaio si pone la scelta tra le salsicce paesane o una bella bistecca.
Lo so, è una scelta difficile.  Ma voi ve ne uscite come un don Pietro Savastano e dite al macellaio:
«Guagliò ‘e piezze ‘e carne so tutte uguale:  vanno pruvate ngoppa ‘o ffuoco. E solo quanno vire ‘o sanghe capisci».
(traduzione: ragazzo, i pezzi di carne sono tutti uguali, vanno saggiati sul fuoco. E solo quando vedi uscire il sangue ne comprendi la validità).

Esempio 2.  State andando a comprare una camicia. Ma ce ne sono varie, di varia foggia e misura. Dovete decidere: slim fit o regular?
Immaginate Genny Savastano che lo dice:
«‘A cammisa è comm a nu cumpagno, sì a vuo’ stretta l’ja sape’ purtà. Altrimenti t’astregne nganno!».
(traduzione: una camicia aderente è come un compagno, [inteso come affiliato], se la vuoi così devi avere il fisico per indossarla. Altrimenti ti ‘affoga’).

Vabbé, ne avrò fatti trecento di questi esempi a casa, li ho anche registrati).

Ma un mash-up Gomorra-Un posto al sole?
TITOLO: “Un posto a Gomorra”

PERSONAGGI
– Raffaele il portiere ha un giro di prostitute a Palazzo Palladini;
– Roberto Ferri è affiliato ai Casalesi;
– Ornella è un medico che fa le certificazioni false ai boss per fargli prendere gli arresti domiciliari;
– Renato Poggi è un commercialista prestanome di un clan che gestisce locali e localini della Napoli Bene;
– Nel bar di Silvia si vendono anfetamine e cocaina e sta pieno di macchinette per il gioco d’azzardo;
– Michele Saviani è un giornalista senza contratto al soldo dei clan col compito di passare informazioni riservate sulle indagini in corso.
– Guido il vigile urbano gestisce un gruppo di parcheggiatori abusivi fuori all’ospedale Loreto Mare.

Ciao Memole. E chiamalo!

L’uscita della stazione della metro Municipio in mezzo alla piazza omonima è tra le cose che più rappresentano Napoli qui e ora. È una fermata temporanea, in attesa di quelle belle disegnate da Alvaro Siza che coniugheranno archeologia, modernità e spazio (spero di arrivare a vederla). Per entrare o uscire bisogna usare le scalette in ferro che ti calano letteralmente nel cantiere. I turisti ne vanno matti. E pure i pensionati: restano lì per ore a guardare come lentamente si muove il gigantesco meccanismo scavato nel cuore di Napoli che arriva fino alle viscere del Maschio Angioino, lì dove un tempo c’era il mare.  Ho un sacco di foto degli umarellpartenopei.

Una volta i giornali (non tutti) scrissero che proprio lì sotto durante gli scavi tra le altre cose erano affiorati i resti delcoccodrillo che vagava centinaia d’anni fa nel fossato del castello Angioino. Ovviamente il ritrovamento era una balla. Ma era pure una balla (ops, leggenda) quella del coccodrillo.
A proposito di fake news che non hanno età
(Un giorno vi racconto chi fu tra i pochi protagonisti dell’incidente ferroviario nella stazione non ancora aperta se non ai giornalisti… ).
Vabbè, insomma: qualche giorno fa all’ingresso della stazione è comparsa questa t-shirt con messaggio. Memole (dunque presumo tu sia piuttosto bassina o coi capelli viola), auguri per il compleanno. E chiamalo, jamm un caffé non si nega a nessuno (scegli un buon bar, però).

Core ‘ngrato

Chi mi conosce sa la mia passione per la serie tv I Soprano, la più bella di sempre (dai, davvero parli di Netflix dalla mattina alla sera e non l’hai mai vista?).
Nei Soprano tra i personaggi più importanti c’è Junior,  lo zio del boss Tony. Lo interpreta Dominic Chianese, ovviamente italoamericano. Ebbene, in una delle puntate canta Core ngrato, meravigliosa canzone scritta e musicata da due emigrati italiani in America. Chianese la canta come lo farebbe un italoamericano, con evidenti errori di pronuncia del dialetto che però arricchiscono la sua interpretazione e la fanno ancora più autentica e commovente.

