Stampa in semilibertà

Leggere che la Stampa del tuo Paese non è libera (anzi, è «parzialmente libera») provoca quanto meno delle inquietudini. Se poi fai il giornalista alla preoccupazione s’aggiunge la voglia di capire come si calcola l’indipendenza e la libertà del giornalismo.

Il rapporto
Tutto nasce dal severo giudizio sull’Italia riportato nel  “Freedom of the Press 2009“, l’annuale report della Freedom House, istituto di ricerca e think tank indipendente con sede negli Stati Uniti. Sull’organizzazione indipendente Wiki Usa riferisce alcune accuse di imparzialità (ma vi invito a leggere il report dei finanziatori). Tuttavia non penso siano accuse rilevanti: sono identiche a quelle che subìsce da sempre Amnesty International. Poi voglio dire,  se è la Russia a puntar l’indice sostenendo che lì da loro i giornalisti non hanno problemi…
Il rapporto è accompagnato da una sintesi giornalistica, da grafici e tabelle che analizzano il rank globale; da una breve analisi sulle leggi restrittive della libertà di stampa; dal fascicolo che illustra il metodo di analisi utilizzato e da due mappe, una attuale l’altra storica, con l’evoluzione della libertà di stampa secondo FH negli anni. Il documento completo sarà disponibile online a giugno.

Il punteggio

La valutazione è decrescente: libero (0–30)/ parzialmente libero (31–60)/ non libero (61–100).
Noi con 31 punti siamo l’unico Paese dell’Europa dell’Ovest che sulla cartina non è colorato di verde (free) ma in giallo (partly free). l’Italia è al 72esimo posto nel rank globale (su 195 posizioni) insieme a Tonga, prima di Hong Kong ma dopo Paesi come il Cile (63) o il Ghana (53) e al penultimo posto in Europa Occidentale (24esimo su 25) dove rispetto agli altri Paesi è addirittura considerata «not free» insieme alla Turchia (ma forse qui c’è un refuso, nel computo finale è sempre «partly free»).

Il metodo
Il principio ispiratore è l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sulla libertà d’espressione dell’invididuo. Tecnicamente  FH affida la valutazione ad «un processo di analisi e valutazione condotto da un team di esperti e studiosi locali […] che ha coinvolto diverse decine di analisti, fra cui i membri del core team di ricerca con sede a New York». Dunque ci sono in ballo consulenti, visitatori internazionali, organizzazioni locali relazioni dei governi e «una serie di notizie nazionali e internazionali dei media». Vengono tracciati tre scenari:  giuridico; politico; economico all’interno dei quali è valutata  la libertà di stampa.  Vediamoli nel dettaglio.

Giuridico: è l’esame di leggi e regolamenti «che influenzano il contenuto dei media e del governo nonché l’inclinazione a utilizzare queste leggi e le istituzioni giuridiche per fermare la libertà d’azione dei media». FH prende in esame anche le garanzie giuridiche e costituzionali per la libertà di espressione, il codice penale; le sanzioni in caso di diffamazione e calunnia; l’indipendenza della magistratura e di organismi di regolamentazione dei media ufficiali.

Politico: “misura” il grado di controllo politico sul contenuto delle notizie dei media. Vale a dire «l’indipendenza editoriale sia di proprietà statale e privata; l’accesso a  informazioni e fonti; vicende di censura e di auto-censura; la vitalità dei media e la diversità delle notizie disponibili all’interno di ciascun Paese; la capacità della stampa di coprire le notizie liberamente e senza pressioni o intimidazione  da parte dello Stato o di altri attori».

Economico: esamina il contesto economico per i media. Ciò include «la struttura della proprietà dei media, la trasparenza e la concentrazione delle proprietà, i costi dei media, nonché della produzione e della distribuzione; pubblicità e sovvenzioni da parte dello Stato o di altri soggetti e infine l’impatto della corruzione e corruzione sui contenuti; e la misura in cui la situazione economica in un paese impatto e la sostenibilità dello sviluppo dei mezzi di comunicazione».

Le motivazioni
Il passaggio cruciale sull’Italia è il seguente:

«The region registered one status downgrade in 2008, as Italy slipped back into the Partly Free range thanks to the increased use of courts and libel laws to limit free speech, heightened physical and extralegal intimidation by both organized crime and far-right groups, and concerns over media ownership and influence. The return of media magnate Silvio Berlusconi to the premiership reawakened fears about the concentration of state-owned and private outlets under a single leader».

In sintesi, scivoliamo dietro a causa dell’utilizzo maggiore della legge sulla diffamazione  (querele) che di fatto limita la libertà di stampa nonché a causa dei numerosi episodi di intimidazioni a danni di cronisti, soprattutto minacce del crimine organizzato. Ma la principale questione resta il ruolo politico di Silvio Berlusconi (definito il “magnate dei media”) e l’irrisolto conflitto d’interessi.

Considerazioni personali
Sicuramente il ddl Alfano sulle intercettazioni, le varie notizie di  denunce, intimidazioni, aggressioni, e minacce ai giornalisti e ultimo, ma non per importanza, il caso Berlusconi, shakerati a dovere, producono l’anomalia italiana: la nostra non è una stampa che gode di piena libertà; ogni spazio se lo deve guadagnare e spesso a costo di dure battaglie e scontrandosi con rappresaglie indegne d’un paese civile.  Tuttavia resto stupito: come si può associare il nostro Paese alla Turchia, nazione nella quale – lo dice Amnesty International –  i giornalisti finiscono in galera e  gli editori vengono sgozzati? O vogliamo parlare del Ghana, civilissima terra dove sono ancora in vigore le mutilazioni genitali femminili?
Per questo ritengo che sull’Italia il rapporto 2009 di Freedom House  sia forse troppo influenzato dalla situazione politica che poco rende giustizia al lavoro dei tantissimi cronisti sparsi lungo lo Stivale.
Spero che vengano resi noti i nomi di coloro che hanno relazionato sul nostro Paese per redigere il dossier. Giusto per confrontarmi con qualcuno di loro.