Proposta di carta deontologica anti-camorra per i giornalisti /2

Ne scrivo con colpevole ritardo. A Caserta e Casal di Principe non ho trovato molti colleghi (la pioggia battente; il lavoro; il poco entusiasmo per queste vicende; la disinformazione, incredibile a dirlo). C’è stato spazio per veleni sputati tra settori poco chiari, contigui all’informazione, lontani anni-luce da quello che ritengo sia la vera informazione. E vabbè, stavolta l’importante era esserci anche perché avevo giusto un paio di cose da dire.

Insomma, la mattina mentre sto entrando in metropolitana, mi chiama Roberto Natale, il presidente della Federazione Nazionale della Stampa. Dice che gli piace  la  bozza di carta deontologica per i giornalisti sulla camorra e mi invita ad illustrarla pubblicamente. Ok, rispondo. A Caserta nel teatro c’è poca gente rispetto a quel che m’aspettavo. Ma che dubbio c’era? Ormai non riusciamo a smuovere più niente e nessuno, figuriamoci gente sfiduciata e scettica come i giornalisti. “Punto” un gruppo di ragazzi di scuola superiore, “scampati” allo sciopero anti-Gelmini: magari sono più sensibili. Mi guardo intorno, oltre l’amorevole consorte e Amalia De Simone, collega di ventura di E Polis, c’è  qualche altro amico ad ascoltare. E ne sono contentissimo.

Mi chiamano, salgo sul palco. Sarà durata 5 minuti, sono andato a braccio ovviamente, non mi aspettavo gli applausi nè  la sorpresa per quelle banalissime cose che ho detto. Fa piacere sapere che i vertici nazionali di Federazione della Stampa e Ordine dei giornalisti e quelli di Odg Campania e Assostampa condividono la tua idea, fa ancora di più sapere che la condivide chi come te fa il mestiere consumando le suole delle scarpe. Quando riscendo in platea uno degli studenti mi chiede il numero di telefono: «magari vieni in classe e lo spieghi a lezione con la professoressa», dice. Magari, penso io: sai che sfizio spiegare a scuola. Nel frattempo, conosco il grande Alberto Spampinato, collega e promotore di quello che sarà l’Osservatorio sui giornalisti minacciati dalla malavita organizzata. Ne ho una proprio davanti al teatro di Caserta:  Rosaria Capacchione che evita il palco ma con la sua presenza rende tangibile qual è la situazione di un cronista  intenzionato ad andare a fondo in terra di camorra. Un’auto blindata, tre agenti di scorta.

A Casal di Principe vado con un bus messo a disposizione. Ci vanno tutti i colleghi e tutti siamo imbarazzati alla vista delle due volanti della Polizia che ci scortano. A me è già successo, ma a Nablus.
Entriamo in una villa sequestrata ai Casalesi, anni fa. Ora è un centro anti-camorra, gestito da coop sociali e dallo Stato.  Ci fanno mangiare e si mangia da dio. Cibo buono due volte, primo perché è sano, secondo perchè nasce dalle terre confiscate ai clan.
Intanto tra sindacalisti e Ordine di che vuoi parlare? Si discute dei guai dei giornali, dell’editoria a scatafascio. Tutti prendono una copia del foglietto con la bozza di codice deontologico e in agenda inserisco un bel pò di situazioni e discussioni. Dunque, la proposta prende corpo. Vi tengo informati.

Fenomenologia di Roberto Saviano

Fino ad oggi sapevo che la calunnia era un venticello. Ma francamente, che lo fosse pure la minaccia no, non lo sapevo. E invece, c’è sempre da imparare: la minaccia di morte è un venticello. Oggi è su un giornale, rivelazione presunta di un pentito. Domani non c’è più: il pentito – che ieri era attendibile – ora dice che di minacce non sa una cippa. E diventa meno attendibile di ieri, forse ha paura. Certo. L’ex killer nonché galeotto, ha paura.

