Napoli, e la chiamano estate /1

Per tutto l’anno Marcovaldo aveva sognato di poter usare le strade come strade, cioè camminandoci nel mezzo: ora poteva farlo, e poteva anche passare i semafori col rosso, e attraversare in diagonale, e fermarsi nel centro delle piazze. Ma capì che il piacere non era tanto il vedere cose insolite quanto il vedere tutto in un altro modo; le vie come fondovalli, o letti di fiumi in secca, le case come blocchi di montagne scoscese o pareti di scogliera.
Italo Calvino, Marcovaldo, Ed. Einaudi

Il filobus 201 è Napoli dalla ferrovia a piazza Municipio, il globulo che scorre lungo l’arteria principale. D’estate, di sera, il traffico-colesterolo di piazza Dante sparisce e l’autista pigia sull’acceleratore, ma quei dieci chilometri di velocità in più mandano fuori binario il mezzo e fuori di testa i passeggeri.
Dicono: non poteva andare piano come ha fatto per tutto l’anno?

Tolte le trasmissioni principali, i protagonisti e le comparse con varie aspirazioni, per le strade resta il rumore di fondo. Parla una lingua diversa dalla mia: è pakistano e polacco dal Serraglio di Carlo III fino ai giardinetti di piazza Cavour;  cinese e sudafricano in piazza Dante e fino al Municipio. Poi ucraino, marocchino, slavo, rumeno, russo. E americano, inglese, francese, tedesco, con le valigie e lo stupore perché due Mc Donald’s sono chiusi.
Sono falliti: a Napoli il fast food fallisce, tutte le velocità falliscono.

Una olandese coi capelli rosso vermiglio chiede indicazioni per l’Hotel Garibaldi ad un vecchio coi capelli imbrillantinati che attacca a cantare le canzoni francesi, all’angolo di via Duomo un vecchio con due cascette di legno vende i fichi d’india. Nelle gelaterie non c’è un gusto nuovo.
Cosa va di moda quest’estate?

In libreria ci sta un senzatetto. Va vestito con la giacchetta e la borsa, ben curato, ma conosco la sua storia. In petto si mette un distintivo degli “amici della Polizia di Stato”. Entra, si siede su una poltroncina e sfoglia volumi. Sta lì tutto il pomeriggio, per via dell’aria condizionata. Scambia qualche chiacchiera poi si sposta di poltrona.
E la sera va alla mensa dei poveri.

A Palazzo Reale si sta freschi, però ci sono lavori in corso: polvere, troppa polvere. Ma la Biblioteca nazionale non tradisce: la sala di lettura è enorme, entri con un libro e finisci a pensare a quindici anni fa com’era tutto uguale (tranne le spine per attaccare i computer). E anziché studiare, passi il tempo a a cercare quella scritta incisa con la penna sul tavolo di legno.
Ci stanno Anna e Pino, 1990,  Maria e Antonella, 1989, ci posso stare pure io, il problema è trovarla, però.

Il Palazzo delle Poste è incasinato di pensioni, conticorrenti e vaglia pure d’estate. Su al secondo piano cambia tutto: l’Emeroteca sembra la scena un film anni Cinquanta. Ci si siede lì e si sfogliano i vecchi giornali.
Si raggiunge alla fine una sorta di placida consapevolezza: non sbatterti, è già stato tutto scritto.
Tranquillo, oggi non prenderai buchi.

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