Cronisti d’assalto al gadget

Ricordo la prima volta che  da responsabile di un ufficio stampa mi misero in mano i gadget da distribuire ai colleghi (delle misere calcolatrici con la rubrica telefonica, dal costo al massimo di 10 euro, all’epoca). A distanza di 30 giorni dalla conferenza ancora mi chiamava gente che aveva saputo della  munifica distribuzione e niente, così, si chiedeva semmai per caso fortuito fosse rimasto qualche pezzo da recapitargli.  L’ultima volta, quando invece il gadget l’ho ricevuto si  è trattato di una  pesante miniatura di nave da crociera, quella su cui sarebbero dovuti andare i Grandi del G8 poi spostato a L’Aquila. Allora come ora, stessa ressa da cavallette affamate.

Questo perché il gadget non è solo il trofeo di una mattinata passata a sentir parlare di nuove filiali di banca, improbabili Fondazioni, concerti di musica dodecafonica, o peggio ancora, guazzabugli elettorali da 0,003 %. E’ per molti “culi di pietra”  (così si definiscono i giornalisti solitamente impiegati al desk che raramente alzano il fondoschiena per seguire un evento) la conferma che sì, ogni tanto “vale la pena” uscire a vedere cosa offre il mondo.
Fino a quando si trattava degli italiani, ok, tutto normale. Ma leggere che anche i colleghi della stampa internazionale si accapigliano per il regalino gentilmente offerto dallo sponsor, beh, rassicura.

Di seguito un illuminante servizio della Reuters al G8 dell’Aquila, tutto dedicato ai giornalisti accreditati.

L’AQUILA, 8 luglio (Reuters) – E’ iniziato l’atteso G8 abruzzese con la sfilata dei big, il pranzo iniziale e la foto di rito con un sorridente Silvio Berlusconi al centro della scena, con ai lati Nicolas Sarkozy e Dmitry Medvedev.
La tensione sui vari contenuti del vertici è già scemata visto che ormai gran parte di ciò di cui si parlerà a L’Aquila è noto e non sono attesi particolari novità su nessuno dei tanti temi sul tavolo: dalla crisi economica al clima, dalla sicurezza alimentare ai grandi temi di politica internazionale.
L’attenzione dei cronisti si va quindi concentrando soprattutto sugli aspetti di colore in un appuntamento che ha stupito già per la meticolosa organizzazione puntellata da inevitabili quanto marginali problemi logistici.
I circa 4.000 giornalisti, dopo avere seguito la sfilata dell’arrivo dei leader, si sono gettati sui gadget dei quali anche questo vertice è ricco. A incuriosire maggiormente ogni sorriso che spuntava sulle labbra di Barack Obama a smentire qualsiasi cosa potesse far parlare di problemi con la presidenza italiana; oppure la freddezza della già poco incline a frivolezze cancelliera tedesca Angela Merkel, che è riuscita a fare il giro di Onna senza concedere alcun gesto caloroso al suo ospite Berlusconi.

Continue reading →

Gi-otto. Quotidiane disavventure di un cronista

Gi-otto. Ovvero il G8 più il cerchio perfetto del noto pittore (ovvero gira gira il cetriolo…)
Ho accumulato negli anni talmente tanti badge del “president” che ci addobbo casa, li regalo agli amici. Saranno state una ventina di volte in un anno, ma questa sulla nave merita d’esser raccontata al di là del giornale.

La nave è «fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia» direbbe De Gregori, ma quello era il Titanic e lasciamo perdere. Invece questa proprio “Fantasia” si chiamava. E vabbè.
La questione qual è? Che quando Silvio Berlusconi viene a Napoli piove sempre. Dunque scendo imbardato nonostante i 55 gradi all’ombra e l’umidità a livelli amazzonici. Ci manca solo il labrador addestrato ai recuperi in mare. Stazione Marittima del porto di Napoli. Io ho mandato la richiesta d’accredito cinque giorni fa. Lo ripeto come un mantra: prima barriera superata, oplà-  accredito cinque giorni fa –  seconda barriera superata, oplà –  accredito cinque giorni fa.
Arrivo al bancariello dei passi e con raccapriccio noto la solita scena, cosiddetta:  “del pane e della pasta”. Ossia tanta gente ad aspettare, sì, ma mica il tesserino per salire sulla nave ferma. Bensì di eseguire le seguenti operazioni propedeutiche:
1. mostrare documento;
2. verificare se c’è l’accredito (c’è, cristo! Da cinque giorni!);
3. farsi fare la foto con la webcam  da inserire nel database del Nuovo Ordine Mondiale;
4. aspettare un’ora per il badge.

L’ora trascorre piacevolmente, in fondo si è in mezzo ai colleghi e ce ne sono di tutte le nazionalità. È piacevole vedere un giornalista inglese, uno spagnolo, un giapponese. In fondo è lo stesso mestiere, solo applicato in maniera diversa. Loro bene, noi male, malissimo.

