Elezioni reggae (gimme just a little smile)

La campagna elettorale è nel vivo, si sente la tensione crescere come quando si accelera sull'autostrada. Non è solo un fatto di propaganda: scopro cose della città che sono visibili soltanto a chi sta dietro la plancia di comando della "macchina del consenso" (se, vabbè, più che macchina, uno scooter scassato).

Da quartiere a quartiere l'approccio è diverso. Alla Pignasecca abbiamo sentito la storia del palazzo puntellato dal dopoterremoto del 1980, in cui gli inquilini morti nel corso degli anni sono stati calati dai balconi e messi nella bara nell'androne perché non si riusciva a salire la bara al quarto o al quinto piano. A Scampia al lotto H la gente ci fa entrare a casa per farc vedere le colonne fecali sfondate, la pioggia dal soffitto. Al Pallonetto di Santa Lucia ci passano davanti in quattro sul motorino e ci chiedono di salvare Napoli. Tutti e quattro.

Capisci che qualcosa non ha funzionato: che da Palazzo Giacomo l'impulso non arrivava più e da tempo. L'hai scritto centomila volte sul giornale e non dovresti stupirti. Ma come fai a non stupirti, ora che vedi l'altra faccia della situazione, con la gente che ti offre il voto in cambio di vivibilità? Dovevamo stare più attenti, noi giornalisti? Dovevamo fare di più, mi ripeto, mentre cammino sul terriccio della Zampaglione-Caselle, la discarica di Pianura che è una bomba a cielo aperto. Quello non è terriccio, è munnezza e c'è qualsiasi cosa lì sotto, mi dicono.

Per l'ottanta per cento la campagna elettorale è fatta di manifesti, Facebook, icomunicati stampa e promesse. Nessuno controlla quanto si spende, nessuno monitora: ma possibile che dei milioni d'anime belle che abbiamo in Italia, a Napoli soprattutto, nessuno si prende la briga? Su una scala da 1 a 10 io scommetto che la gente valuta assai il programma, assai la biografia del candidato a sindaco e le liste. Ma nessuno si preoccupa dei costi della campagna: un sindaco che spende tanto deve spiegare da dove vengono tutti quei soldi? È o no più ricattabile, se quei soldi glieli hanno regalati le "lobby"? Ci preoccupiamo delle strategie sociali sul web e invece dovremmo soltanto guardarci intorno: strade e vicoli tapezzati, a che costo (sociale, etico, politico?).

A questo pensavo quando sono salito su quella montagna di merda compressa, la discarica di Pianura. Ci hanno spiegato che c'è una inchiesta, che è tipo un disastro ambientale come quello del film su Erin Brockovich con Julia Roberts. Solo che lì i colpevoli li scoprivano. Noi invece ci interroghiamo su faldoni di perizie e inchieste.

È stato proprio allora che la radio dispettosa, ha trasmesso Sunshin Reggae.

 

Informazione come l’acqua

Di una manifestazione un cronista annota anzitutto tre cose: dov'è iniziata, dove si è conclusa e quanta gente vi ha preso parte. Ieri alla manifestazione contro il precariato a Napoli non c'era tanta gente. Almeno non in proporzione al problema per il quale si manifestava. Per le donne ad esempio c'era molta più gente. Perché?

Mi viene in mente che un anno e mezzo fa, quando nasceva incassando ironiche battute e ilari sgomitate dei colleghi, il Coordinamento giornalisti precari della Campania, ebbe analogo problema. La relativa partecipazione fisica a fronte di una intensa partecipazione sui canali sociali web. C'è una diffidenza di base, mutuando un celebre sketch di Totò la chiamo "diffidenza Pasquale" ("Vediamo questo stupido dove vuole arrivare"): la gente, in una città così teatrale, dove scendere in corteo è come andare su un palcoscenico, crede poco nella spontaneità di certe reazioni al sistema. E poi: negli ultimi anni hanno reso la piazza un continuo test, in cui se non raggiungi X presenze la tua voce non è valida (anche ieri l'hanno fatto, il ministro Sacconi ha detto che si trattava di pochi ragazzi pilotati eccetera). Non sembra, ma è un modo per intimidire le persone: attento che fai flop, questo è il messaggio. La gente, assuefatta alle tivvù, addormentata dal "tanto non cambia un cazzo", non rischia anche di partecipare alla minoranza. Una perfetta spirale del silenzio.

Nonostante tutto, però, noi ieri eravamo in piazza. Per la prima volta da quando faccio questo mestiere ho visto i giornalisti in corteo per una rivendicazione salariale non legata al rinnovo del contratto. Insomma, per la prima volta Napoli gridava una cosa semplice: l'informazione è un bene comune, come l'acqua. E tutti ne devono fruire dell'acqua e delle notizie: pulite, libere. Lo scandalo è che siamo finiti ad urlare in piazza anche questo.

L’aria s’incendio e poi, silenzio


«Siamo alla fine del XX secolo. Il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche. Sulla faccia della terra, gli oceani erano scomparsi, e le pianure avevano l'aspetto di desolati deserti. Tuttavia, la razza umana era sopravvissuta»

 

Ci vorresti tu ora, Hokuto no Ken (per gli amici Ken il guerriero).