Il tema è quello tipico della canzone classica: l’amore non corrisposto.  Nella musica partenopea quando l’amore non è corrisposto le donne se la passano male: o sono Malafemmineo ingrate. Scherzi a parte, è davvero una interpretazione dolcissima. E se avete visto quella puntata dei Soprano la apprezzerete ancor di più.

Giallo Napoli (Ma a Trieste il caffè lo sanno fare? ☕)

Giallo Napoli

La canzone su Napoli che amo di più dice: «È mille culure».
Leggendo Cromorama di Riccardo Falcinelli, un libro molto bello e ben realizzato sui colori e su come siano diventati «un filtro con cui pensiamo la realtà» ho iniziato a camminare fra le tinte della città. Sapete, esiste un ‘Giallo Napoli’. È di origine egiziana, è simile al colore del tufo, lo amava Cèzanne, lo usavano Monet e Renoir. C’è pure una variazione sul tema, un rosa quasi rosso.
Il giallo è tanti fatti, in napoleano. È paura, è confidenza coi santi, è insulto. «’E fatto ‘o giallo» ti sei fatto giallo, si dice di chi si è impaurito; oggi nei vicoli si dice «stai chino ‘e giallo», sei pieno di giallo, è il punto di viraggio tra la normalità e il terrore. San Gennaro, il patrono, è Faccia gialla, perché la sua statua lo è. E così a lui si rivolgono le ‘parenti’, le sue fedeli.
«Faccia gialla squaglialo».

È la città dei mille colori ma senza un ‘piano del colore’: Napoli come tutte le città ricche d’architettura e storia dovrebbe avereregole ben precise sul ritinteggio dei palazzi. Decenni di chiacchiericcio, qualche norma buttata qui e lì. Ma sono sicuro che se rifacessero i palazzi di via Foria o di piazza Bellini verde pistacchio o blu di metilene pure glielo lascerebbero fare. Palazzo Reale in piazza Plebiscito e Palazzo Fuga, l’Albergo dei Poveridi piazza Carlo III del resto sono stati ritinteggiati con tinte diverse e cosa è accaduto? Niente.

Scavando in un vocabolario del Settecento ho trovato questa bellissima espressione che non si usa più: Janco nascere. «È espressione Spagnuola, con cui taluno si vanta esser uomo d’onore incapace di sentimenti vili».
“So’ nato janco”, ovvero sono nato bianco, puro.

Che bellu ccafè, sulo a Trieste ‘o sanno fa

Non voglio creare polemica. Ma vi risulta che a Trieste si faccia un grande caffè? No, vero? È la solita chiavica, vero?
Perché ho letto che in Friuli esiste un “Trieste Coffeé festival”. E che festeggiano? Per quanto ne so a Trieste ci sono però i soldi del signor Illy.
E dico io, a Napoli abbiamo di tutto, da Kimbo-Kosè aPassalacqua, da Moreno a Kenon e nessuna, dico nessuna di queste aziende è stata capace di spendere due euro per unFestival della tazzulella? Ma si può essere meno lungimiranti?

Il film dei Jackal, le storie sul lavoro
e Napoli (che non perdona)

La mia collezione di sigari cubani perde un elemento ogni volta che si realizza qualcosa di nuovo a Napoli. Succede quando vedo coloro che niente fanno (e niente faranno mai) scagliarsi con ferocia personale contro una qualsivoglia cosa appena nata (associazione, libro, film, documentario, giornale) per il solo motivo che non l’hanno fatta loro.
È allora che accendo l’amato Cohiba e aspetto.
Aspetto che i feriti, fino a quel momento docili, fiduciosi e speranzosi (di critiche costruttive, di appoggio non condizionato, di oneste prese di posizione da coloro che ritenevano amici) trasfigurino come santa Teresa d’Avila e finalmente  giungano sulla riva degli scettici e dei sarcastici. Io alloggio lì già da un po’.

Sono stato un po’ ermetico? Spiego meglio: semplicemente non ho capito una certa ferocia gratuita tutta di certi ambienti partenopei – non del pubblico – nei confronti di ‘Addio fottuti musi verdi’ opera prima dei The Jackal. Io l’ho visto, come me molte altre persone, mi sono divertito ma evito recensioni perché sono di parte. Tutto qui.

