Huffington Post Italia, i blogger non pagati, la Fiom e la politica “di sinistra”

Lo dico all’inizio così evitiamo equivoci: non sono fra quelli che criticano Huffington Post a prescindere. La questione dei blogger non pagati è una discussione infinita. A me non piace l’idea che qualcuno accetti di scrivere in cambio di “visibilità”: chi trova e scrive  notizie dovrebbe essere retribuito. Così come le opinioni di un certo rilievo, frutto di elaborazione, esperienza e ricerca dovrebbero essere pagate. E non solo su Huffpo ma su tutte le testate.

Tuttavia questa è la mia visione, il mio mondo: non posso ignorare che esiste una categoria di persone che si può permettere il lusso di rifiutare il pagamento di una sua opinione o notizia scritta (e magari trarne vantaggi diversi da quello economico). Rispetto questa visione. Però consentitemi: un giornalista che scrive a gratis, esclusivamente per la gloria, per quanto mi riguarda vale quanto l’articolo che accetta di scrivere a quelle determinate condizioni.

Detto ciò, ho seguito con vivo interesse la nascita della versione italiana di Huffington Post, frutto di una col gruppo L’Espresso. Il sito è davvero notevole e va seguito. Vado a spulciare ogni tanto i blogger (la lista completa ad oggi non è ancora disponibile) e faccio dei ragionamenti.

Mi hanno molto colpito alcuni nomi presenti. Penso a Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Cgil. Proprio a lui mi verrebbe da chiedere se non vede nell’apertura di un blog su HuffPo una contraddizione rispetto a quanto ogni giorno proclama sull’eterna vertenza Fiat. La sua visione così rigida del lavoro non si applica in altri ambiti? Vale solo per le tute blu? Folgorato sulla via di Arianna?

Poi c’è Pizzarotti, il sindaco a Cinque Stelle di Parma. Ieri col coltello fra i denti contro i giornali, oggi docile blogger nella schiera d’un impero italoamericano. Vogliamo parlare di Lele Rizzo dei NoTav, uno dei movimenti più duri contro la stampa italiana, anche col gruppo l’Espresso? E dei tanti progressisti di centrosinistra (Nichi Vendola, Anna Paola Concia, Chiara Geloni, eccetera)? C’è una buona schiera di giornalisti – per lo più disoccupati e precari – che vorrebbero sapere come la pensano questi politici, giornalisti, opinion leader in merito alla retribuzione del lavoro. Sarebbe davvero utile capire come lorsignori vedono questa loro nuova avventura lavorativa. Ops, volontaristica.

La vanità, lo sfruttamento e il demonio vestito da giornalista

Dire che Huffington Post è un giornale con le idee degli altri e a costo zero è sicuramente una forzatura. Primo perché è un aggregatore, poi perché c’è anche una truppa d’autorevoli blogger che vi contribuisce. L’unica cosa su cui potremmo esser d’accordo è il costo: al gestore costa giusto il lato tecnico, ma quello intellettuale e giornalistico è praticamente trovato per strada.

Succede che HuffPo venga acquistato dal colosso  Aol per un cifrone e vabbè. A chi vanno i soldi? All’editore, ovviamente. A chi scrive sull’Huffington Post cosa va? Tanti ringraziamenti e una promessa:

«Far from changing our editorial approach, our culture, or our mission…».

Fondamentalmente: non si cambia nulla, quindi si continua a lavorare gratis. Intascare trecento milioni di dollari e pretendere che gli altri lavorino con te a costo zero, oggi senza più nemmeno la garanzia d’indipendenza (entri in una multinazionale): ma a chi conviene? Questo però è un problema di HuffPo e Aol.

Divertente è vedere cos’è successo: i blogger che ovviamente si ribellano e non vogliono lavorare più gratis et amore dei, fanno riflettere. Provocazione: credevano di far giornalismo libero e indipendente finquando non ci si sono messi di mezzo i soldi? E che cos’è questo, se non un business? Ecco, siamo ancora all’immagine del cronista che mai deve guardare il profitto e il danaro, nemmeno da lontano. Siamo tutti gli Ed Hutchinson che dicono «è la stampa, bellezza». Poi però aggiungiamo: «Finquando non ci sono di mezzo i soldi».