Insomma, il badge c’è, si sale sul casermone galleggiante. Tutto sluccicante e si entra in una saletta che a malapena contiene i circa 300 giornalisti e operatori accreditati e il mezzo milione di simpatizzanti, eletti, senatori, deputati eccetera. Penso che il modo peggiore per far lavorare un giornalista è costringerlo in spazi angusti quando invece ci sarebbero mille altri posti per una conferenza stampa.  E vabbè, c’è l’aria condizionata.
Mi posiziono su un pouf. Sì, come quelli di Fantozzi con il supermegadirettoregenerale, prendo appunti. Berlusconi parla un’ora di fila, è un mostro, non si ferma, ad un certo punto perdo anche la congnizione spaziotemporale. Fuori diluvia (lo sapevo!).
Meglio alzarsi: la nave è piena di crocieristi, meglio fare un giretto di 5 minuti giusti.
E scopro che tutti fanno battutine, dalle hostess ai passeggeri che si sono trovati il premier sulla nave. La conferenza stampa? La risparmio, sta sui giornali e sul web.

Ma questa deve restare agli atti. Amiche, a bordo:
«Ero vicinissima»
«Quindi hai rischiato di restare incinta?»

22.9.1991: i diciott’anni di Officina 99

A diciotto anni si vota, non si è particolarmente maturi. Si hanno idoli, miti e si dovrebbero avere punti di riferimento. In diciotto anni se t’han tirato su male si vedono già gli effetti; si capisce se sarai incendiario o pompiere (sei l’uno in giovinezza e forse sarai l’altro in vecchiaia).
Officina 99 compie diciott’anni ed è una storia da raccontare.

è nato / n’atu centro sociale occupato cantava Luca Zulù Persico; io nel 1991 avevo giusto 14 anni; guardavo con la coda dell’occhio gli studenti che scendevano in corteo con la “Pantera”. Li avrei ritrovati poco più tardi, ma non a scuola.

Fu Faccenda Elio (Elio si faceva chiamare dagli amici ma sul registro di classe era Elpidio) a spiegarmi in puro dialetto di Grumo Nevano perché era importante conoscere a memoria “Curre curre guagliò“. Siccome sulla mitica bancarella di via Foria non trovavo la cassetta pezzotta “mixed by Erry” dovetti aspettare lui che mi registrava una Tdk 60 con i pezzi migliori di questi “99 posse”. Incominciai a leggere II Manifesto: quando un giorno mio padre andò a comprarlo, l’edicolante si incazzò: “Dincell, a figlet che questi so’ e giurnal re terroristi” (diglielo a tuo figlio che questi sono i  giornali dei terroristi).

Nel frattempo era passata l’epoca di Faccenda Elpidio detto Elio; guardavo  Rai Tre – Telekabul con “Avanzi” e i Novenove cantavano‘e camurriste votano Psi/ ’e sicchie ’e lota votano Msi“. All’epoca qualche manifestazione l’avevo iniziata a seguire pure io, ero “quello che capiva di politica”. E all’istituto tecnico industriale statale “Enrico Fermi” l’assistente di laboratorio, un simpatico fascistone che faceva un ottimo caffè nel laboratorio di Chimica Analitica I continuava a dirmi che in Tangentopoli a Napoli c’era pure il Pci e che l’avrei scoperto presto, molto presto. E vabbè, intanto  occupavamo la scuola nel rione Siberia e io tenevo in mente “‘o documento”. Però quando bussò la Digos al portone pensai che magari  potevo evitare di mandarli a quel paese a suon di rap. Ci andai anche, ad un concerto dei novantanove con i Bisca, altro storico gruppo napoletano. Mostra d’Oltremare, “Futuro remoto”: mi intrufolai un paio d’ore prima mangiando alla mensa allestita nei padiglioni. Uno sballo prima e dopo.

Ma ho parlato solo dei 99, non di Officina che è ben di più. Per una serie di ragioni logistiche ho sempre più seguito le attività dello Ska, il laboratorio occupato che sta poco distante piazza del Gesù, costola centrale del Csoa di periferia. Però, Officina 99 l’ho scoperta per davvero soltanto da giornalista. Mai stato attivista: per timidezza sociale e ideologica, per un limite che ho ancor oggi, non essendo stato mai capace di aderire organicamente ad un movimento, ad una idea o azione politica. Troppo scettico sono, troppo pieno di domande per accettare le verità e le contraddizioni calate dall’alto (o dal basso). Ma ne potrei raccontare di cortei, di proteste, di presidi; fui il primo a scrivere che il centro sociale di via Carlo di Tocco sarebbe stato acquistato dal Comune di Napoli facendo involontariamente – mi avrebbero detto poi – un enorme piacere a chi in giunta comunale premeva per acquistare quell’immobile su cui pendeva uno sfratto per occupazione abusiva. Le giornate del “Global Forum” laboratorio delle violenze che rappresentarono il G8 di Genova; ho ancora le foto conservate. Fortunatamente non conservo niente dei calci in culo che presi per il tratto che dal Maschio Angioino porta al Municipio di Napoli, da un signore in tenuta antisommossa.

Per il resto Officina 99, intesa come movimento ha rappresentato un presidio serio e concreto del “pensare diverso”. L’opensource, scrittori, film-maker e giornalisti alternativi.
Non sempre ha rappresentato il “fare diverso”, tuttavia: ne ho visti di assidui frequentatori del centro sociale scalare poi velocemente le vette del potere bassoliniano, piazzati nei centri di formazione professionale,nelle università, nei punti nevralgici. Ma tant’è: a diciott’anni si vede se sei hai qualcosa che non va,  ma c’è ancora tempo per cambiare.