Detto ciò, non posso non notare il tema base della trama. Il lavoro  e l’emigrazione.
Ma quanti film ambientati a Napoli negli ultimi decenni hanno il lavoro come elemento fondante? Nu cuofano!

Nanni Loy ha fondato la quasi totalità dei suoi film su giovani  e meno giovani disoccupati e su coloro che per arrangiarsi finiscono in situazioni pericolose. ‘Mi manda Picone’ ma non solo: ‘Scugnizzi’ e ‘Café Express’ pure parlano di lavoro. E anche ‘Pacco, doppio pacco e contropaccotto’.
Massimo Troisi  ha fatto della non-ricerca di lavoro  del  napoletano in viaggio («Emigrante? Nossignore io a Napoli un lavoro ce l’avevo…»)  un argomento portante di ‘Ricomincio da tre’ e ‘Scusate il ritardo’.

Luciano De Crescenzo (a proposito, il film di Serena Corvaglia e Antonio Napoli sulla sua  vita è molto bello) in Così parlò Bellavista crea il monologo capolavoro, quello di Giorgio. Ve lo ricordate?

«Fino a ieri mi sentivo come un esemplare della specie più povera del mondo: quella del disoccupato laureato meridionale e di buona famiglia.
In altre parole, il titolo di studio mi impedisce di fare il pezzente; per inadeguata preparazione familiare non so fare lo scippatore… e non sono nemmeno capace di vestirmi da cameriere pe m’arrubbà ‘e sorde fore a ‘na trattoria».

Riapre l’archivio Parisio

L’archivio fotografico Parisio-Troncone ha riaperto la sua storica sede espositiva sotto i portici della Chiesa di San Francesco di Paola in piazza Plebiscito. Se vi trovate passateci, ne vale davvero la pena.

La newsletter, voi, io

La newsletter, voi, io

La foto che vedete qui sopra (la vedete?) è fuori al vicolo. Ce ne sono tanti, a Napoli, di cartelli del genere. La polizia viene per controllare gli arrestati ai domiciliari:  meglio avvisare di eventuali disagi.

Sì, la newsletter è rimasta un po’ ferma. Io però continuo a camminare a vedere. Scrivo di meno ma ho un sacco di cose in testa, non so se vi è mai capitato.
Ora cerco di raccontarvi qualcosa che ho visto e ho in testa.Scrivetemi così mi fate sapere se vi è piaciuto.

Energie del legno

Cammino e prima di arrivare al bicchiere d’acqua, il mare così lo chiamo quando si affaccia dopo piazza Plebiscito e ci incontriamo, passo per il Maschio Angioino. Bellebuono, era il giorno della nebbia a Napoli, quest’albero si è fatto notare come se stesse lampeggiando, tra il pontile del castello e i Cavalli di Bronzo, dietro c’è il Palazzo Reale , alle spalle c’erano le fontane dell’acqua di mummarella, fonte d’acqua ferrata un tempo diffusissima, ora chiusa perché… non lo so esattamente perché.
L’albero non ha nome, non ho voluto nemmeno indagare sulla specie, ho fatto delle foto. Poi ho preso un petalo, lo vidi fare quindici anni fa a Paolo Rumiz mentre lo accompagnavo affannando ad Amalfi e l’ho messo in un taccuino. Il petalo è morbido e rosa. Sono giorni che ci passo, la mattina e la sera,  il tramonto in questi giorni a Napoli vira tra il rosso e il rosa, sembra il mantello scintillante dell’albero meraviglioso. L’albero che non ha nome, che non ha un suo profilo Instagram, non ha uffici stampa né una guida che ne magnifica la storia ai turisti con fette di ignobile pizza-focaccia in bocca. L’albero è lì, sta lì e splende, semplicemente zen.
Mi viene in mente quella frase di Pasolini sullo splendere ma ho promesso di non scrivere qui frasi a cazzo.

Energie del legno sai che significa? Che se la radice è morta la pianta continua a vivere per un po’. È per via della linfa che fa ancora il suo lavoro. Addirittura spuntano anche gemme, qualche fogliolina. Poi, bellebuono si secca. Energia del legno.

