Chiude Napolipiù

Il primo articolo porta la data ottobre 1998, era sui disservizi dei bus napoletani e mi tolsero uno “stronzo” di troppo dal pezzo. Poi ho imparato a descrivere stronzi nei pezzi ma senza scriverlo apertamente, quando ho deciso di voler davvero fare questo mestiere. Se fossi rimasto lì, quest’anno avrei festeggiato dieci anni di fila nella stessa redazione, sempre nel tentativo di imparare a fare il giornalista….

E invece il quotidiano “Napolipiù” – già “la Verità” – chiude e con esso cala il sipario su un capitolo interessante, quanto complesso, della carta stampata napoletana. E della mia vita, ma questa è un’altra storia.

Quando si chiamava “la Verità” ed era il giornale dei “napoletani veraci”, ha formato, o in alcuni casi contribuito a far crescere e campare, tanti bravi professionisti. Qualcuno ora è in Rai, in Mediaset, qualcuno al “Mattino” di Napoli, qualcun altro ancora è andato a Roma e lì ha avuto fortuna. Forse, anzi, sicuramente, anche grazie a quella scuola così dura, cinica e spietata. Da cronisti di strada.


So bene che un qualsiasi giornalista, messo a raccontare la sua storia professionale, la fa diventare quella di Walter Cronkite pure se magari ha fatto sempre il placido passa-comunicati, l’allegro compilatore di brevi o il tranquillo culo di pietra. Tuttavia mi sforzerò di essere il più obiettivo possibile. “La Verità” e dunque noi, è stato il primo giornale a Napoli ad utilizzare le macchine fotografiche digitali; primo giornale a raccontare in maniera metodica, sistematica e approfondita neomelodici, disoccupati organizzati, comitati degli sfrattati napoletani; primo giornale del Sud ad avere un numero di telefono gratuito per le segnalazioni dedicato ai lettori. Erano gli anni del Post-Tangentopoli e si raccoglievano i cocci di una società disgregata, senza punti di riferimento. I giornali erano il potere, “la Verità” era il megafono della rabbia di un’intera classe sociale di disperati. Fummo scomunicati sull’altare del Duomo di Napoli da quel bell’omino del cardinale Michele Giordano, ex arcivescovo di Napoli all’epoca accusato di usura («la veritaaaa? dovrebbeee chiamarsiii la bugiaa quel giornaleee»). E quante ce ne sarebbero da raccontare. Dalla maglietta contro i vigili e la polizia «Io non sono uno scippatore» agli Speciali “Scuola” e “Casa”, con i quali buttavamo in pagina chili di graduatorie per le immissioni in ruolo dei docenti e per le case popolari. Nomi fino ad allora accessibili solo dopo ore di fila a cercare su tabelloni scritti in corpo 4. Si salvava solo chi aveva un santo in paradiso nell’ufficio.
Un giornale sopra le righe fin dal primo giorno con un mitico «Bill Gates, comprati il Napoli», quando la squadra di calcio era in cattive acque… E come dimenticare quel «Bassolino para il culo a Prodi» o «Niente bus nè auto: e che cazzo!». Titolastri che facevano rabbrividire i nostri raffinati colleghi dei “Giornali Grandi” (si badi che non li ho definiti Grandi Giornali). E pure questo serviva, in quei tempi: stava nascendo l’Impero Bassolino con l’apporto di una stampa assopita per pigrizia e interesse e di un centrodestra consociativo e lo denunciavamo. La cosa ha comportato dei “costi”: la politica si guardava bene dal sostenerci, dunque addio alla pubblicità cosiddetta “istituzionale”, al supporto in ogni iniziativa. E quante volte ci siamo sentiti ospiti sgraditi dei Palazzi: negavano interviste, negavano perfino semplici informazioni. Ricordo l’allora assessore comunale alle Finanze, tal Roberto Barbieri, ex Ds e potente bassoliniano dell’epoca che non ci invitò alla conferenza stampa per l’emissione delle prime obbligazioni del Comune; dopo che avevamo gridato al “trucco”. Anni e anni dopo trasmissioni come Report ci hanno dato ragione.

Poi cronaca nera, quanta camorra, quanti morti uccisi. Ovunque avevamo gli scaffali pieni di foto e quando arrivarono le mitiche fotocamere Apple color marrone la gente che le vedeva diventava pazza («ma comm’è, nun ce sta ‘o rullino?»). Lo scanner radio della polizia sempre acceso, durante le faide, vomitava “attinti” da Scampìa ai Quartieri Spagnoli, come un’eterna litania. Non c’è uno di noi, dell’epoca, che non abbia fatto un “morto a terra”. Me ne ricordo uno io a Capodanno, avevo ancora il maglione sporco di pandoro, a vederlo col cervello a terra mi si gelò il sangue: era la prima volta, ma non ci ho mai fatto l’abitudine. Ai cortei dei disoccupati, i più facinorosi aspettavano noi, la nostra macchinetta digitale e il nostro taccuino per togliere le tende. Come fosse ieri mi ricordo il mitico Bruno dei disoccupati che aveva bloccato per ore la Circumvesuviana. Arrivai, scattai e lui: «Guagliù, è arrivato ‘o giurnalista, facimm ‘a fotografia e jammuncenne».

Ma come sintetizzare dieci anni di lavoro, crescita professionale; campare correndo dietro le notizie e spesso deragliare, con i tempi sanguisuga del giornale e dall’altra parte la vita privata che lanciava sos preoccupanti. Quante vicende personali ho risolto al bar sotto redazione, perché non avevo tempo di fare altro, non avevo (e non ho…) mai tempo.

“La Verità” ha avuto i contributi pubblici. All’inizio non arrivavano quattrini e fioccavano gli abusivi ma quand’è arrivata la boccata d’aria del contributo pubblico e con esso il meccanismo giornalistico ha iniziato ad ingranare seppur piano piano, sono arrivati i contratti. Non so quanti giornalisti professionisti sono stati formati, ma penso che in 6-7 anni saranno stati poco meno di una trentina. Quel giornale è costato meno di una scuola di specializzazione universitaria e da lì sono usciti giornalisti veri. Se non avevi voglia (e stoffa) non c’erano cazzi. E, scusate se lo dico, “dall’alto” di 31 anni d’età, 12 dei quali buttati tentando di imparare, ma forse per questo quando vedo certe scene di “colleghi” o aspiranti tali, di studenti e apprendisti stregoni, mi viene in mente la frase di quel tale: «Colleghi noi? Beh, siamo iscritti allo stesso Ordine professionale, ma non direi che siamo colleghi…».

