Per noi che non sfiorimmo né dimenticammo

In un momento (per Sibilla Aleramo)

In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose

P. S. E così dimenticammo le rose.

La non banalità di un crimine

Questa qui è una delle parti finali de “La banalità del male” di Hannah Arednt. Commentando la condanna a morte del criminale nazista Adolf Eichmann, “l’architetto della Shoah”, Arendt dice che uno dei problemi di quel processo fu proprio il dover introdurre il concetto  “crimine contro l’umanità” all’interno del sistema  di valutazione del crimine. Scrive la Arendt:

Una mattina, a Gerusalemme, mi portarono allo Yad Vashem, il museo della Shoah. Più che un museo, un memoriale, un viaggio opprimente e doloroso. Nel Giardino dei Giusti cercai gli italiani: c’erano, erano tanti.
Non c’è una morale nè una conclusione, in quel che scrivo su quest’argomento.
La frase di Hannah Harendt che ho sottolineato dovrebbe essere scolpita sulla testa dei signorsì di partito, sulle borse dei portaborse: «In politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa».

Non parole, un gesto

Sessant’anni fa ci lasciava Cesare Pavese e non mi pare che sia stato fatto molto per ricordarlo. Ne avremmo un bisogno matto di uno come lui.

All’amico che dorme

Che diremo stanotte all’amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce.
Guarderemo l’amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell’antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo.
Il remoto silenzio soffrirà come un’anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell’ansia dell’alba,
che verrà d’improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio.
L’inutile luce svelerà il volto assorto del giorno.
Gli istanti taceranno.
E le cose parleranno sommesso

Per ricordarli

Pierpaolo – Eduardo de Filippo

Non li toccate quei diciotto sassi
che fanno aiuola
con a capo issata
la ‹‹spalliera›› di Cristo.
I fiori,
sì,
quando saranno secchi,
quelli toglieteli,
ma la  ‹‹spalliera››,
povera e sovrana,
e quei diciotto irregolari sassi,
messi a difesa
di una voce altissima,
non li togliete più!
Penserà il vento
a levigarli,
per addolcirne
gli angoli pungenti;
penserà il sole
a renderli cocenti,
arroventati
come il suo pensiero;
cadrà la pioggia
e li farà lucenti,
come la luce
delle sue parole;
penserà la ‹‹spalliera››
a darci ancora
la fede e la speranza
in Cristo povero.

[1975]

Api fuoribonde

«È morto un poeta. Di poeti così ne nascono due o tre ogni secolo»
Alberto Moravia, funerali di Pierpaolo Pasolini

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La verità è sempre quella,
la cattiveria degli uomini
che ti abbassa
e ti costruisce un santuario di odio
dietro la porta socchiusa.
Ma l’amore della povera gente
brilla più di una qualsiasi filosofia.
Un povero ti dà tutto
e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria.


Alda Merini