C’è un altro posto di Napoli, si chiama largo Giusso è al centro storico. C’è un glorioso e ottimo bar, ci sono i giardinetti, c’è l’Università Orientale, i Banchi Nuovi, ci sono le copisterie dove si stampano le tesi di laurea; la sera c’è un discreto giro di hashish e marijuana. Alcol, università e fumo: per questo molti ragazzi si riversano lì da anni (e fanno una ammuina incredibile, a Napoli oggi c’è un grosso scontro tra residenti e titolari di bar sulla movida).

In mezzo al largo Giusso fuori all’Orientale c’era un grande cedro libanese, di quelli che chiamavano i Cedri di Dio. Quattro anni fa fu tagliato, dice perché malato. Da allora ne hanno piantati altri tre, si sono seccati tutti. L’ultimo ha fregato tutti pochi giorni fa: aveva iniziato pure a gemmare e invece appena arrivato l’autunno è morto.

Io non riesco a togliermi dalla testa che quei due alberi sono in realtà Napoli agli estremi. La spudorata bellezza seminascosta, seppur sotto gli occhi di tutti , viva e fiorente anche in periodo di feuilles mortes. E dall’altra parte l’energia del legno morto che tiene in piedi due gemme ma è tutto inutile: prima o poi si seccherà.

Napoli. Dove finisce il libro

Il mio amico Carlo pubblica questa foto e questo video. «Muore uomo di cultura a Napoli – scrive – e i suoi eredi, nonostante di fronte casa ci sia una biblioteca comunale buttano circa 20.000 volumi».
Qualche giorno prima era invece emersa un’altra storia, quella dei 200.000 mila volumi dell’editore Tullio Pironti per anni ospitati dalla Municipalità e poi mandati al macero (chi lo ha fatto ha spiegato le sue ragioni, a me sembrano deboli).
Sempre in questa stessa città, proprio quella dei libri al macero o nelle discariche, nel giro di un mese sono state presentate due fiere/feste del Libro, quasi contemporaneamente. Gli organizzatori, tutte persone degnissime, editori, scrittori, traduttori, giornalisti, non si sono messi d’accordo. E hanno preferito fare eventi separati e non unire le forze.
Non c’è una morale, non c’è un commento che possa unire queste storie e dar loro un senso comune. La Campania è la regione con la percentuale più alta di “non lettori” (Istat 2015): il 71% non ha letto nemmeno un libro nel tempo libero nei 12 mesi precedenti. I due autori italiani viventi al momento più conosciuti nel mondo sono campani: Elena Ferrante e Roberto Saviano.

Comunisti, Bassolino e De Magistris

Antonio Bassolino, un po’ per meriti suoi, un po’ per demeriti degli altri, è rimasto figura centrale della politica cittadina. I fedelissimi diLuigi De Magistris lo chiamano “Nonnolino”, non penso vada spiegato l’appellativo. Lui però il nonno rompiscatole lo sta facendo per davvero. E ha inaugurato una nuova modalità di critica al sindaco di Napoli. Nuova per modo di dire: l’avesse fatta il Pd negli ultimi 7 anni forse avremmo una diversa percezione della realtà cittadina. Ne ho scritto, il pezzo è un po’ lungo, al vostro buon cuore.

TT FOX NDERR MERG CU E FRAT FIDAT

No, non è salito il gatto sulla tastiera. È gergo, gergo giovanile. È diventato un tormentone dopo un  video. E io ne ho scritto. Se non leggete non siete frat fidat.

Napoli spiegata velocemente a chi ritorna per l’estate

 

 

 

 

 

 

Siccome dicono che a Napoli non ci sono più le politiche sociali perché si mangiano tutti i soldi, voglio aiutare io con un supporto psicologico e giornalistico tutti coloro che si apprestano al ritorno estivo in città, magari perché lavorano fuori regione o all’estero.
Tranquilli! Vi spiego che è successo recentemente così non dovete chiedere ai parenti e potete buttarvi nella discussione sapendo già tutto.

1. Il fatto della camorra e di Gomorra
Allora, vi voglio spiegare: non è che la camorra non esiste più. È come l’amico della Signora Rinascente. Esiste, solo che lei non lo sa. L’hanno confusa. Gli hanno fatto credere di essere la sceneggiatura di una serie tv.
Voi non preoccupatevi: si uccide ancora. Dalla parte di Miano, per esempio, stanno belli inguaiati. Di recente hanno arrestato degli imprenditori che vivevano a Posillipo ma poi facevano begli affari coi clan di San Giovanni a Teduccio. Quindi non vi lasciate condizionare dai vostri amici del Nord, ribadite con forza: non è vero, la camorra ce l’abbiamo ancora. Non gli abbiamo fatto alcuna scortesia e lei è ancora qui tra noi, è ovunque. Come sempre.

2. Ma che è sto fatto di quelli che fanno sesso in piazza San Domenico?
Mammamia come siete morbosi (senti chi parla). Non è che questi hanno fatto sesso perché volevano fare le oscenità. Niente affatto. Come dice il nostro sindaco: qui stiamo pieni di turisti. E dunque gli alberghi sono aumentati di prezzo. Povera gente, che poteva fare? Mo’, con tante oscenità del centro storico di Napoli (degrado, abusivismo, microcriminalità) vuoi vedere che ci dobbiamo scandalizzare per una sveltina di 30 secondi?

3. È vero che a Natale piazzeranno un altro cazzimbocchio* enorme al Lungomare?
Sì, è tutto vero. L’anno scorso fecero l’albero di Natale? Mo’ vogliono fare il corno rosso. Però a me hanno sempre detto che il corno porta bene se ha la punta rivolta verso il basso, tipo che ‘scarica’ a terra tutte le maledizioni. Invece questo avrà la punta in alto, tipo parafulmine. Non voglia mai iddio viene una tempesta…

*Cazzimbocchio: elemento ingombrante dall’inequivocabile forma fallica

4. Ma hanno dato la cittadinanza onoraria a Maradona?
Si. Non so se è vero che lo pagheranno o meno (non c’è ad oggi uno straccio di carta del Comune alla faccia della trasparenza). Di certo il 5 luglio ci sarà una festa in piazza Plebiscito.
Io qualche tempo fa ho scritto che, con tutto il rispetto, per un uomo che fu immortalato – consapevole – in una vasca da bagno coi boss del clan Giuliano (non è che in una vasca vai con uno sconosciuto e che cazzo…) la cittadinanza è un atto eccessivo. Bastavano una medaglietta di ottone e due paste da Scaturchio. Non c’entra niente la passione sportiva.

5. Devo sapere se ha aperto una pizzeria nuova a Napoli.
No, non mi pare. Cioè forse ha aperto qualcuno ma alla fine non è cambiato niente, la pizza è sempre con la mozzarella, non vi mangiate la sfogliatella quando fa caldo perché c’è la ricotta.
Mo’ a Napoli si porta assai il “panino gourmet”. Che enorme stronzata.

7. Se scendo a Napoli tutto il mese mi conviene fare l’abbonamento a metro e bus?
Ma sei pazzo/a? Non fare niente, fattela a piedi. Nientedimeno la metropolitana a Piscinola la sta studiando la Nasa, pensavano fosse una nuova cometa che passa ogni 110 anni…

7. Ma chi è LIBERATO?
Secondo me è Livio Cori.

Ringrazio la buonanima di Massimo Troisi per avermi ispirato, come sempre.


«Cresci sano e fammi raccontare»
Una canzone di Pino Daniele ci sta bene

A robba mia (Ferryboat, 1985) è una delle canzoni che secondo me coniuga meglio l’italiano, il napoletano e il fraseggio inglese di Pino Daniele. Ironica sul presente, tagliente, non dimentica la tradizione e guarda al futuro. Scende benissimo, come un boccale di birra quando fa caldo. È il miglior Pino Daniele.

e allora don’t cry no more
a quant’o vvine e mo’ ‘a chi ‘o vvuo’

«A quant’o vvine» e «‘a chi ‘o vvuo’» sono due frasi tipiche bellissime. «A quanto lo vendi» significa ma cosa/quanto credi di valere, ma chi ti credi di essere? «Da chi lo vuoi» significa sostanzialmente: a chi vorresti addossare colpe che sono solo tue?

…E po’ che mazzo
si ‘ncuntrassemo a Gesù
ce jessemo a ‘mbriaca’.

