Faq sui generis…

Soltanto per ringraziarvi ancora tutti, davvero.
Siccome ricorrevano un paio di domande frequenti nei commenti, rispondo a beneficio di tutti:

– Sì, quello che ho presentato al Premio Giancarlo Siani che indegnamente quest’anno ho vinto, è un libro (libro…saranno una settantina di pagine). Parla sostanzialmente del telelavoro e dell’approccio a questa modalità lavorativa di un giovane giornalista napoletano (c’è qualcosa di autobiografico? Mah…). Tuttavia non c’è nulla di “tecnico”, è tutto molto a ridere e pazziare. Tengo molto all’ultima pagina di questo lavoro, però.

– No non l’ho ancora pubblicato. Come tante volte nella vita capita, scrivere non è stato un calcolo, bensì una necessità : mettere nero su bianco le mie impressioni in un periodo difficile, seppur relativamente breve, di sbandamento, m’è stato d’enorme conforto. Se e quando lo farò, lo comunicherò. Non ho nè mezzi, nè conoscenze per fare altro che non sia il mio mestiere: il giornalista. Se non riesco a pubblicarlo lo rendo disponibile qui (certo, se la mia memoria mi consentisse di ricordare dove cavolo ho messo l’unica copia del documento word e del pdf…). Però vorrei il cartaceo. Non ch’io non creda nel web, negli ebook e compagnia bella. Ma c’è un motivo particolare e molto personale.

– Sì, qualcuno ha letto che sarei stato premiato per un libro sulla camorra. E’ qualche agenzia che ha sbagliato a scrivere. C’è un bel pezzo sul Mattino di Napoli, (…la mia foto sul Mattino e non sono un pregiudicato, è una piccola vittoria personale). Comunque sia, anche sulla camorra stay tuned, perché ho una idea che mi frulla per la testa. Ma ci vuole tempo, non ho mai tempo.

– Sì, ho ricevuto le varie email-sms-piccione viaggiatore. Ma riesco a rispondere con molta lentezza. Lo farò, non sono abituato a gestire in differita – da simil Ridge Forrester – la mia corrispondenza, ma vi assicuro che rispondo.

E-Polis, E-pilogo. E mo’ stiamo tutti in cassa integrazione (etc)

Chi si aspettava megafoni, striscioni, proteste e molotov è rimasto quantomeno deluso. Insomma, i 137 redattori del gruppo E Polis vanno in Cigs, Cassa integrazione guadagni straordinaria. Per quanto tempo, non si sa: la richiesta è per il massimo possibile, 24 mesi. C’è chi dice che durerà un mese appena, c’è chi dice che è l’ulteriore, decisivo passo verso l’inevitabile baratro del gruppo Grauso. Io so solo raccontare – male – qualche sensazione. Ieri al Ministero del Lavoro eravamo pochi intimi: le parti (azienda, direzione, cdr, Fieg, Fnsi) ed un manipolo di redattori che hanno deciso di guardare in faccia questo mostro chiamato concertazione. Abituato alle mazzate e alle bestemmie dei disoccupati organizzati sotto i palazzi del potere, posso ora ben dire che di epico il 1 agosto, a via Fornovo – Roma, non c’è un cazzo. Ci sono delle stanzulelle, una tenue aria condizionata e due distributori di snack e bevande. Tutt’intorno si decide il futuro di 130 e più vite. Ancora una volta mi trovo a verificare che il telelavoro dai mille pregi, ha però pressochè annullato la componente umana, la prossemica e la cinesica delle relazioni lavorative. Non è la stessa cosa leggere due righe su skype o sulla mail aziendale e parlare con un collega di Genova, Milano, Roma, Cagliari o di qualsiasi altra città. Confrontarsi è crescere. Sempre.

