Le parole sono un mezzo molto sopravvalutato. Ma questo abbiamo

Il disegno è del vignettista Plantu

Il disegno è del vignettista Plantu

Le parole sono un mezzo molto sopravvalutato. Ma questo abbiamo.
E il pensiero va alle piazzette nord europee di sera, alla birra, al francese che scivola dentro le altre lingue, all’Africa che non è più solo Africa ma un pezzo di noi. All’aeroporto di Bruxelles con gli amici che vanno e tornano dal Parlamento Europeo. A quel senso di quiete al centro del Vecchio Continente; forse pure troppa quiete diceva qualcuno e infatti puntualmente è arrivata la storia a sconquassare e dirci che i terremoti arrivano all’improvviso e sotto i nostri piedi. Io ho iniziato a viaggiare tardi per pigrizia e mancanza di possibilità; quando ho iniziato  e solo allora ho capito che vita è la varietà e che la bellezza è la pace della comprensione tra persone di etnia, religione e cultura diversa. La scuola e la convinzione politica non mi avevano preparato alla comprensione dell’altro; il viaggio, solo il viaggio me lo ha permesso.

E ci vogliono togliere quello, la possibilità di intenderci guardandoci faccia a faccia e capire che tutto è superabile e Dio o Maometto di certo non tentano di mettersi in mezzo a un libero dialogo. Se stiamo da soli nelle nostre quattro mura, tutto diventa potenzialmente nemico. E moltiplicando il tutto si ottiene la paura.

 

Bologna, era estate

2-8-1980 – 10:25


Ascoltai con comprensione lo sfogo dell’uomo grasso, e provai a dirgli che in fondo 10 minuti di ritardo non sono la morte di nessuno. Scoppiò in lacrime. Capii che un puntuale ha una sensibilità molto particolare.
Il treno alla fine arrivò. L’uomo salì sul vagone di coda. Riestammo fermi qualche minuto, e mentre pensavo al dolore che quella sosta gli avrebbe sicuramente arrecato, guardai fuori dal finestrino e con stupore lo vidi, in piedi sotto la pensilina. Mi salutò con un  gesto sconsolato della mano, mentre il treno partiva. Notai che non aveva più con sé la grossa valigia.
Pochi attimi dopo il treno saltò in aria.
Se oggi posso testimoniare è perché la fortuna volle che fossi lontano dal vagone della valigia bomba. O forse non fu fortuna, ma reciproca, subitanea simpatia
.
Da allora un singolare pensiero mi tormenta. E se dietro tutte le stragi impunite, il sangue versato, le bombe misteriose, non ci fosse alcuna organizzazione criminale, ma solo la disperata ribellione dell’ometto puntuale contro un mondo in perenne ritardo? Questa spiegazione non renderebbe più accettabile vivere nel nostro martoriato paese? Dato che non ci è concesso sperare altro, perché non pensarlo?

Stefano Benni – L’uomo puntuale, da “L’ultima lacrima”

Giornali e giornalisti napoletani ai tempi delle Br

«Forse l’Italia non sarà mai un paese normale. Forse è il paese in cui tutto diventa normale. Si telefonava al centralino della Camera dei Deputati e si diceva “Le Stragi, per favore”, e quello rispondeva: “Resti in linea, prego”, e ti passava la Commissione Stragi».
da “La notte che Pinelli“, di Adriano Sofri

Quello che scriviamo noi cronisti di questi anni, faide di clan o suicidi di assessori, inchieste Magnanapoli o arresti dei Casalesi, non è secondo me paragonabile – anche probabilmente per l’enorme peso che i giornali avevano allora e non hanno più – a quanto si scriveva durante gli anni del terrorismo. Quelli del rapimento e omicidio di Aldo Moro, del rapimento e della liberazione  di Ciro Cirillo. Bastava sbagliare una virgola, non rispondere ad un telefono, valutare diversamente un comunicato. No, decisamente i giornali di oggi non hanno quest’influenza. Molto spesso le risorse in Rete sono seminascoste ma straordinarie: è il caso della rassegna stampa accumulata in anni e anni dalla Commissione Stragi, tutto messo online.
Mi sono concentrato soprattutto sul caso Cirillo. Ed ho ritrovato le vecchie firme del giornalismo partenopeo, da Enzo Perez a Nora Puntillo, ma anche Antonio Ghirelli, un giovane Giuseppe D’Avanzo  sul Paese Sera e chissà quanti altri che ora mi sfuggono. È davvero un documento straordinario non solo della storia di quegli anni ma anche di come quei cronisti li vissero e ne scrissero.

I terroristi di Pannone


Gianfranco Pannone
l’ho visto lavorare, per un anno intero, insieme a Paolo Santoni, alla realizzazione di “Cronisti di strada“. Un documentario che nonostante fosse seriamente inficiato della mia presenza, rappresenta, a qualche anno dalla sua messa in onda, una fotografia attualissima sulle contraddizioni di Napoli. Mai una ricerca del sensazionalismo, del sangue, della “fiction” che ha ucciso il giornalismo di cronaca e i documentari di questi ultimi anni (potete immaginare a chi mi riferisco). Insomma, la serietà del lavoro di Pannone fa cazzotti con le polemiche di questi giorni su “Il Sol dell’Avvenire“, documentario presentato a Locarno, scritto con Giovanni Fasanella, riguardante terroristi ed ex terroristi. E diciamola pure tutta, mi fa un poco schifo la speculazione politica  perpetua sugli anni di piombo.