E se poi incontrassimo Gesù andremmo con lui ad ubriacarci…

Nuje cuntavemo
‘e ritrattielle ‘ncoppa
‘e grade erano nere
‘e mmane e ‘o riesto
statt’accorto nun t’o scurda’

I ritrattielli erano le figurine dei calciatori e questa strofa sembra quasi omaggiare i “Guaglioni” di Raffaele Viviani, questi però sono ragazzini degli anni Settanta, sui gradoni neri dei vicoli mentre al mare i fumi del porto e degli scarichi e carichi di sigarette di contrabbando sono incessanti e dall’altra parte, a Bagnoli, l’altoforno mangia carbon coke e vomita acciaio in forma di fuoco.

«‘A ggente è stretta ‘e mano» come per dire che è poco generosa. E poi un capolavoro, una strofa che per me è meravigliosa, mi fa emozionare. Ascoltatela e leggetela insieme a me col ritmo della musica:

Primma ‘e figli se crescivano
c’o mare uno passo
a mano a mano se purtavano a campa’
nun me fa penza’

Prima i figli si crescevano col mare a un passo, a mano a mano, gli si insegnava a vivere e cavarsela da soli, non farmici pensare.

Sono echi di frasi di donne che tra un vicolo e l’altro parlavano e incantavano il giovane Pino. Lo so perché sono cresciuto pure io con queste frasi, la signora affianco, quella di fronte, le chiacchierate e io bambino ad ascoltare i luoghi comuni e la saggezza popolare.

Chi è di Napoli e ha la mia età può capire. I figli prima si crescevano col mare di fronte, pensa all’Ottocento di via Santa Lucia quando il borgo di pescatori affacciava a mare, pensa a San Giovanni a Teduccio, terra di scogli e onde e maestrale fresco. L’urbanizzazione novecentesca e la speculazione che hanno staccato Napoli dalla natura di città di mare (che non la bagna più! Anna Maria Ortese!).

Oggi scinne c’a paura, sissignore!
‘a quantu tiempo faje ammore
crisce sano e statte ccà
famme raccuntà.

Oggi scendi e fa paura, sissignore, i mariuoli la camorra.
E poi le domande delle vecchie nei vicoli? Da quanto tempo sei fidanzata? Cresci sano! Resta qui, resta a Napoli.

E fammi raccontare, fammi raccontare. Che è la cosa che pure noi che scriviamo, parliamo e ci sbattiamo tutti i giorni.
Speriamo che restate e che restiamo qui, speriamo che se pure siete lontani vi interessa ancora quello che succede tutti i giorni a noi, quello che succede tutti i giorni alla tua Napoli.

https://www.youtube.com/watch?v=p7qEho3hg5o

Oh, ma c’era Walter Mitty a Napoli?

Oh, ma c’era Walter Mitty a Napoli?

Ti scrivo mentre è notte e ascolto “Space Oddity” di David Bowie nella versione del film “I sogni segreti di Walter Mitty” con Ben Stiller (mai visto? Se no, fallo).
Proprio Ben Stiller è stato a Napoli in questi giorni. Ha mangiato la pizza, fatto il giro ai Decumani, comprato i pastori,  visitato la città sotterranea. Ci mancava solo che salisse sul fottuto bus R2 alla Ferrovia tutto sudato all’ora di punta scansando i mariuoli.
Mentre l’attore era qui è uscita la notizia della sua separazione dalla moglie dopo tanti anni di matrimonio.
Non so niente del gossip dei divi americani, ma ho sperato che la Napoli di questi giorni, così calda, ventosa, sorprendente negli sbalzi di temperature, gli sia stata di conforto.
Guardo questa foto: forse è andata così.

Pensa che qui il quartiere più panoramico (teoricamente il più bello, sicuramente il più ricco) della città si chiama Posillipo, dal greco Pausilypon, ‘pausa dagli affanni’.

E tu? Dove ti prendi una pausa dagli affanni, in questa città?
Io ho più luoghi. Uno è l’Emeroteca Tucci, nel Palazzo delle Poste, in piazza Matteotti. Sono raccolti migliaia di giornali, ci sta quindi pure un po’ di me. L’altro è molto personale. Ma tutti abbiamo delle cose personali da conservare e tutelare, no?

