Voglio di più di questi anni amari

Al supermarket uno dei ragazzi che mi ha colpito da subito. Parla più lingue (al mio supermercato si fermano spesso francesi e inglesi evidentemente istruiti sul come spendere meno per un panino) e non si esprime come gli altri. Tra uno yogurt e due etti di tacchino te ne accorgi, questione di scelta delle parole.
Il ragazzo sta alla frutta. Nel senso materiale del termine. Io ho capito che quanto minimo ha una laurea.

Non giudicatemi male: penso che qualsiasi mestiere se fatto onestamente abbia dignità. Però colpisce vedere una persona che – per motivi a me ignoti – fa un lavoro diverso da quello per il quale ha studiato. Anche qui: non fraintendetemi. Non sto dicendo che il mercato può sopportare milioni di scienziati della comunicazione o scienziati politici o filosofi della scienza. Dico che mi sorprende vedere il ragazzo con la barba pesarmi il melone giallo (nonostante io cerchi disperatamente di servirmi da solo lui arriva e pesa: è il suo lavoro). Mi sento imbarazzato. Lo ero allo stesso modo quando il ragazzo del bar, ucraino, mi spiegò che era un ingegnere chimico. E io che sono soltanto un mezzo chimico (nel senso di diploma) non riuscivo più a comportarmi allo stesso modo con lui.

Il chimico e il poliglotta con caffè e verdura in mano che pensano, ogni giorno? Soffriranno questa condizione o penseranno che sì, in fondo è tutto sbagliato ma almeno un lavoro c’è, uno stipendio – magro – a fine mese c’è?

È la distruzione dei sogni che mi opprime: pensavo fosse più forte questo sentimento nell’adolescenza e invece lo sento più intenso oggi, a 35 anni suonati. Delle due l’una: o sto ringiovanendo o questo sentimento di oppressione e questo tanfo di morte di sogni pervade l’aria, come mai finora.