E ancora: ricordo che non avevamo l’abbonamento Ansa e che un amico ci mandava i fax dei lanci d’agenzia quando c’erano i grandi avvenimenti e non dovevamo prendere buchi; ricordo che un giorno mancò l’elettricità fino alle 8 di sera e il giornale avrebbe dovuto chiudere alle 22. Quelle due ore successive furono uno sforzo collettivo rimasto nella storia. E la prima volta che ho chiuso una pagina con una notizia esclusiva e solo mia: Bankitalia blocca la vendita della “Società pel Risanamento di Napoli”. Notizia beccata alla soglia dell’ascensore di un hotel. Mi tremavano le mani dai nervi a scrivere. Mi ricordo poi il Global Forum e che mi sono fatto dai giardini del Maschio Angioino a piazza Municipio preso a calci in culo da un esponente delle forze dell’ordine preoccupato di vedermi lì così, con la macchinetta digitale (che nel frattempo si era evoluta) e col solito block notes. Era il marzo del 2001, pochi mesi dopo sarebbe andata in scena la tragedia del G8 di Genova.
Sarà l’1 per cento di tutto, ma non voglio farmi la biografia. Certo non ci sono stati solo ricordi belli, ma per l’occasione preferisco ricordare le cose positive.

Dunque Napolipiù – La Verità (nel corso di dieci anni è cambiata la testata, sono cambiate tante cose) chiude i battenti. Motivi di opportunità economica, decisioni societarie, nuovi progetti. Ne parla – e da tempo – un poco tutto quel piccolo paesello costituito dai giornalisti napoletani: al Consiglio dei ministri di qualche giorno fa mi hanno avvicinato almeno quattro-cinque persone per chiedermi lumi.
La cosa che mi inquieta è il silenzio. Alla gente poco importa se una voce si spegne, i politici ne approfittano per stilare un altro comunicato da buttare nell’ansa del giorno. Nel frastuono di una città che avrebbe anzi bisogno di sentir raccontare da più voci il suo vero, quotidiano, dolore a dispetto di opprimenti bavagli, mancherà, da lunedì, una buona voce. Senza che nessuno abbia mosso un dito per evitarlo. Significa qualcosa, ne dovremmo essere tutti preoccupati.

Quelli di Napolipiù e de La Verità di Napoli

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29 Comments

  1. Tu hai mosso più di un dito, non per evitarlo, ma per ricordare. A volte serve anche questo, che i giornali si fanno a partire dalle persone (e anche dai loro ricordi, dunque)

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  2. Io non sono evoluta – giornalisticamente parlando – come le macchinette fotografiche, ma conservo comunque ricordi di anni bellissimi passati in quella redazione. E la notizia, che mi ha raggiunta qualche giorno fa, mi ha lasciato piuttosto triste ed avvilita…

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  3. Il mio primo articolo pubblicato sul quotidiano “La Verità” è datato dicembre 1997 descrivevo con invettive e forzature letterarie l’abbandono dell’Albergo dei Poveri. Domenico Di Meglio, l’allora direttore responsabile della “Verità” mi convocò in redazione per parlarmi. Venne il grande giorno. Io piccolo piccolo ripiegato e sprofondato in una poltrona. Di Meglio mi guarda e rompe il ghiaccio: “Vuagliò ti vuoi imparare a fare il giornalista?. Allora cammina sempre con il taccuino in tasca e fai sempre domande, anche se non ti rispondono,scassa sempre il cazzo. Chiunque ti trovi davanti butta fuori e fai la faccia tosta”. Suggerimento da me interiorizzato e diventato il tratto del mio dna lavorativo. E’ stato un crescendo: litigi, accesi contraddittori, mazzate della polizia, mazzate degli spacciatori, incontro-scontro con il cardinale Giordano (sei una testa di pietra con quella brutta faccia che ti ritrovi), un fermo dei vigili urbani, un quasi arresto della polizia, una querela dei carabinieri e della Furfaro, minacce della camorra…Una grande avventura che ci ha fatto diventare prima uomini e poi professionisti. Al di là dei contrasti, dei diversi punti di vista e dei quarto d’ora di scomodo un pezzo importante della mia vita è annidato in quella testata.

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  4. Ciro, di solito quando una testata è costretta a chiudere gli altri “colleghi” sparano le botte o brindano con le peroni… ne ebbi conferma proprio a “napolipiù” quando con alcuni compagni di “campania sport” venimmo a cercare “fatica” in quel di via duomo… G.G. e E.C., allora reggenti del quotidiano, ci accolsero con un “finalmente, avete chiuso!”. Altro che voci e pluralismo, senza ipocrisie, chi bazzica l’ambiente lo conosce bene il mondo del cosiddetto “giornalismo napoletano”…

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  5. Eppure qualche anno di mestiere l’avevo fatto. E mi era capitato forse un centinaio di volte d’imbattermi nel morto ammazzato (se non proprio inciamparci, ma questa è un’altra storia… ). Ma è stato solo da quel “benedetto” (e che sia benedetto sul serio) giorno d’inizio maggio di quattro anni fa, quando ho messo piede nella vecchia sede de “La Verità-Napolipiù”, che ho compreso veramente cosa s’intendesse per “fame di notizia”. In quella redazione ho conosciuto gente che le notizie non si limitava a procacciarle per potersene “cibare” e basta. Perché lì dentro non è mai esistita la parola sazietà. Voracità, piuttosto, è il termine che meglio s’addice a certi cronisti (pochi, ma veramente buoni) che lì dentro sono cresciuti e pasciuti. E che hanno contribuito a far maturare in me quello stesso istinto. Non si scendeva in strada, nel senso cronistico dell’espressione, ma si correva per strada. La notizia la si inseguiva senza darle mai un attimo di tregua, e quando veniva raggiunta, già ci si occupava di quella successiva. E’ stato bello battere tante volte i cosiddetti “grandi”, quando eravamo in tre e mal equipaggiati contro trenta e ben armati. E’ stato bello lavorare con Ciro, vulcano di idee. Con Arnaldo ed il suo “brutto vizio” di trovarsi sempre al posto giusto, al momento giusto. Con Gianluca, instancabile corridore lungo i viali del tribunale. Con Giorgio, geniale ideatore di un gran bel giocattolo chiamato “La Verità”. E con Alberto ed il suo immenso amore per questo meraviglioso mestiere…
    Giuseppe Porzio