Buongiorno camorra

La camorra non «torna a sparare», la camorra non ha mai smesso di fare niente. Sei morti in 48 ore, domenica ho scritto un paio di pezzi sulla percezione che si ha di questa cosa e su certi segnali tutti da interpretare.

Il Nuovo Salone del Libro di Napoli
per ora è una cameretta ammobiliata

Mo’ mi faccio qualche altro amico con sto racconto, ma che posso farci? Sono andato speranzoso al Caffè Gambrinus per partecipare a questa sorta di ‘assemblea costituente’ del nuovo Salone del Libro. Breve antefatto: a Napoli negli anni 90 c’era una cosa bella, si chiamava “Galassia Gutenberg” e si faceva alla Mostra d’Oltremare. Libri, incontri, dibattiti, scrittori, editori. Poi sono finiti i soldi ed è finita la festa.
Un noto editore napoletano, che peraltro conosco, Diego Guida (è stato assessore e io da giornalista per molti anni ho seguito le vicende del Comune di Napoli) vuole rifare insieme ad altri editori un grande evento annuale su libri ed editoria in città e per questo ha chiamato a raccolta un po’ di gente al Gambrinus.
Ci sono andato, speranzoso. Sono tornato a casa un po’ dispiaciuto.
Partiamo da un fatto. A Napoli oggi se vuoi avere diritto di parola o sei un antagonista “di sinistra” che i libri li scarica in pdf o sei un professionista vomerese che legge un libro all’anno e ne recensisce/consiglia 50 al mese.
Vabbé, sono entrato, ho trovato un salone strapieno di gente, con la classica struttura da convegno. I convegnisti (dotti, medici, sapienti) al tavolo, gli interessatissimi davanti a tutti, i curiosi dietro e i poveri stronzi come me in piedi. Fin qui tutto nella norma. Lo specchio alle spalle dei relatori rifletteva la platea e dava la sensazione che stessero discorrendo con loro stessi, in un paradigmatico loop d’autoreferenzialità.
Quando hanno iniziato a parlare è stato peggio, porca troia.
Monologo dell’assessore oggi arancione e ieri del PDS che assicura finanziamento all’evento. Salvo poi scoprire, tre giorni dopo, che il disavanzo nel bilancio del Comune è 1 miliardo e 890 milioni di euro. Forse intendeva i soldi del Monopoli. Dunque eventualmente occorrerà andare col cappello in mano alla Regione Campania di Vincenzo De Luca.
Poi, seriamente? Ho sentito dire cose ascoltate ai convegni su “Napoli capitale del Mediterraneo” nel 2002. La fiera itinerante, riscoperta dei vicoli, i piccoli eventi, la libreria ‘dal basso’ da valorizzare.

Ah: sapete quante sono le persone che hanno letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi al Sud Italia? Il 28,8% (dati Istat).

E stiamo (stanno) pensando alla bancarella in piazza per vendere due-tre copie di fondi di magazzino ad un prezzo magari maggiore di quello che offre Amazon. Il tutto condito dal solito maledetto reading di brani del solito sferzante autore “di successo”.
La tizia della libreria vomerese che ha detto di aggregare tutti, «dall’insegnante a chi lavora in banca e le casalinghe» mi ha fatto girare e guardare la reazione della platea. Ho visto negli occhi vividi di coloro che erano entrati propositivi, spegnersi l’interesse per un evento che rischia d’essere la stantia riproposizione di modelli ridicolmente messi fuori mercato.
Vabbé, parliamo di gente la cui massima aspirazione in molti casi sono tre righe su Repubblica, Mattino o Corriere. Ah, e la «potenza dei social network!».

Su questa cosa dei libri…

Ho almeno 15 libri da consigliarvi. Ma questa newsletter non nasce per consigliare libri. Posso fare un video? Posso fare un audio che ve lo ascoltate? O è na cacata? RISP URGENTE. 🙂
(nella prossima invece parliamo un po’ di luoghi e cucina)

Mentre tutta Napoli si chiede “Chi è LIBERATO” il cantante anonimo e indie che va di moda io dico no.
Affanculo LIBERATO, radical chic piccoloborghese, ci sta Nino Buonocore che spacca tutto.
Per noi con la R moscia egli è il Mito.