I sanremesi ammazzano il sabato: lettera agli Afterhours

«Forse uccide, mai tradisce»
“Strategie”  – Germi

Cari Afterhours,
vi seguo da un bel po’. Non ch’io sia un perfetto fan, eh. Diciamo un supporter, un affezionato.
Sanremo cade più o meno nel periodo del mio compleanno, quindi già mi sta sulle palle. Però quest’anno ho letto che ci andate anche voi. Sono una persona aperta ad ogni esperienza, un laico che guarda alle novità con curiosità. Dunque con serenità vi dico: ma che cazzo fate?

Beh, Manuel, mi rivolgo a te. Come se io fossi il giovane William, l’aspirante giornalista e tu Russell degli Stillwater, quelli di Almost Famous. Ho letto  sul vostro blog le motivazioni e le scelte che vi hanno portato nella città dei fiori. Tu dici Sanremo «significa per noi proseguire coerentemente con il discorso di veicolazione della nostra musica anche al di fuori del nostro ambiente naturale». A parte, caro Manuel, che manco gli orsi polari, animali pure piuttosto in carne e resistenti forse più del frontmen di una grande band italiana, non riescono a campare al di fuori del “loro ambiente naturale”, il problema è che a Sanremo non sarete gli After. Già.

Ma voi ve lo immaginate? In gara ad un certo punto quando eliminano Al Bano (c’è? partecipa? vabbè è uguale) che  cosa direte «…è il naturale processo di eliminazione» ? Oh, sai che bello cantare alla valletta di Bonolis: «forse non è proprio legale sai, ma sei bella vestita di lividi» oppure «posso avere il tuo deserto»!
E perché no, dire al sindaco della città che sale sul palco per consegnare quegli orrendi premi dorati «voglio un’altra stronza rivoluzione un orgasmo che mi plachi ogni reazione», oppure quando diranno «Per gli Afterhours televoto aperto» chiosare  con un accattivante: «sui giovani d’oggi ci scatarro su»?

Continuo? Ma sì: ai giornalisti propongo una dichiarazione del tipo «la grandezza della mia morale, proporzionale al mio successso». Poi una speciale per Vincenzo Mollica che vuole sempre una cosa in più: «non è dolce esser unici ma se hai un proiettile ti libero». Oh, se c’è qualche ministra del governo Berlusconi in platea cantate pure il “Punto G”, mentre se c’è Gasparri uscitevene con un «io sento su di me la mia verità, ha un cuore bianco come eroina».

Si scherza eh. Però mica tanto: ma che senso ha salire su un palco dove ogni parola dei veri Afterhours potrebbe dare adito ad interrogazioni parlamentari? O meglio che senso ha salirci se poi voi per quieto vivere vi limiterete a fare la ricca band alternativa degna della playlist di un lounge bar milanese?  Cazzo, Sanremo è la patria del binomio cuore-amore e ci vanno gli Afterhours, quelli che «mio sovversivo amore, non c’è torto o ragione» ?  A questo punto, Manuel, ci uscirebbe pure la storia del Magnifico Tubetto, sai che risate?

Che devo dire, vediamo come va. Ma questa comparsata è lo specchio dei tempi. Tempi bui, specchi opachi.

Faber non ti sei perso niente

«Oblomov scrisse ispirato; la penna volava sulle pagine. Gli occhi gli luccicavano, le guance gli ardevano»
da “Oblomov” di Ivan Aleksandrovič Gončarov

Lo si diceva anche per Paz.
Ed è vero: oggi Geordie sarebbe una telefonia per cellulari, Don Raffaè la sigla di un programma di seconda serata sulla camorra, Via del Campo la sigla di uno spot del ministero alle Pari Opportunità.
Meglio non aver assistito a questo scempio.