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  6. Ma possibile mai che dovete fare commuovere me che la dentro ci sono entrata una sola volta? E comunque: testimonianze del genere servono eccome, servono per una persona nata magari in un paesello più piccolo di un quartiere di Napoli, con la voglia di scrivere e un incontro abbastanza devastante con il mondo del giornalismo. Avevo già il tesserino da pubblicista amaranto ma non avevo mai incontrato, prima di Ciro, di Arnaldo, di Peppe, persone con una tale voglia di raccontare la verità per davvero e di condividere, di aiutare chi aveva la stessa fame di notizie.

    Però in questa atmosfera lacrimosa vogliamo anche ricordare le vere sante di questo mestiere. Mogli e fidanzate, noi che aspettiamo tre ore prima di sapere se Lui può venire un momento a cenare, noi che dobbiamo fare i segnali di fumo per farci rispondere a telefono, noi che tremiamo ad ogni festivo pagato e ad ogni sciopero che è sciopero solo per i giornali grandi.
    Noi, vere portapacienza dell’informazione.

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  7. IO SONO UNO di quelli che quando c’era la LA VERITà era in corteo per dire basta all’eterno precariato di una vita passata in un ufficio pubblico a lavorare come gli altri ma prendendo uno stipendio da LSU. Ringrazio LA VERITA e tutti i suoi giornalisti, spero che possa ritornare presto in edicola

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  8. Era un giorno di maggio del 2004, quando varcai la soglia della vecchia redazione, in via Duomo. Grazie ad Arnaldo, ebbi la fortuna di muovere i primi passi in questo mestiere. “Cominci tardi (anagraficamente parlando, allora ne avevo 31) – mi fu subito detto – ma non conta”. Cominciai con una protesta a Bagnoli, sfrattati a Coroglio, che vivevano in mezzo a topi e monnezza. Non avevo nulla, se non il mio taccuino e i miei occhi, degni sostituti di una digitale che poi avrei avuto. Seguirono i cortei dei disoccupati (me ne ricordo uno “storico”, in pieno inverno, a piedi dal Ponte di San Severino fino a Palazzo Santa Lucia, al seguito di un migliaio di scalmanati e un cane che abbaiava incessantemente…..a fine serata non sentivo più le gambe). I primi ingressi nelle ex Circoscrizioni, le conferenze in Comune, in Regione, la stretta di mano con la Loren (“vezzo” di Giorgio per la firma di Charme, che rincorsi fino a Venezia nel giugno 2006), il mio lavoro di “corrispondente” dalla Sanità, dove i morti ammazzati sono consuetudine anche per una ragazzina di poco più di 5 anni che cammina incurante in una pozza di sangue, mentre il papà la rimprovera. O la mia intervista in esclusiva alla vedova di un giovane pizzaiolo (Giuseppe Riccio), la cui unica colpa fu l’altruismo e x la quale Gianluca (Mancuso)mi disse “Da uomo…ti dico che mi hai fatto commuovere”. Ma ricordo (e ricorderò sempre), due fatti che mi hanno cambiata, aiutandomi a crescere. La morte di un ragazzino di 16 anni, a due passi da casa mia e l’aver denunciato, dopo 28 anni, la gestione “privata” di un garage comunale. Nel primo caso, ho scritto pagine intere per altrettanti mesi, dando voce alla disperazione di una famiglia, ma anche ad una generazione senza ideali. Nel secondo, appena nel settembre scorso, dopo aver martellato con le mie denunce, per circa dieci giorni le istituzioni locali, sorde come sempre, scattarono le manette per 23 pregiudicati. Ebbi paura, per le conseguenze che ne derivarono (minacce indirette e dirette in cui mi si consigliava di “starmene buona”), ma ne fui e ne sono tuttora contenta. Fiera di aver fatto il mio lavoro, di non aver guardato dall’altra parte, com’è abituale costume in questa città. Tutto questo è successo in quattro anni, i miei quattro anni a Napolipiù. Tutto questo ho imparato, stando in strada, la mia “passione”. Quella che mi hanno trasmesso persone come Arnaldo prima e Peppe poi. E tutto questo mi ha aiutato a crescere e a capire che questa non è la fine, ma l’inizio di una nuova sfida per chi ha dato e continuerà a dare l’anima per questo stupendo e maledetto mestiere.
    Grazie, Napolipiù!

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  9. Ho sperato che, anche questa volta, si trattasse del solito “al lupo, al lupo”. Come ne abbiamo sentiti tanti negli anni trascorsi nella redazione sgangherata di via Duomo. Chi mi conosce, sa che al giornalismo ho sacrificato gli affetti e la famiglia. Forse, come direbbe Ciro, non ho saputo – o voluto – cogliere gli “sos preoccupanti” che la vita privata lanciava. Quando ho lasciato “Napolipiù” l’ho fatto per chiudere un capitolo. Con franchezza ho guardato Giorgio negli occhi e gliel’ho detto. Lui ha capito che si trovava di fronte ad una “scelta di vita”. E c’è la mia storia a raccontarlo. Oggi vivo e lavoro a Roma nel quotidiano DNews e sono felice (nonostante le “invettive” lanciate da Arnaldo). Ma i ricordi, quelli restano e sono indelebili. E non basterebbero diecimila post per raccontarli. Ma un giornale è fatto di uomini, e gli amici e poi colleghi incontrati a Napolipiù – tranne rarissime eccezioni – mi hanno insegnato tanto, tantissimo. Ciro, Arnaldo, Peppe e, soprattutto Alberto, sono stati li ad illustrarmi, giorno dopo giorno, come si faceva il mestiere. Li ringrazio e li abbraccio, come ringrazio Giorgio, Emilio, Antonio, Marco per le cazziate elargite strada facendo. Cambiare titoli su titoli, attacchi dei pezzi e persino portare duecento libroni a spasso per la redazione (Emì, t’hann magnà e pitbull!) è stata una palestra professionale e di vita. Allora imprecavo santi, madonne e “bambini elettronici” (a proposito Arnà, o bambino ncatramat sta bbuon!), oggi ringrazio. Così è la vita ed è fatta di porte che si chiudono e portoni che si aprono. L’esperienza di Napolipiù si è chiusa, ma restano tanti progetti (avviati e in cantiere) e un gruppo di giornalisti con le palle cubiche. Un grandissimo in bocca al lupo a tutti e, se permettete, anche a me medesimo che – come direbbe Totò – “ho attraversato l’Alto Adige”. Guagliù, vi voglio bene! P.s. Non se ne vogliano quelli che non ho citato…

