Fine pena mai

Ieri mattina Luca Sofri ha messo sul blog un vecchio scritto, di quando andava a San Vittore e aspettava la visita con papà suo. E’ passato qualche anno da quando ha scritto quel pezzo, ma io ricordavo di aver visto poco tempo fa le stesse scene davanti alle carceri di Poggioreale e Secondigliano.

Questo carcere ha le sue regole. Regola uno, le regole non si discutono. Non perché sia vietato, ma perché non c’è niente da discutere. Come l’esistenza di Dio, per capirsi. Immaginate di poter discutere una regola come “non si possono mostrare ai detenuti foto di assembramenti”? È saltata fuori una volta che avevo portato a mio padre delle foto di persone a lui care, scattate a un incontro pubblico sulla sua storia. E così via. Le regole prevedono che il detenuto possa ricevere quattro visite al mese, ciascuna di tre persone al massimo, tutti familiari, o persone di strettissima e certificata relazione, ciascuna visita della durata di un’ora. Le visite possono diventare sei, se il detenuto ha tenuto una buona condotta durante il mese, guadagnandosene due premiali. Per avere le visite premiali però bisogna fare domandina. Parla così, il carcere, dice “premiali”, e “familiari”, e dice “domandina”. Un misto continuo di burocratese da motorizzazione civile e linguaggio da asilo nido.

Di Poggioreale ho visto poco tempo fa in tv. Il collega Andrea Postiglione ha fatto la notte per riprendere all’alba del giorno di visite, l’umanità che si accalca davanti alla porta verde pittata di recente (qualche anno fa spararono ad un boss appena uscito e i proiettili segnarono anche l’ingresso blindato della casa circondariale). A Secondigliano invece ci sono tornato poche settimane fa: presentavano un progetto per i detenuti, gli fanno zappare la terra e crescere piantine per le aiuole comunali. Tutto bello, poi quando mi sono avvicinato ad uno di loro, un “fine pena mai”, l’inserviente mi ha bloccato: può tenere la zappa, sorridere e far foto, ma non può parlare. Alcuni amici mi dicono che ora alle visite di “ispezione” che i consiglieri regionali e i deputati possono effettuare nelle carceri, bisogna dichiarare se si va con un giornalista. Bisogna dirlo prima, se c’è uno che l’indomani scriverà dell’inferno carceri. Così magari gli fanno fare il giro più bello.

La Stampa, il carcere e gli articoli su misura

Io ho una specie di venerazione per La Stampa, da quando mio zio, metalmeccanico a Mirafiori, scendeva a Napoli col suo giornale torinese doc.

Segnalo due cose che val la pena di leggere. La prima è una bella inchiesta sui flussi di cassa nel carcere di Poggioreale-Napoli  che dimostrano inequivocabilmente un fatto noto ma mai approfondito dal dopo-Cutolo, ovvero che i carcerati affliati ricevono puntualmente la paghetta del clan.
La seconda è l’intervista a Joe Violanti, l’imitatore che ha fatto incazzare Michele Santoro. Interessante non solo per i contenuti,  ma per una scelta particolare: il collega autore dell’intervista ha deciso di pubblicare sul sito web de La Stampa la versione completa, mentre sul quotidiano è finita una tagliata per motivi di spazio. Bel precedente, no? Non foss’altro perchè palesa una delle potenze del web rispetto alla carta: lo spazio e la possibilità di non doversi piegare oltre che alla politica, agli editori… agli alieni, anche alle colonne di una pagina.

Vallanzasca, chiuso il blog

Aveva aperto un blog l’anno scorso, ma a quanto vedo, Renato Vallanzasca, l’ex bandito ora in carcere, ha probabilmente deciso di chiudere il suo spazio in Rete: renatovallanzasca.com ha un redirect al .it che ospita un forum di varia umanità che pure riporta notizie su Vallanzasca ma non è certo un blog.  Chissà, forse il bel Renè è rimasto male dal recente alt deciso da un giudice ad una licenza premio.

Update: in questo post si spiega il cambiamento