R. B. Stuart ha scritto molto su HuffPo. Dopo la cessione del sito, su The Improper scrive una cosa molto dura, io la traduco alla buona, mi scuserete.

«In qualità di collaboratore di The Huffington Post dal 2008, ho pubblicato 25 articoli originali per un valore pari a circa 25.000 dollari, tutti gratis.
Volevo avere una piattaforma per le mie storie di soldati americani di ritorno dall’Iraq con il cancro, non ho chiesto il pagamento; ho semplicemente consegnato da 20 a 30 ore di lavoro per ogni pezzo, gratis
».

Poi la Stuart scrive che aveva chiesto ad Arianna Huffington più volte un sostegno finanziario (rifiutato dal Huffington Post Investigative Fund) venendo poi a sapere  che a dicembbre The Huffington Post aveva assunto via due persone del New York Times pagandoli 100.000 dollari ciascuno.

E conclude: «Pensa davvero 6.000 scrittori-schiavi continueranno a scrivere gratis per un conglomerato internazionale come AOL, che paga i suoi redattori web, anche se poco? […] È presuntuoso e arrogante a dir poco». E ci sono tante altre cose ancor più dure, in giro per la Rete. Tim Rutten sul Los Angeles Times dice che è proprio la sconfitta del giornalismo. E scrive (la traduzione è di Lsdi):
«l’ Huffington Post, è un prodigio di ingegnosità, che combina una forte padronanza editoriale con i motori di ricerca con un superlavoro che farebbe vergognare una fattoria degli anni 30. La maggior parte dei contenuti del sito vengono forniti dai commentatori, che lavorano solo per avere l’ opportunità di sostenere cause o idee a cui sono devoti. Il resto sono contenuti ‘’aggregati’’ – potremmo dire rubati – dai giornali e dai network televisivi che pagano giornalisti per raccogliere e produrre quelle notizie».

È solo questo? Buoni contro cattivi? Faremmo un torto alle nostre intelligenze. Non possiamo vederla solo così.

Frederick E. Allen su Forbes, riporta e condivide il commento di Ben Elowitz, co-fondatore e capo esecutivo della Wetpaint. Che con molto rispetto prende per i fondelli i blogger dell’Huffington.«Waving spatulas in the air, rather than guns». Poi aggiunge che sostanzialmente parlare di sfruttamento è sbagliato. Dice: una cosa è stata chiara  fin dal “get-go” del sito: la motivazione dominante del blogger che ha postato su Huffington Post è stata molto di più più fondata sul narcisismo che sull’altruismo.
Cioè: tu mandi al sito i tuoi validi contributi, il sito ti valorizza e accresce la tua autorevolezza.

Bel regalo in bella scatola, insomma.

E mi viene in mente la scena finale de “L’avvocato del diavolo” con Al Pacino e Keanu Reeves: la vanità, decisamente il mio peccato preferito, dice il demonio. Nei panni, ovviamente, d’un giornalista.

Bisognava pensarci prima, potremmo dire, volendo  forzare e trovare una morale. Ma in realtà non sono i blogger, a mio modo di vedere, il vero problema in questa storia. Lo sono i contributi aggregati: la cronaca, la notizia. Con questi, pure presi  a costo zero, prevedo che a breve la ricca Arianna, reginetta del commento e della notizia rimasticata, dovrà fare i conti. E non sarà la sola.

L’unione fa il (citizen) giornalismo

Due esperimenti di citizen journalism non da poco che ho notato oggi.

La  “Health Care Investigative Unit” varata dall’Huffington Post. Obiettivo: il monitoraggio dei progressi di Obama nella riforma del sistema sanitario degli Usa;

il Guardian che chiede ai suoi lettori di spulciare ben bene i documenti contabili dei parlamentari inglesi.