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  10. Un groppo in gola e pochi flash: la redazione di via Duomo con l’indecifrabile moquette, i rumorosi condizionatori, la mitica Monica, la stanza della Gallone, la pizza del presidente o il panino della salumeria di via Duomo. La Jervolino dirimpettaia, il baracchino sempre acceso sulle frequenze radio della polizia, l’angolo del venerabile Marino Marquardt, la stanza del direttore, i bagni con gli avvisi minacciosi di non sporcare. Troppi ricordi per un post.
    Un saluto e un abbraccio a tutte le persone che ho conosciuto e che mi hanno regalato esperienze che si sono impresse nel mio dna. Un saluto particolare a: Emilio Gioventù, Monica, Antonio Di Costanzo, Max Solimena, Ciro Pellegrino, Pietro Nigro, Stefano Ghionni, Marco Di Bello, Gino.
    La redazione non era già da un po’ di anni in via Duomo. CIAO A TUTTI.

    Simone Savoia

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  11. La notizia di questa brutta “dipartita” era nell’aria da già qualche tempo e la cosa, vi assicuro, mi angosciava un bel pò. Speravo non fosse vero, pensavo alla solita bufala dei Malinformati, ma niente…era cosa vera.

    E’ inutile dirlo, ma lo dirò lo stesso…A questa testata sono legati i più bei momenti della mia giovane carriera di giornalista , tutti gli anni passati a rincorrere notizie da un campo all’altro, le mille esperienze, le piccole lotte per veder riconosciuto un “soldo” al mio operato da povero studente senza economia.

    Tutte le lezioni di vita e di “mestiere” che ho imparato dai vari Fofò De Biase, Max Bonardi, Roberto Esse, Gianluca Agata…Tutti professionisti serissimi e persone meritevoli di una realtà ben più solida.

    Mi mancherà tutto, ma soprattutto la bella realtà giornalistica che Napolipiù ha saputo rappresentare guadagnandosi, sul campo, stima e rispetto dei lettori e formando tanto belle “menti”.

