Di direttori e del morale dei rematori

ap7105181197

«….Battevo come un disperato sulla tastiera delle vecchie e mastodontiche Olivetti Studio, pagine e pagine di “orrendo delitto alla Bovisa” e “alba di sangue al Giambellino ” che i fattorini mi strappavano dalla macchina per correre giù in tipografia senza neppure lasciarmeli rileggere, perché non c’era il tempo, non c’è mai il tempo.
Mi vedevo condannato per l’eternità a produrre colonne di piombo su delitti e tamponamenti nella nebbia, inchiodato alla Olivetti Studio. Mi mancavano la stazione, la Questura, mi mancavano i paesi della cintura con gli abitanti ancora sbalorditi dall'”audace colpo” e mi mancavano persino, Dío mi perdoni, i furti di fotografie ai colleghi. Mio padre scuoteva la testa al pensiero del figlio ormai prigioniero del giornale. Mia madre cominciava a temere di avere sbagliato a farmi lavorare, perché studiavo sempre meno e ci avevo preso gusto. E il ragionier Coscia finalmente arrivò in cronaca con una scatola di legno in cui c’erano le lettere di assunzione, per tutti gli “abusivi”.
Tutti meno io. Il ragioniere distribuì le buste con aria disgustata da tanta generosità padronale, se ne andò in silenzio, e mi lasciò solo con il magone. Pochi secondi dopo Nutrizio entrò in cronaca come non faceva mai. Chiese a voce altissima: chi ha scritto oggi la notizia del delitto di piazzale Brescia? Lui, disse il Brambilla indicando me. Bravissimo, è la notizia di cronaca meglio scritta che abbia mai letto in quarant’anni di mestiere. E se ne andò.
L’avrei abbracciato. La notizia non valeva assolutamente nulla e lo sapevo. Ma avevo capito che Nutrizio, il Dio, lo Squartatore, il Re Sole in persona, si era preoccupato di me, del morale dell’ultimo fra i suoi “rematori” nel giorno della umiliazione pubblica.
Seppi più tardi che aveva cercato invano di farmi assumere ma il temibile ragionier Coscia aveva deciso che quindici bastavano, e che la sedicesima assunzione sarebbe stata, chissà perché, di troppo. Avrei voluto abbracciare Nutrizio, dirgli che avevo capito quel giorno che lui era un grande direttore perché sapeva prendersi cura anche di quelli che non contavano niente, perché mi aveva insegnato che il morale dei giornalisti conta più della loro bravura per mandare avanti l’avventura dell’informazione. Invece mormorai solo un “grazie, direttore”, e due giorni dopo tornai nel suo ufficio in penombra nell’alba delle nebbie milanesi per dirgli che me ne andavo per sempre dalla sua “Notte”.
Nutrizio è morto nel 1988 e si è portato via il rimorso di un suo cronista che non trovò mai il tempo di ringraziarlo
».

Vittorio Zucconi – “Parola di giornalista”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *