
Energie del legno
Cammino e prima di arrivare al bicchiere d’acqua, il mare così lo chiamo quando si affaccia dopo piazza Plebiscito e ci incontriamo, passo per il Maschio Angioino. Bellebuono, era il giorno della nebbia a Napoli, quest’albero si è fatto notare come se stesse lampeggiando, tra il pontile del castello e i Cavalli di Bronzo, dietro c’è il Palazzo Reale , alle spalle c’erano le fontane dell’acqua di mummarella, fonte d’acqua ferrata un tempo diffusissima, ora chiusa perché… non lo so esattamente perché.
L’albero non ha nome, non ho voluto nemmeno indagare sulla specie, ho fatto delle foto. Poi ho preso un petalo, lo vidi fare quindici anni fa a Paolo Rumiz mentre lo accompagnavo affannando ad Amalfi e l’ho messo in un taccuino. Il petalo è morbido e rosa. Sono giorni che ci passo, la mattina e la sera, il tramonto in questi giorni a Napoli vira tra il rosso e il rosa, sembra il mantello scintillante dell’albero meraviglioso. L’albero che non ha nome, che non ha un suo profilo Instagram, non ha uffici stampa né una guida che ne magnifica la storia ai turisti con fette di ignobile pizza-focaccia in bocca. L’albero è lì, sta lì e splende, semplicemente zen.
Mi viene in mente quella frase di Pasolini sullo splendere ma ho promesso di non scrivere qui frasi a cazzo.
Energie del legno sai che significa? Che se la radice è morta la pianta continua a vivere per un po’. È per via della linfa che fa ancora il suo lavoro. Addirittura spuntano anche gemme, qualche fogliolina. Poi, bellebuono si secca. Energia del legno.
C’è un altro posto di Napoli, si chiama largo Giusso è al centro storico. C’è un glorioso e ottimo bar, ci sono i giardinetti, c’è l’Università Orientale, i Banchi Nuovi, ci sono le copisterie dove si stampano le tesi di laurea; la sera c’è un discreto giro di hashish e marijuana. Alcol, università e fumo: per questo molti ragazzi si riversano lì da anni (e fanno una ammuina incredibile, a Napoli oggi c’è un grosso scontro tra residenti e titolari di bar sulla movida).
In mezzo al largo Giusso fuori all’Orientale c’era un grande cedro libanese, di quelli che chiamavano i Cedri di Dio. Quattro anni fa fu tagliato, dice perché malato. Da allora ne hanno piantati altri tre, si sono seccati tutti. L’ultimo ha fregato tutti pochi giorni fa: aveva iniziato pure a gemmare e invece appena arrivato l’autunno è morto.
Io non riesco a togliermi dalla testa che quei due alberi sono in realtà Napoli agli estremi. La spudorata bellezza seminascosta, seppur sotto gli occhi di tutti , viva e fiorente anche in periodo di feuilles mortes. E dall’altra parte l’energia del legno morto che tiene in piedi due gemme ma è tutto inutile: prima o poi si seccherà.