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  12. Dieci anni fa. O quasi. La mia esperienza a La Verità iniziò nel 1999. Era il mese di novembre. Ricordo ancora il mio primo colloquio con Giorgio Gradogna, il direttore del giornale. L’anima della Verità. Oggi un fratello maggiore per me. Un uomo cui devo tantissimo. Di Giorgio mi aveva parlato Fofò De Biase. <> mi aveva detto. <>.
    Con Fofò avevo diviso l’esaltante avventura di “Vesuvio”. Un caro compagno di strada. Ci ritrovavamo in via Duomo. Era lui l’unico “volto amico” di una redazione che di amici, di lì a qualche anno, me ne avrebbe regalati tanti. Qualcuno rivelatosi poi vero, nel tempo. Verissimo. Qualcuno, ahimé, miserevolmente fasullo e deludente. Ma è da quando esiste il mondo che funziona così, o no?
    Era a Fofò, comunque, grande, unico e inimitabile Fofò, che dovevo quel colloquio!!
    Giorgio è al telefonino, momentaneamente impegnato. Una brevissima anticamera, poi mi viene incontro, sorridente. Mi fa accomodare nel suo ufficio. Poche parole, tanta cordialità e l’invito a darci dentro. <>. Accetto. Ero andato per convincere, mi ritrovo convinto. Mi occuperò della provincia. Due settimane e mi sento già a casa, neanche avessi lavorato a La Verità da sempre. Merito dei vari Marco Di Bello, lui sì amico fedele e sincero, senza se e senza ma; Emilio Gioventù, Antonio Di Costanzo, Paola Terlizzi, Ciro Pellegrino, Arnaldo Capezzuto, Stefano Ghionni, Marino Marquardt, Rosaria Vela, Mario De Filippis, Chiara De Martino, Ester Trevisan, Gustavo Gentile e di lì a poco dello “sportivo” Maurizio De Santis (un altro reduce da Vesuvio…), del grafico “brontolone” Pasquale Amato (guagliò, senza offese, mi raccomando!!) e del mitico Carmine Alboretti (collega vesuviano di razza, mio vecchio e caro amico), solo per citarne alcuni. Quelli che in qualche modo mi sono rimasti dentro e con i quali ho condiviso un pezzo di vita. Persone in qualche modo speciali. Merito dei loro modi, della loro simpatia.
    Merito di Giorgio Gradogna, che mi parla di squadra e che da semplice giocatore di quella stessa squadra agisce, non da “prima donna”, non da direttore. Lui che di sedersi dall’altra parte della scrivania proprio non vuole saperne, e sì che ne avrebbe tutti i diritti!!. Lui che per anni, checché ne dicano detrattori e nemici di turno (quanti ne abbiamo incontrati in questi anni), ha sorretto la baracca sulle sue spalle (e sfido chiunque a dimostrare il contrario!!) con il solo aiuto di pochi e fidati “fedelissimi”, innamorati folli, come lui, di un progetto difficile e impegnativo, ma che proprio per questo ci piaceva da morire. Insieme, fino alla fine.
    Che tempi, quanti bei momenti!!
    Ricordo una sera. Era tardi. Rischiavo di perdere il treno per tornare a casa. Arnaldo aveva un motorino mezzo scassato. Si offrì di darmi un passaggio. Nel breve tragitto che ci separava dalla stazione, mi raccontò tutta la sua vita, neanche ci conoscessimo da sempre!! Ed era la prima volta, di fatto, che noi due ci parlavamo. Ma alla Verità era così. Non solo palestra di giornalismo, non solo fucina di professionisti (quanti ne hai sfornato cara Verità!!), ma anche ambiente sano, in cui vivere, crescere e confrontarsi, tra un battibecco e l’altro (in quale posto al mondo non si litiga mai?), uno scambio di idee e un sano sfottò (Ciro la tua parodia del contadino con l’accento flegreo, io che sono un vesuviano doc, mi ha tormentato per anni!! Ma un po’ ne sento la nostalgia…). Noi, tutti uguali, tutti giù dal piedistallo!! Tutti capiredattori, tutti collaboratori, “tutti professori” come era solito dire il caro Emilio. E poi… quanti maestri ho avuto in questi anni, vero caro Filiberto Passananti? Magari all’inizio non ci siamo “piaciuti” subito (per colpa del mio strano carattere e del mio essere permaloso, ovvio!!), ma come dimenticare quello che mi hai insegnato?. Certo tante cose sono cambiate. Ma si sa, è la lezione della vita. La dura legge del tempo. E della maturità.
    Gli anni passano, le cose cambiano. Uno cresce, fa esperienza. I giovani e i ragazzi di un tempo sono diventati adulti. C’è chi ha scelto strade nuove, chi è sbarcato su altri lidi. Chi ha abbracciato avventure diverse dalla nostra. Chi ci ha lasciati per colpa di uno stramaledetto destino (il pensiero va al caro e indimenticabile Alberto Marzaioli). Uno zoccolo duro, tuttavia, è sempre rimasto. Immutato negli anni. Vera anima della Verità prima e di Napolipiù, poi. Spina dorsale del giornale. Un gruppo che ha garantito continuità al progetto, aiutandolo ad attraversare momenti brutti e difficili, agevolando e assorbendo i nuovi innesti (ricordo l’ottimo giudiziarista Gianluca Mancuso – e non fa niente se non mi ha citato – e il nerista Peppe Porzio, il “giornalista della faida”, un altro dalla memoria fragile. Perdonato, guagliò!!…). Fino all’epilogo. Triste e malinconico, come non avrei mai immaginato.
    Napolipiù ha chiuso i battenti. Ha abbassato la saracinesca. Già. Viene da chiedersi perché, come se nessuno sapesse, nessuno se lo aspettasse. Eppure è successo, possibile tutti ci siano rimasti di sasso? Proprio nessuno sapeva? Cavolo, ma dove erano quelli che oggi piangono lacrime amare?
    Chi come noi ha deciso di rimanere in trincea fino all’ultimo giorno, rinunciando a ferie e permessi, venendo a lavorare di buon ora al mattino proprio come ai vecchi tempi, non è stato ovviamente colto di sorpresa. L’epilogo era ampiamente preventivato. Sapevamo che sarebbe arrivato e lo abbiamo atteso, sia pure con la morte nel cuore. E oggi ne soffriamo, perché perdere una creatura che sentiamo nostra è la cosa peggiore che possa capitarci. E’ come una persona a noi cara che si spegne, ma che tuttavia sapevamo essersi ammalata di un male incurabile. Ma ha questo male una origine? Ha questo male una sua giustificazione? Poteva questo male essere debellato in tempo? Forse sì. Basta riflettere. Tutti quanti assieme, vecchi e nuovi compagni di strada e non solo. Penso alle associazioni, ai movimenti, ai partiti che operano in questa strana e paradossale città. Nessuno escluso e sottolineo nessuno escluso. Me compreso. Quanti tra quelli che oggi soffrono (e si “sbattono”) per la chiusura di Napolipiù e ci dimostrano la loro solidarietà arrivando addirittura a bacchettarci per non aver impedito la “fine delle trasmissioni”, ha mosso un dito per impedire che questo accadesse? Quanti hanno veramente dato tutto quello che avevano per impedire che il giornale si fermasse? Quanti si sono prodigati per impedire tutto ciò? Chi tra quelli che hanno condiviso la nostra stessa strada, in questi anni, in questi mesi, in queste ultime settimane, ci ha, poi, veramente creduto fino in fondo? Quanti hanno realmente sentito “loro” il progetto che pure li comprendeva, nello stesso momento in cui ne facevano parte a pieno titolo? Quanti hanno giocato a fare i semplici impiegati, accampando scuse e diritti, salvo poi travestirsi da vittime sacrificali quando si è avvicinata la fine? Quanti (ripeto: me compreso), possono guardarsi allo specchio e dire a se stesso: “Ho dato veramente tutto quello che avevo”?. Ho i miei dubbi, sì. Ho i miei dubbi che realmente tutti abbiano fatto fino in fondo il loro dovere. Dubbi che mi porterò dentro per sempre. Una sola cosa, però, mi sento di poter dire: la gratitudine, signori miei, non è di questo mondo.
    (Gabsca)