Checchè se ne dica, si è chiuso un libro: E Polis, semmai tornerà a sfornare quotidiani free press (anzi free and pay) non sarà più la stessa, dopo questa crisi ed i conseguenti paracaduti sociali. Paracaduti che per qualcuno partono da 50 metri, per altri da 10 metri, per altri ancora da 5 metri. Ma non mi soffermerò sulle questioni sindacal-contrattuali: non ne ho francamente la voglia. Ho visto prima di noi sfilare gli amministratori di Unità e Secolo XIX, altre testate con vertenze di cassaintegrazione. Ne risulta un quado sconfortante, un’estate calda per tutti, ancor più per i giornalisti E Polis, vil razza dannata, dimenticata da istituzioni, dai “grandi” mass media, anche da qualcuno che avrebbe dovuto fare il suo dovere di supporto e controllo e non l’ha fatto. Al piano Vertenze del Ministero del Lavoro, però, non c’è spazio per ragionamenti sul futuro dell’informazione libera ed indipendente. Si contano matricole dipendenti, si vagliano piani di crisi e si decide di conseguenza. E intanto un giornale muore; giuro che non mi dispiace per me tanto quanto per chi ha famiglia e si porta addosso ora – assieme all’incertezza insita in questo cazzo di mestiere – anche quella di un paracadute sociale che un giorno, bene o male, finirà.
Per il resto, meglio smetterla qui per evitare di sconfinare la sottile linea che separa la malinconia dal patetismo. Di cose da fare, del resto, ne ho una marea e mai come ora – nonostante la promessa sbandierata ai quattro venti di staccare la spina per un poco – devo immergermi nei progetti finora lasciati nei cassetti, ormai stracolmi di tutto.
E tanto per prendere a prestito le parole del maestro Michele Santoro al termine della straordinaria stagione di Samarcanda: forse un giorno qualcuno dirà “C’era una volta E Polis”. E risponderò: Sai, l’ho scritto anch’io.

La crisi di EPolis: reazioni all’esterno

In questa paginetta ci sono tutte le solidarietà ricevute dalla redazione de Il Napoli. Alcune sollecitate, ovvio. Ma non come qualche maligno sostiene, “pilotate”. Molte sono sincere e lo dimostra l’attenzione delle ultime ore.
Qualcun altro sostiene invece che sbattersi così tanto per ottenere reazioni più o meno sdegnate non serve. E’ così? E’ forse meglio gettarsi nelle retrovie, aspettando tempi migliori? E’ forse meglio non urlare, non arrabbiarsi, non lottare? Io dico di no. E, da buon zapatista, agli uomini del silenzio, della pace forzata, dico: mejor la muerte que una paz tanto infame. Per poi attaccare col celebre Ezechiele 25.17

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Ma cosa succede ora, ad E Polis? La situazione è assai ingarbugliata, si parla sempre più insistentemente di stato di crisi e conseguente cassa integrazione, che non riguarderebbe dunque i contratti a tempo determinato. E poi, chissà. Una cessione da parte di Grauso ed un nuovo piano di rilancio, sostiene qualcuno. A Napoli, non avendo una redazione fisica, non possiamo nemmeno presidiare un luogo, come accade ad esempio agli amici di Brescia, Firenze, del Veneto, di Treviso.
Ci tocca guardare le agenzie, esser pronti e vigili e sperare. Sperare che da un momento all’altro qualcosa torni a dar senso a queste giornate che non sono nè di ferie, nè di lavoro (o meglio, non sono produttive). Qualche giorno fa, in audioconferenza ci siamo detti che dovevamo raccogliere le nostre email personali… semmai quelle E Polis cessino di funzionare da un momento all’altro.
Ed ho realizzato che quell’unicum telematico creato 8 mesi fa (le celebri email .sm San Marino) è sull’orlo di disgregarsi. Difficile da accettare se sei in telelavoro ed hai come interfaccia una mail, un software, un voip ed un cellulare. Ci si è spesso chiesti cos’accade ad un giornalista in telelavoro nell’ambito della produzione. Beh, penso che dopo il caso E Polis ci si dovrà domandare anche cosa accade ai giornalisti telelavoratori di una azienda in “crisi”. E’ una novità tutta da scrivere, questa.

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Oggi, tra incontri istituzional-solidali, redazionali e sindacali, c’è stato spazio per un siparietto.
Protagonisti: io e un amico, disoccupato organizzato e pluripregiudicato per vari reati ‘di strada’ e ‘di lotta’. Un giovanottone che ha mani pesanti come quelle di un orso polare e che sostanzialmente è nu bravo guaglione con una storia che farebbe piangere gli squali.

disoccupato: OOH
trad. (ciao, mi riconosci?)

io: OOOOH
trad. (ciao, ti ho riconosciuto)

disoccupato: ompà. ma che è stu fatt ro’ giurnal, stai a problem?
trad. (Sai, ho saputo della crisi societaria che attraversa il tuo attuale datore di lavoro, le mie informazioni sono corrette?)

io: Eh, mannaccia ‘o patatern
trad. (Beh, devo ammettere che hai ragione).

disoccupato: ompà. ma ch’amma fa, n’occupazion? Amma fa nu blocc, tu o ssaje, stamm a disposizion, aro’ amma venì?
trad. (In segno d’amicizia ti offro l’esperienza a mia disposizione per perorare la tua causa. Scegli tra occupazione di un sito, blocco stradale, ove dobbiamo ordunque recarci?)

io: Ompà, sta tutt ‘a Sardegn altrimenti foss stat ìo primm a scennere mmiez ‘a via
trad. (La sede dell’azienda è nella Regione Sardegna, altrimenti quest’idea sarebbe stata di indubbio valore).