Oh, ma che vi credete.
Mi è simpatico, ‘obberto. Non è amico mio su Facebook perché non me l’ha mai chiesto e io sono timido (mySpace non ce l’ho). Ma se io vedessi in strada, Saviano, non farei come l’altra volta alla Fnac che pensai solo “ma cazzo è l’unico in Europa che compra ancora i cd”. Ma non te li scarichi gli mp3, Robbè?

Comunque, io lo porterei a mangiare da Nennella ai Quartieri o dalle Figliole a Forcella. La scorta?  Macchè; sta con me, che vuoi che gli succeda? Al massimo si mette una parrucca e dico che è il cugino di Mimmo Dany. E se poi si muore, muoriamo entrambi da buoni amici, una magnata val bene un agguato. Gli porterei pure una donna, una mia vecchia conoscenza esperta di lingue romanze che stravede per lui.
Se lui vuole, tengo pure la casa: ci sta il vecchio di fronte che vuole  cedere la nuda proprietà e non gliene frega un cavolo di chi compra, tanto vuole dare i soldi al nipote che deve comprarsi il posto di lavoro in una cooperativa sociale. Però Robè, di fronte a me – io abito al rione Sanità – ci abita il “cane lupo”. È un bambino che la mattina alle  7 fa UUUUUUUUUUUUUH, UUUUUUUUUUUUUUUUUH. Che vuo’ fa?

Io te lo dico, Robè. Non pigliarti collera. Ma te lo ricordi Massimo Troisi? «Robbertì, scinne, tuocc ‘e femmene, va a rubbà…». Tu, se resti qui ti fanno andare al manicomio, ‘obbè.  Nientedimeno per scriverlo mezza volta Annalena Benini sul Foglio che sarebbe carino vederti cu ‘na brava guagliona, s’è scatenato un putiferio.
Sì, vabbè ho capito, Sandokan, Zagaria, Iovine e tutto. Hai ragione tu è una battaglia sacrosanta e io ti porto in un palmo di mano, sei la corona della mia testa, sei la crema dell’umanità.

Del resto, mi sono spugnato 16 euro per Gomorra che è un mattone. Io parlo ‘nfaccia: l’ho comprato nonostante quelle cose le avessi già lette dagli atti della magistratura, dai libri di bravi colleghi come Gigi Di Fiore, Simone Di Meo, Bruno De Stefano, dai pezzi di Rosaria Capacchione. E dagli articoli di decine di giornalisti piccoli piccoli come me che se mi togli le domeniche lo stipendio non m’arriva a 2mila euro.
E m’hanno pure querelato, mannaggia la maronna, Robbè.

Nientedimeno t’hanno fatto pure la statuina del presepe. Non è bella, eh. Pari Rocky Balboa quando ha appena abbuscato (approposito, ma vuoi fare il pugile? Vieni alla palestra di Giggino Pescevolante che sta nel garage, non paghi niente, Robè, però quando vai da Mentana gli fai un poco di pubblicità).
E pensare che io quello ti volevo dire, Robè: scendi da quel cazzo di presepe, prendi il tuo libro e va vattenn un paio di mesi alle Maldive. Poi torni e dici: sapete quello che vi dico? Mi riprendo la mia vita, caro Editore, caro Produttore e caro Direttore del Giornale e della Televisione.

Anche perché, caro Roberto, se vivere sotto camorra significa non vivere e se non vivere significa non godere la luce, l’aria, il silenzio e l’ammuina, la gente e il confronto con la gente, a te t’hanno già sotterrato (e non è solo colpa della malavita): ucciso da minacce ma anche dal frettoloso tentativo politico e sociale di scaricare coscienze, massacrato dai lanci d’agenzia in solidarietà, dalle mobilitazioni virtuali, da certe articolesse, ammazzato come lo furono un sindacalista, un poliziotto, un prete anti-camorra.