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  13. DA IUSTITIA.IT

    La Verità si dà all’ippica,
    Napolipiù viene seppellito

    DOPO DIECI ANNI, cinque mesi e dieci giorni scompare Napolipiù, quotidiano partenopeo partito con la testata La Verità. L’ultimo numero è andato in edicola il 25 maggio, il giorno successivo ha salutato i lettori Napolisport, il numero settimanale del lunedì.
    La Verità nasce nel dicembre del 1997 per iniziativa di Giorgio Gradogna e della cooperativa Editoriale La Verità, che conta tra i soci fondatori Domenico Di Meglio, Enrico De Girolamo, Emilio Gioventù, Carmen Plotino, Luigi Roano, Marco Di Bello e Antonio Di Costanzo, gli ultimi due rimasti fino in fondo a vivere l’avventura del giornale.
    Il progetto editoriale è nella testata: l’obiettivo è diventare la voce dei vicoli, il quotidiano dei napoletani veraci, l’occhio critico nei confronti dei Palazzi; azzecca alcune campagne (ingaggia un duello con il cardinale Giordano; polemizza in maniera aspra con il prefetto Profili), tira fuori tante notizie, arrivano minacce e querele; ma non riesce a ritagliarsi uno spazio in edicola. E cominciano gli esperimenti alla ricerca della formula giusta: viene lanciata una nuova testata (è il settembre 2002); il formato viene via via ridotto; si tentano varie formule editoriali; il risultato in edicola però non cambia. A dare ossigeno alla cooperativa arrivano dal 2000 i contributi del finanziamento pubblico che consentono di regolarizzare le posizioni di giornalisti e amministrativi. Al momento della pubblicazione dell’ultimo numero, Napolipiù conta dodici redattori, di cui sette graduati: con il direttore Gradogna, Donatella Gallone, Marco Di Bello, Gabriele Scarpa, Maurizio De Santis, Antonio Di Costanzo e Antonio Vastarelli.
    Un quadro contributivo Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, certo non ordinario nel panorama editoriale campano, connotato soprattutto da precarietà e abusivato.
    Nel 2007 il contributo dello Stato ha superato il milione e mezzo di euro; nonostante ciò il bilancio è in perdita. “Nell’ultimo biennio – dichiara Giorgio Gradogna, dalla fondazione anima del giornale, direttore responsabile di Napolipiù e amministratore unico della cooperativa Editoriale La Verità – abbiamo chiuso bilanci con un rosso profondo: soltanto nel 2007 le perdite hanno toccato i 440mila euro. La situazione era diventata ormai insostenibile, tant’è che già da un anno avevo annunciato la decisione di farmi da parte e sei mesi fa avevo presentato le dimissioni da amministratore. A questo punto come cooperativa avevamo davanti tre strade: ricapitalizzare per azzerare le perdite attraverso un finanziamento soci; mettere in liquidazione la società; lavorare a un piano editoriale che garantisse entrate diverse e più consistenti. Ne abbiamo discusso all’assemblea dei soci convocata nello scorso marzo e ho ricevuto il mandato di esplorare la terza ipotesi. Ho preso vari contatti e ho individuato un editore milanese, Giuseppe Tatarella, con il quale abbiamo concluso un accordo, che a fine aprile è stato approvato dalla cooperativa e subito dopo comunicato al comitato di redazione (Giuseppe Porzio, Gabriele Scarpa e Antonio Vastarelli) e all’Associazione napoletana della stampa.
    L’intesa prevede la cessione da parte della srl Mercati popolari della proprietà della testata La Verità alla Risma spa per un importo di poco superiore al milione di euro, l’ingresso nella cooperativa Editoriale La Verità di nuovi soci con competenze specifiche nel mondo dei cavalli e il trasferimento della sede operativa da Napoli a Milano”.
    Poiché nessuno dei redattori di Napolipiù ha accettato il trasferimento a Milano, è stata decisa la messa in mobilità con il licenziamento dei dodici giornalisti in organico, operazione che verrà completata nell’arco di cinque mesi: sette redattori sono stati licenziati il 25 maggio, Gradogna sarà fuori dal 2 luglio, gli ultimi quattro (Bonardi, Del Prete, Porcaro e Vastarelli) andranno via ai primi di ottobre.
    Ma chi è l’uomo che ha risolto i problemi di bilancio de La Verità? Sessantadue anni, origini pugliesi, natali milanesi, Giuseppe Tatarella, cugino dello scomparso Pinuccio Tatarella, vice presidente del consiglio nel primo governo Berlusconi, si è sempre occupato di editoria. “Per venti anni, dal 1969, – dichiara a Iustitia – ho lavorato alla Mondadori, occupandomi di vari periodici: Epoca, Panorama, Dolly, che ho praticamente inventato, Guida tv, Sale e pepe, Bolero, Storia illustrata, Confidenze. Nel 1989 l’ex presidente di Mondadori Sergio Polillo mi propose di occuparmi di giornali ippici: cominciai con Cavalli e corse, seguito da Trotto Sportsman, testate poi fuse ne Lo Sportsman fino al dicembre 2007, quando la cooperativa di cui faccio parte, la Coedip, ha deciso di camminare da sola con un nuovo quotidiano, Il Trotto & Turf (in inglese il mondo delle corse, ndr). Il giornale, che esce tutti i giorni e costa un euro e mezzo, ha una tiratura media di ventimila copie, il formato del Corriere della sera, una foliazione di 28 pagine che salgono a 48 il sabato e ha una redazione formata da undici giornalisti, direttori inclusi
    (Tatarella, dal ‘96 giornalista pubblicista, direttore editoriale e Marco Trentini direttore responsabile, ndr)”.
    La Verità se ne va a Milano, Napolipiù viene seppellito, ma potrebbe risorgere in autunno come settimanale partenopeo di inchieste, con quattro o cinque dei vecchi redattori guidati da Gradogna che per ora si occupa soltanto del bimestrale Charme, di cui è proprietario e direttore. Intanto con la cooperativa Edizioni Gazzette Maurizio De Santis è subito partito con un nuovo settimanale che recupera la testata utilizzata per il numero del lunedì, Napolisport.

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  14. Non vorrei apparire sgradevole e fuori luogo, ma Napolipiù sarà stata pure una palestra per alcuni, ma insieme a tutti i giornali campani che prendono fondi pubblici ha tolto il lavoro a un mare di persone. Parliamoci chiaro, Napolipiù lo si leggeva vedendo la prima pagina dal giornalaio. Per non parlare degli ultimi anni passati a lasciare spazio a squallidi politicanti di quartiere che facevano a gara per vedere il proprio nome pubblicato su un giornale come napolipiù (quanto fatto nella campagna elettorale del 2006 è quanto di più indecoroso ci sia). La chiusura di un giornale come Napolipiù deve far sperare la nascita di un nuovo giornale, magari, che sia possibilmente una ‘palestra’ anche per i lettori….

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  15. Paolo forse Ciro si riferiva alla prima vita di un giornale che ha campato dieci anni. Comunque il tuo commento è quello di uno che li legge dal giornalaio, i giornali.
    Bisognerebbe aprirli, sai? Penso che dovresti fare nomi e cognomi, citare fatti e circostanze prima di sentenziare. No?

