Saviano e la morte di copertina. Di Gomorra e altri demoni

Premessa. Ho letto e riletto il saggio del sociologo Alessandro Dal Lago, “Eroi di carta – Il caso Gomorra e altre epopee“. Chi ha la bontà di leggere questo blog, sa che sono critico da tempi non sospetti sull’utilità sociale, sulla validità letteraria e soprattutto su quella  giornalistica di “Gomorra” (per utilità intendo al di là di quella d’ogni libro per chi ha la voglia di conoscere e capire). La critica è poi estesa al personaggio Saviano e al savianismo in generale, quello sì, dannoso al cento per cento, da condannare in toto.

Proprio in quest’ultimo contesto, il savianismo, è maturato questo fotomontaggio-choc del mensile Max, noto ai più per i vendutissimi calendari femminili. In quest’elaborazione appare Roberto Saviano su un tavolo d’obitorio. Titolo “Hanno ammazzato Saviano”. La scelta di Max è stata duramente stigmatizzata su molti giornali e da molti commentatori autorevoli, oggi. Ma, a ben vedere non è altro che la trasposizione visiva di quello che un rapper, tale Lucariello, cantò qualche tempo fa: “Cappotto di legno” incentrato proprio sulla morte dell’autore di Gomorra. Un testo, vale la pena di ricordare  «supervisionato da Saviano» (lo scrive la Repubblica il 24 aprile 2008).

I flash ncap’ancor,
na futografia a culor’,
l’uocch e nu buon uaglion’,i cap i Casal
ricn che è nu buffon
Amma crià a paur,
ha mischiat l’uommn pa gent i fognatur…

Su una fotografia a colori
gli occhi di un bravo ragazzo
i capi di casale
dicono che sia un buffone
dobbiamo creare paura
ha mischiato “uomini” con gente di fognatura

Necessario inciso: il libricino del professor Dal Lago è bello e coraggioso, ve lo consiglio. Gli contesto di aver tralasciato, quasi con un certo disprezzo verso discussioni così “basse”, quelle ch’egli definisce «rielaborazioni creative di fatti reali» in Gomorra, lasciandole ai «numerosi blog» che ne discettano [pag. 60]. Tuttavia non si può non dargli ragione, quando, parlando degli eroi, Dal Lago scrive:

«Soffermiamoci sul significato dell’emozione intorno al “nostro” eroe. Più ancora di quella ufficiale e governativa, strutturalmente ipocrita, ce n’è una diffusa che si manifesta nello slogan “Saviano se tutti noi!”. Scorro siti e blog degli ultimi anni. “Io sono Saviano”, “Siamo tutti Saviano”, “Adottiamo Saviano”, “Non lasciamolo solo!”, “Ammazzateci tutti” e così via».

Contestualizzato in questo quadro antropologico, Dal Lago sostiene che si finisce a trovarsi davanti ad un effetto

«che con Gehlen si potrebbe definire Entlastung, “sgravio” o “supplenza”. Anche noi combattiamo la mafia e quindi siamo a posto perchè ci siamo sgravati la coscienza» [pag. 107].

Non è forse una riflessione applicabile anche al caso de quo?

Torniamo all’immagine di Max. Proprio in questi minuti il direttore del giornale dichiara che era «stufo di leggere attacchi a Saviano». Per questo è intervenuto con una iniziativa choccante. Risponde lo scrittore, piuttosto piccato, che quella foto è «utilizzata per speculare cinicamente sulla condizione di chi vive protetto».

Ora, scorrendo su Google le migliaia d’immagini che ritraggono il Nostro, non si può non andare in confusione. Saviano scortato, Saviano in tv. Saviano al Festival, Saviano in macchina. Saviano ai Quartieri Spagnoli, al Porto di Napoli, all’accademia di Stoccolma, con Fabio Fazio e con la maglia catalana del giocatore Messi. Una tale quantità d’immagini si fonde. Scriveva Susan Sontag nel celebre “Sulla fotografia”, parlando del potere di raffigurazione e il potere di percezione dell’immagine che si sovrappongono che un’immagine fotografica «non è soltanto una raffigurazione del suo soggetto ma ne è parte integrante».

Dunque, se la foto di Saviano dietro ai muri sfravecati dei Quartieri o quella, drammatica, con la scorta  è “parte integrante” di Saviano, non è forse “parte integrante” della moltitudine di fan dello scrittore di Gomorra la ricostruzione fotografica del suo tragico assassinio? Non è forse uno dei motivi di clamore e al tempo stesso d’affetto verso Saviano saperlo costantemente a rischio e guardato a vista da una scorta di polizia? Non è forse l’immagine “ultima” , il timore non detto ma palpabile, ogni volta che lo scrittore parla in pubblico, magari ad una platea blindata? Il giornale non ha fatto altro che restituire questo timore: sarà anche frutto di un Photoshop, ma quell’immagine è legittima: ha del reale.