A Post coi numeri. E con la coscienza

(beh, se chiami un giornale così poi certi titoli te li devi aspettare).

Ho letto con attenzione quegli articoli sul presente e sull’ipotetico futuro del Post, il giornale diretto da Luca Sofri. Non ci vuole uno scienziato (e mi viene in mente Riccardo Pazzaglia con il suo “Me ne vado a fare il guru“) per capire che è ridicolo oggi tentare un bilancio o trarre leggi universali da questa iniziativa editoriale.
Ma non ne avrei avrei parlato nemmeno: agli scetticismi sulla sostenibilità economica del Post ha già risposto il diretto interessato e anche qualche altro professionista sicuramente più capace di me.

C’è una parte che mi appassiona, tanto. È quella che riguarda i giornalisti e le loro retribuzioni. Lessi  a suo tempo (era appena gennaio! Ma come cazzo fanno certi a proporre bilanci a meno di un anno?) l’annuncio di lavoro e ora leggo che il giornale online ha inquadrato i suoi redattori con il contratto nazionale di lavoro giornalistico. Una scelta coraggiosa di questi tempi, una scelta d’onestà e di coerenza. Dice qualcuno che con la coerenza non ci porti il pane a casa e che forse è meglio inquadrare i ragazzi che lavorano in redazione con un contrattiello da web editor, di quelli la cui carta vale più del compenso che garantiscono: 6mila euro all’anno.
Sarà che di questi tempi sono ancora più sensibile all’argomento, ma la scelta di inquadrare correttamente i giornalisti va difesa e sostenuta. Leggete il Post anche perché non affama i suoi 5 cronisti.

(lo scriverei in calce ai pezzi: «Nessun giornalista è stato sfruttato per la stesura di quest’articolo»).