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  16. Desidero esprimere la mia solidarietà, personale e professionale, ai colleghi di Napoli Più che hanno sovente dimostrato il loro coraggio e la loro ferma determinazione a raccontare i fatti, senza se e senza ma, con estrema lucidità e chiarezza. Ho fatto parte, in passato, della redazione della Verità, occupandomi della cronaca nera della provincia. Una esperienza che si è rivelata fondamentale nella mia formazione, tanto che quando, qualche anno dopo, ho deciso di lasciare l’avvocatura per inseguire il sogno di vivere di giornalismo, mi sono ritornate alla mente le giornate passate in redazione, accanto ai colleghi dell’epoca. Il merito è del mio conterraneo Gabriele Scarpa (il cui unico difetto – ammesso che di “difetto” si possa parlare (sic!) – è quello di essere tifoso milanista …), del direttore Giorgio Gradogna che ha creduto in me fin dalla mia prima, timidissima, apparizione in via Duomo, e dei tanti colleghi che all’epoca collaboravano, tra cui l’autore del blog che mi ospita. A prescindere da come sono andate le cose, credo che Napoli più abbia, comunque, lasciato una traccia indelebile nella storia del giornalismo partenopeo. Ed io sono stato onorato di essere stato un piccolo, modestissimo, ingranaggio di quel meraviglioso meccanismo …
    Carmine Alboretti

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  17. Scusate, ma il Napolipiù che ha chiuso era quel giornale dove per ANNI spremevano fino all’ultima stilla – me compreso, of course – giovanissimi aspiranti giornalisti, senza uno straccio di stipendio – ma forse stipendio è pure troppo! – senza un misero, simbolico, secchissimo rimborso spese – sempre promesso e MAI arrivato, anche dopo l’erogazione dei fondi governativi di sostegno all’editoria? Quello dove dovevi girare col tesserino “Visitatore” in tasca, ché se arrrivavano i controlli lì dovevi incollartelo al petto fingendo di essere uno che si trovava per caso a scrivere ai loro pc? Quel giornale dove tale Donatella Gallone scriveva illeggibili paginate paratattiche di pseudo critica d’arte atteggiandosi a una novella Rosalind Krauss, per poi lanciarsi a urlare contro l’infame collaboratore che s’era permesso di chiedere – ad ALTA VOCE, orrore!, proprio mentre lei scriveva! – se qualcuno aveva voglia/bisogno di un caffè?
    Se è quel giornale, francamente, e scusate il francesismo, che abbia chiuso, me ne frega un cazzo.

    Se poi è il giornale di gente valida e umana come Gabriele Scarpa, Massimiliano Bonardi, Fofò De Biase, Stefano Ghionni, Ester Trevisan e Ciro Pellegrino, Marco Di Bello, Gianluca Mancuso, se è quel giornale lì, fatto da quella gente lì, mi spiace. Ma sono sicuro che il talento trova sempre strade da battere, e loro non se ne staranno con le mani in mano a lungo.

    Piero Sorrentino

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  18. Salve Piero, non ti ho mai letto nella cronaca napoletana, però cercando sul web vedo che hai messo a frutto le tue sicuramente indubbie capacità e che ora lavori in altri campi e sei pure amico di “gente che conta”…

    Mi spiace per quello che hai passato, ci sono passati tanti e in giornali ben più blasonati, si chiama gavetta. Non prendertela.

    Comunque, di quei sette cronisti che hai citato, quattro-cinque già da molto se n’erano andati per altri lidi.

    in bocca al lupo, scusa ciro per l’intrusione.

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  19. Nel gennaio 2002 entrammo in un portone di via duomo.
    Piero accompagnò me e Francesco in redazione.
    Un omino col la gamba offesa e gli occhiali ci bloccò nell’androne del palazzo: ci fece il terzo grado. Guadagnammo, dopo l’interrogatorio, l’accesso alle scale. L’ascensore era rotto e i gradini, dopo il secondo piano diventavano pesanti. All’accettazione c’era Monica.

    Era il 25 gennaio. Feci un veloce colloquoi con l’allora caporedattore Emilio Gioventù che mi affidò nelle mani della redazione spettacoli (Mariagiovanna e Annalisa). Dopo qualche mese passai alle “dipendenze” di Fofò e Max Bonardi, poi la cronaca nella stanza che non avevo mai visto, quella dei “misteri”…quella con Gabriele, Arnaldo, Ciro, Peppe, Gianluca.
    Napolipiù l’ho vissuto da collaboratore, da collaboratore spremuto, per non dire sfruttato .
    E’ stata la mia prima scuola giornalistica.
    Mi ha formato, mi ha inseganto a stare per strada a cercare notizie, a fare domande, ad appizzare le orecchie, a essere curioso a vedere spettacoli osceni nei teatri alternativi.
    Però mi ha fatto anche dispiacere per come non ero considerato, per le promesse di rimborso mai mantenute, per le cazziate sclerotiche di qualche redattore, per la non curanza e il disprezzo di pseudeogiornalisti arroganti.
    A settembre scorso ci sono tornato, per vedere le cose come andavano nella nuova sede di via marina. Ho ritrovato facce vecchie insopportabili, saccenti e arroganti come sempre, altre invece mi hanno accolto bene, come nei primi giorni di sei anni fa. Poche facce, ma cordiali e soprattutto vere.
    Mi dispiace per loro che l’avventura del “quotidiano di quartiere” sia finita, mi dispiace per quelli della stanza dei “misteri” (anche se alcuni già sono altrove) ma chi è in gamba avrà sicuramente ancora tanta strada da percorrere.
    Walter