disoccupato: uà che ciorta, embè nun ce sta n’ufficio cca che facimm l’occupazione oppure nu presidio?
trad. (Beh, è una congiuntura alquanto sfavorevole. Non esiste un referente locale con il quale interfacciarsi?)

io: No frà, stamm sul nuje e o compiuter
trad. (Ebbene no, la nostra interfaccia è il software sistema editoriale).

disoccupato: ompà. a prossima vota però fatt ra nu post aro stann e mast, perché accussì sai cu cchi te l’ja piglià
trad. (Permettimi un consiglio, la prossima volta verifica che vi sia un referente in loco con il quale interfacciarsi, secondo la mia esperienza è più pratico così)

io: Vabbuo’ statt bbuon
trad. (Ci penserò, ti porgo cordiali saluti a te e signora).

Telelavoro, ma non troppo…

La notizia, non poteva non suscitare perplessità, in specialmodo in un telelavoratore come me. Anche se credo che in questo caso si tratti di un inaccettabile eccesso.

Il direttore del Pasadena Now, un sito web di informazione sulla città californiana, ha assunto due cronisti che lavorano in India per seguire il Consiglio comunale – ‘’Costano molto meno’’ e copriranno le sedute via internet (via lsdi.it).

È a questo che ci stiamo avvicinando? Ad una progressiva perdita d’identità del giornalismo come cronaca dei fatti che hai visto, sentito, capito, “toccato”? Il motto del New York Times è “all the news that fit to print”. Dobbiamo pensare che le notizie che vale la pena di pubblicare possano anche non essere necessariamente quelle vissute, capite, comprese?

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Sempre Lsdi.it, propone un interessantissimo studio a cura del Comitato di Redazione Rcs Periodici, sui freelance. Vale la pena leggerlo fino in fondo.

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Mentre in Italia le edicole danno addosso alla free press, additata quasi quasi come nemica dei giornalai per la gratuità del suo prodotto (peggio ancora se di livello qualitativo alto), in Danimarca nasce una nuova free press che sarà distribuita direttamente in 500mila case. Se ne parla al congresso dell’Associazione mondiale dei giornali. Anche qui la sensazione è che l’Italia sia anni luce indietro.

Telelavoro

Da giornalista-deskista, faccio una cosa che per la stragrande maggioranza dei miei colleghi è una cosa nuova: il telelavoro. Cioè: mi collego ad un server centrale sul quale risiede il software che utilizzo, nella fattispecie software editoriale e così monto una pagina, la scrivo, la titolo. Negli otto anni precedenti, salvo un periodo da figlio di nessuno, di abusivo (ovvero appestato, cioè non puoi entrare in redazione altrimenti loro passano i guai e così scrivi da casa a spese tue al 100 %) ho sempre lavorato avendo una redazione come punto di appoggio fisico.

Vabbè, tutta sta tiritera per tracciare un piccolo bilancio:

Cose buone del telelavoro

1. Pranzo (o almeno la cena) ad orari accettabili.
2. La privacy del tuo computer coi cazzi tuoi dentro, senza che nessuno mette becco.
3. Non ci sono colleghi cagacazzi che non hai voglia di vedere e che sei costretto a vedere
4. Eventuali porcate redazionali ti appaiono attutite, ammorbidite.
5. Se ti fanno male i piedi, ti metti i calzerotti con l’orsacchiotto e nessuno ti rompe le palle.
6. Se piove la sera non hai il problema che ti sei scordato l’ombrello.
7. Se hai il wireless, puoi scrivere pure da un letto a baldacchino.
9. Ti responsabilizza enormemente sulla fattura del prodotto.
10. Non c’è il fottuto collega che ti ruba le penne dalla scrivania.

Cose cattive del telelavoro

1. Se fai l’errore di mangiare prima di aver finito il lavoro, ti strafoghi come un suino berbero.
2. Avrai pure il tuo computer ma cazzo, consumi la tua bolletta enel.
3. Non puoi fare i gavettoni il 15 agosto in redazione, nè provare l’ebbrezza di un omicidio a mezzanotte
4. Le dinamiche redazionali sono lontane, fai più fatica a capire cosa succede
5. Non chiami più il bar per il caffè ma devi fartelo tu (eccheppalle).
6. Quando scendi, devi tornare a casa. Che è sempre più lontana in qualsiasi posto tu vada.
7. Non puoi più stringere nuove amicizie interne all’azienda, o almeno è più difficile.
9. Con 2 telefoni cellulari, 1 telefono fisso, 1 skype, 2 mail ti esaurisci forte.
10. Non ti arriva più la strenna di Natale e di Pasqua!