Who killed Davey Moore. Del caso Nugnes

«Don’t say ‘murder,’ don’t say ‘kill.’
It was destiny, it was God’s will…»
Who killed Davey MooreBob Dylan

Faccio parte, da qualche anno a questa parte, del gruppetto (4-5 persone) di assidui cronisti che Rosa Russo Iervolino chiama  “la famiglia allargata” ironizzando sul fatto che ha più a che fare con noi, che con figli e nipoti. Questo è altrettanto vero  per noi che abbiamo quest’incarico (siamo stati ribattezzati “gremlins” per la cattiveria e capacità di moltiplicazione nei luoghi più disparati).

Negli anni impari ovviamente a conoscere non solo il sindaco, ma anche gli assessori, i consiglieri, capistaff, i dirigenti, gli uscieri, gli agenti di scorta, quelli di picchetto davanti al Comune; il barista e il sindacalista onnipresente, i piccoli politici di quartiere e perfino gli autisti e (e le auto) dei “big” della politica, dell’industria o quant’altro che possono far capolino al Comune per una visita, un incontro riservato. Insomma, tutto ciò che può far notizia. Nascono rapporti umani, è nel naturale ordine delle cose.
Capisci che le cose vanno in un certo verso quando ti rendi conto fai più attenzione alle auto delle forze dell’ordine che arrivano sotto Palazzo. Quello è il momento in cui pm, giudici e procure diventano più importanti della politica.

***

Ogni qual volta c’è un pasticciaccio brutto in Comune, il rituale è il seguente:  facce tese e portone sbarrato anche a noi, la “famiglia” . Vengono sbandierati “motivi di ordine” che non esistono. Così è stato anche lunedì, quando ci sono stati i funerali di Giorgio Nugnes a Pianura, un quartiere che come molti hanno scritto sembra più una città a sè stante. Ciò sia per l’orografia del territorio (si “sale” a Pianura e si “scende” da Pianura a Napoli così come da Scampìa o da Sant’Antimo) che per quel senso di non-appartenenza alla  comunità e alle sue regole. Una ribellione scritta nel dna di ogni residente quelle periferie. Una diversità che si legge ogni qual volta ci sono le elezioni: la preferenza è più per l’appartenenza geografica che per quella politica o per un programma di governo.

È una vicenda, quella di Nugnes, che interroga molti di noi. Io l’ho frequentato lo stretto necessario ad un giornalista che si rapporta con un assessore dalle deleghe importanti, ma soprattutto con un politico abbastanza quotato, a Napoli. Era abbastanza  scafato da poter stabilire bene quel che voleva far “passare” sui media. Niente di scandaloso: i buoni politici sono soprattutto buoni comunicatori.  Poi, il suicidio e scusate se mi ci soffermo, mi ha colpito la dinamica. Diverso anche in questo: ti aspetteresti una pistola, un insano gesto  con “strumenti” più corrispondenti ai giorni nostri. Il cappio al collo è una pratica antica quanto terribile. Il giorno dei funerali a Pianura tanti colleghi si sono sinceramente commossi al passaggio del feretro di “Giorgione”, come qualcuno lo chiamava a Palazzo. La gente l’ha capito e nonostante la voglia di prendersela coi soliti giornalisti infami, non si è permessa di dire una sola parola in quel frangente. E dire che pochi minuti prima incredibimente, il prete della chiesa di San Giorgio a noi cronisti ci aveva già condannati dall’altare.
Ma non era Lui l’Unico, Altisssimo, Giudice, per i cristiani?

Domenica anche Rosetta Iervolino c’ha provato, a sostenere lo «sciacallaggio dei media». Poi si è rivolta ai cronisti presenti dicendo “non mi riferisco a voi”. Di solito mi incazzo da morire, quando uno si fa uscire sentenze simili, specie se un politico. Iervolino ha attaccato negli scorsi anni   “Ballarò” di Giovanni Floris; “Anno Zero” di Michele Santoro e ora “Matrix” di Enrico Mentana
Ma  domenica eravamo tutti molto scossi, per negare il dubbio che ci arrovella: siamo o no, sciacalli?
Quando sento parlare di inchieste che metteranno in ginocchio Napoli mi viene da pensare: e com’è possibile che c’era un malaffare così diffuso e radicato e nessun giornale è mai riuscito a metterci le mani sopra, a denunciarlo prima? Una domanda che nasce dalla convinzione che i giornalisti debbano sempre riuscire a mettere  le mani sulle storie, tra un sentito dire, un documento e una buona fonte.  Squali, sciacalli ma watchdog del Potere o disattenti – e dunque inutili – cronisti?  Nei prossimi giorni forse capiremo cosa si celava dietro le paure di Giorgio Nugnes, se è stato lo stillicidio di notizie e sospetti a spezzare le sue sicurezze o  se qualcosa l’ha spinto in maniera repentina a togliersi la vita.

Il mio destino in una mano/ sapendo già che ho perso.
Ma adesso sono libero/ adesso sono libero.
O forse sono morto/ sicuro sono morto
oppure sono nato/ e non mi sono accorto.
Daniele Silvestri – Il Dado

8 Comments

  1. Sulle modalità del suicidio, ho fatto esattamente le stesse osservazioni che hai fatto tu.
    E per il resto, bell’interrogativo. Ma riusciamo a porcelo davvero nel lavoro concitato di tutti i giorni?
    *

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  2. Caro Peppe, il tuo tono minacciosetto (e stupido, visto che offendi una vicenda triste) farebbe pensare ad una cosa del tipo “parla di Dell’Utri, tu che lavori a EPolis”.

    Ti anticipo: 1) aggiornati sulle fregnacce scritte su EPolis, basta usare internet; 2) ricordati che per parlare a viso aperto dovresti firmarti con nome e cognome (veri, possibilmente); 3) ti ricordo che i blog, sono soggetti alle leggi vigenti circa diffamazione & affini. Ciao

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  3. Ciro, un po’ mi sorprendi.
    Pensi davvero che essere “cronisti” vuol dire essere “giornalisti d’inchiesta?”. Mi spiego.
    Come dici tu, “gremlin” di palazzo san giacomo, al momento opportuno vi chiudono le porte. Come dici tu, Rosetta offende la categoria e poi dice “non ce l’ho con voi” (gli affecionades?, i trasmetti velina?).
    Gli strumenti per scavare in fondo a Napoli ci sono, credimi. Appartenere (per necessità di stipendio) al ritmo e al flusso delle informazioni che escono dal palazzo, beh…non ti darà mai quella possibilità, quella suficiente libertà da poter dire le cose anche come realmente stanno, e approfondire a tal punto che qualcuno, invece di indicarti come appartenente alla “famiglia allargata”, comincerà a vederti come “pecora nera”.
    Ma poi, ti converrà??? Potrai continuare a lavorare?
    Con stima.

    Salvatore

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  4. Caro Salvatore, capisco perfettamente quel che dici rispetto al rapporto fra noi e il Palazzo. Effettivamente ho omesso di dire una cosa: poi alla fine, nonostante loro lo impediscano, nel Palazzo ci entro ugualmente. E nella famiglia allargata non esistono solo le pecore nere, ma pure ‘e figlie ‘e ndrocchio (capisc ‘a mme!) 😉

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