Camorra, andare alla fonte

Questo accadeva nel 2005, prima che venisse ripreso da qualche altra parte (pag. 213).

Negli ultimi anni i cronisti napoletani sono stati zitti, quasi intimiditi. Dire «io l’avevo già scritto» oggi equivale ad essere invidioso o geloso dello straordinario successo altrui.
Andiamo oltre: c’è un bel posto in pieno centro, a Napoli: si chiama Emeroteca Tucci. Lì sono raccolti i giornali di anni e anni. Basta andarci e  consultare i faldoni.
Ci dovrebbe andare soprattutto a chi – fortunatamente ce ne sono tanti  – si interessa di camorra, ne scrive sui blog, sui giornali più o meno noti e diffusi; ne parla in giro, scrive libri. La ricerca storica e bibliografica serve a sfatare miti. Uno su tutti: di camorra si parla da sempre. Nessuno può arrogarsi il diritto di fare il capostipite della sofferenza, il portabandiera dell’anticamorra nel giornalismo. Viceversa tutti abbiamo il dovere di fare la nostra parte, con umiltà e sobrietà. Anche quando si è più esposti e sarebbe più facile parlare. Io la vedo così: un servizio al lettore, non sciabolate contro l’aria.

«E po se faccio ‘e corna, nun è pe cattiveria, è che ce l’aggio a morte cu chi sfrutta ‘a miseria». Pino Daniele – Sciò live

Fidel ‘o milionario e il giornalista tout court: piccola rassegna

«Secuestro estilo camorra», rapimento in stile camorristico: così scrive la blogger cubana Yoani Sanchez, quando racconta di esser stata rapita. Dice che ha pensato a “Gomorra”, mentre accadeva. Faccio mente locale: in “Gomorra” non mi pare vi fossero rapimenti. E la camorra  (che di azioni ne genere ne conta tante quante sono le dita della mano destra di Muzio Scevola) più che rapire i giornalisti – di blogger finora fortunatamente non si è occupata – li uccide.

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Su La Stampa, il Meridiano Mondadori dedicato al giornalismo e alle grandi firme del ‘900 è letto e giudicato «da laureandi o neolaureati in storia del giornalismo dell’Università di Torino». Ci sono anche articoli di Giancarlo Siani. Il commento di una studentessa sul giornalista ucciso dalla camorra è il seguente:

Non so se il giornalismo di denuncia debba far parte del giornalismo tout court. Ci sono tanti modi di svolgere la professione. Tendo a pensare che quella di Siani, e di altri giornalisti come lui, sia una coraggiosa, eccezionale scelta personale.

No, cara aspirante collega, non penso che Siani avesse scelto il settore “giornalismo eroico da ammazzare”, sai.

Il bounty hunter del rione Sanità

«…”la legge non ammette ignoranza”. E non è giusto. Perché, secon­do me, allora, la legge non ammette tre quarti di popola­zione. Ma se, per esempio, si cambiasse la frase e si dicesse: “La legge ammette l’ignoranza”, vi garantisco che più della metà di questi signori farebbero sparire la laurea e diventerebbero immediatamente ignoranti».

Antonio Barracano ne “Il sindaco del rione Sanità

Ora a Napoli c’è bisogno di un’altra figura professionale: il cacciatore di taglie.
Abitando a poche centinaia di metri dal “fattaccio” che queste telecamere riprendono, abitandoci dal tempo necessario per ipotizzare che l’«aiuto» chiesto dalla procura alla popolazione non sarà cosa facile da ottenere, mi soffermo su un fatto correlato.
È una notizia arrivata dopo la diffusione del filmato;  a scrivere è la Federazione dei Verdi di Napoli. Si offre «di donare 2mila euro a chi  identificherà e farà arrestare il killer della Sanità. Per ottenere il premio  – si legge – basterà rivolgersi alla Federazione Regionale dei Verdi».

Giancarlo Siani, cinquant’anni fa

GiancarloSiani«Erano più colorate le strade di Napoli, più ricche di bancarelle improvvisate di chioschi di acquaioli, più affollate di gente aperta al sorriso». Così Eduardo  De Filippo ricordava Totò, il giorno in cui il “Principe della risata” morì.

Che Napoli era il giorno in cui nacque Giancarlo Siani? Quella del giorno in cui morì la ricordiamo meglio, perchè le brutte immagini restano, eccome, nella memoria: la Mehari, piazza Leonardo, la prima pagina del Mattino e le foto in bianconero di un giovane giornalista con la camicia, la fila di lato e gli occhiali tondi.

Giancarlo Siani nasceva nel 1959: se la camorra non l’avesse ammazzato,oggi avrebbe cinquant’anni e quattro giorni. Invece è morto quattro giorni dopo il suo ventiseiesimo compleanno. Nacque negli anni del boom, quando tutto sembrava possibile e i nuovi nati parevano destinati a grandi cose, sicuramente migliori di quelle dei genitori che avevano avuto a che fare coi bombardamenti, il dopoguerra, la fame. Ma era al tempo stesso anche una città come quella magistralmente descritta da Eduardo, nel suo “Sindaco del rione Sanità”. La Napoli degli Antonio Barracano, degli uomini “di rispetto” col loro mondo e le loro regole, diverse da quelle dello Stato. Regole che sarebbero diventate sempre più opprimenti, pesanti. Poi i Settanta, gli Ottanta fino ad oggi. Per Giancarlo Siani la vita è finita nel 1985.

Se non fosse accaduto?

Oggi avremmo forse avuto un giornalista professionista con alle spalle anni di gavetta. Tra Vomero e Torre Annunziata. Disilluso, probabilmente, ma con un poco di speranza nei giovani. Avrebbe di sicuro anch’egli affrontato le varie crisi dei giornali così come li aveva conosciuti agli inizi: l’addio al piombo, le nuove frontiere di internet. Gli sarebbe piaciuto, probabilmente, scoprire in quanti ancora amano questo mestiere. E forse tra le pubblicazioni oggi avremmo anche il suo libro su Torre, le cui bozze misteriorsamente sparirono dopo la sua morte.

Infarcire un periodo di “avrebbe” destabilizza: troppi dubbi in così poche righe. È solo perchè nessuno può saperlo con certezza: Giancarlo Siani è stato ammazzato e oggi, anziché i suoi cinquant’anni, ci ritroveremo ancora una volta a chiederci com’è potuto accadere e a prometterci che no, non dovrà mai più succedere.