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  20. Mi fa piacere leggere tutti questi commenti, vorrei spazzare il campo da qualche fraintendimento, inevitabile davanti ad una così varia umanità.
    Ovviamente le esperienze sono diverse l’una dall’altra e tutte assolutamente valide; essendomene andato da Napolipiu’ qualche anno fa ho una visione solo parziale dell’epilogo, ce l’ho chiarissima invece di tutto il periodo precedente.
    Dunque, il mio post non era celebrativo nè epico: solo malinconico, come è nel mio carattere. Questo per rispondere a chi, qui e via mail molto garbatamente mi ‘accusava’ d’eccessiva enfasi. Così come non nego (e come si potrebbe farlo, sono stato fra i primi a sperimentarlo sulla mia pelle) che lì non tutto era bello, pulito e sistemato.
    Mi piace però pensare che c’è stata gente (compresi quelli che hanno scritto su questo piccolo blog) capace di trovare fra le ingiustizie palesi e la cattiveria della cronaca («lì imparavamo ciò che nessuno dovrebbe imparare» scriveva Vittorio Zucconi) la forza per cacciare il meglio e andare avanti. Per alcuni il risultato è palese e ne sono sinceramente contento, lo meritavano. Per altri è in arrivo, il lavoro paga. Alla lunga, dopo tribolazioni. Ma sempre.

    cari saluti a tutti voi
    ciro

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  21. Insomma ecco il francesco di cui parlava walter. Uno dei tanti praticanti spettacoli del Napolipiù.
    L’esperienza al giornale è stata importante. Era il primo vero approccio a questo mondo ed è servito. Una palestra importante, in alcuni momenti difficile. da lì sono usciti ragazzi che oggi si fanno il culo per strada ed è un piacere leggere su altri giornali (vedi “Il Napoli”, ovviamente). Certo tante cose sono rimaste in mente. Il mitico Fofò, la già ricordata Monica, la coca cola di Gino Castronuovo, e le tante cose raccontate dagli altri. Ovviamente a quello si aggiungevano anche cose un po’ meno piacevoli, come sempre succede, e stare in stanza spettacoli spesso era soffocante (tranne che per Annalisa e le risate con Arnaldo; ma tu lì che ci facevi? :)); redattori (anzi redattrici) frustrate e saccenti che godevano a metterti i bastoni tra le ruote, e che ha fatto allontanare gente che poi si è ritenuta più che valida…ma forse anche questo ci sta e serve da esperienza; si chiama gavetta no? In fondo, comunque, è stato un pezzo importante della mia vita e il fatto che chiuda non può certo rallegrare, ma come dice Walter “chi è in gamba avrà sicuramente ancora tanta strada da percorrere”, e già lo si è cominciato a vedere.
    Francesco Raiola

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  22. Mi permetto di ricordare anch’io questo giornale che se nè va..
    E con lui se nè vanno anni bellissimi, quando io e te eravamo ancora amici (che si frequentano).
    Per qualche mese mi hai fatto sentire “pure a me jurnalist” e non lo posso dimenticare…
    E mi permetto ancora di ricordare quella sera in cui verso le 21 siamo dovuti correre sopra Materdei perche “il corpo era venuto fuori dalla terra dopo il “patapat e l’acqua” che aveva fatto sprofondare tutto”.
    Eravamo io, tu la mitica macchina digitale e duemilalire per pagarci l’autobus…
    Ti voglio sempre bene.

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  23. Vorrei poter dare anche la mia testimonianza, se possibile. Ho cominciato a lavorare per La verità pochi mesi dopo la sua apertura. Già ero iscritta all’Albo e mi occupavo di Cultura e Spettacolo. Ebbi la fortuna di lavorare, oltre che per un grande giornale, per un grande caporedattore…il mitico Alfonso De Biase, per gli amici Fofò. Ricordo con simpatia quando mi rintracciava al cell e diceva: “Sei in Rai? Ci sono ospiti importanti? Mi raccomando, interviste piccanti alle donne dello spettacolo e fotografa zizze e sederi!” Anche se era un giornale giovane, incapace di elargire paghe, nessuno si è mai sottratto al proprio dovere giornalistico. Dobbiamo molto a La Verità…Uno dei pochi giornali che non ha mai avuto paura di parlare fuori dai denti. Lavoravo in coppia con Daniela Muscari, una digitale in prestito e non avevamo nemmeno 2000 lire per il tram…andavamo in macchina.
    Un saluto a tutti

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  24. Ma c’ero anch’io nella storia di Napolipiù, ero in silenzio dietro le quinta a correre a destra e a manca a curare rapporti sociali, grazie ai quali riuscivo a recuperare, giorno dopo giorno, risorse economiche a sostegno di quelle pagine che aspettavano di essere stampate.
    Per raccogliere la pubblicità, ho inventato cose stimolanti per i nostri inserzionisti come lo speciale bar, lo speciale pizzerie, la raccolta di dediche d’amore da pubblicare a San Valentino e alla Festa della Mamma, lo speciale del mercoledì Salute e Bellezza che mi impegnavo anche a scrivere e tante altre iniziative che puntualmente venivano copiate e pubblicate dalle altre testate.
    E’ stata comunque una bella esperienza per me che provenivo da altri settori, ho imparato un nuovo mestiere, un lavoro impegnativo, una corsa interminabile per essere puntuali e presenti in edicola ogni mattina.
    Un lavoro stressante ma affascinante, un lavoro che ricordo con nostalgia, mi piacerebbe tanto respirare ancora l’aria e il fumo di quella redazione di via Duomo la Verità Napolipiù, dove eravamo tutti per uno e uno per tutti, isomma una vera famiglia!
    Mi piacerebbe rivivere tutto di quei 12 anni, aneddoti, sacrifici, traversie……..e……qui mi fermo, perchè non esistono parole per mostrare qualcosa di una bella realtà che non c’è più.

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  25. Una sola cosa, fra tante la voglio menzionare, ti ricordi Ciro che quando mi vedevi facevi gli scongiuri grattandoti le pa….. perchè avevo venduto la pubblicità a quello delle pompe funebri? Ti faceva impazzire tanto il fatto che avrei potuto disporre di un funerale in cambio di pubblicità.

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  26. E’ stata la mia palestra, la mia prima Redazione. Non avevo nemmeno 25 anni. E’ stato il primo tentativo di scrivere solo di arte. Ricordo i consigli di Ciro e Fofò, le dritte di Donatella… Nonostante tutto è stata una delle esperienze più formative che un giovane praticante può fare. Un bell’imbocca a lupo ai più meritevoli

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