Oggi è morto Totò

La prima pagina del Paese Sera con la morte di Totò

 

L’anniversario della morte di Totò, morto nel 1967, cade il 15 aprile. Questo è il ricordo, commovente, che Eduardo De Filippo fece dalle pagine del ‘Paese Sera’, storico quotidiano comunista nato nel 1948 e chiuso negli anni Novanta. Eduardo fu amico di Totò, lo testimoniano numerose attestazioni di fiducia e affetto, anche alcune belle fotografie. Quando il Principe della Risata se ne andò, il drammaturgo volle affidare un suo ricordo alla penna. Ne uscì qualcosa di puro, antico, di vero e schietto. Un ricordo pubblico perché quello privato, scrisse Eduardo, lo tengo per me.

 

«Erano più colorate le strade di Napoli, più ricche di bancarelle improvvisate di chioschi di acquaioli, più affollate di gente aperta al sorriso allora, quando alle dieci di mattina le attraversavo a passo lesto avevo quattordici anni per trovarmi puntuale al teatro Orfeo, un piccolo, tetro, e lurido locale periferico, dove, in un bugigattolo di camerino dalle pareti gonfie di umidità, per fare quattro chiacchiere tra uno spettacolo e l’altro, mi aspettava un mio compagno sedicenne che lavorava là…

Oggi è morto Totò. E io, quattordicenne di nuovo, a passo lento risalgo la via Chiaia, e giù per il Rettifilo, attraverso piazza Ferrovia. Entro per la porta del palcoscenico di quello sporco locale che a me pare bello e sontuoso, raggiungo il camerino, mi siedo e mentre aspetto ascolto a distanza la sua voce, le note della misera orchestrina che lo accompagna e l’uragano di applausi che parte da quella platea esigente e implacabile a ogni gesto, ogni salto, ogni contorsione, ogni ammiccamento del “guitto”. Do un’occhiata attorno; il fracchettino verde, striminzito, è lì appeso a un chiodo: accanto c’è quello nero. Quello rosso glielo vedrò indosso tra poco, quando avrà terminato il suo numero. I ridicoli cappellini… A bacchetta, a tondino… e nero, marrone, e grigio… sono tutti allineati sulla parete di fronte. ..Manca il tubino: lo vedrò tra poco. Il bastoncino di bambù non c’è: lo avrà portato in scena. E lì, sulla tavoletta del trucco? Cosa c’è in quel pacchetto fatto con la carta di giornale? È la merenda, pane e frittata. E la miserabile musica continua, e la sua voce diventa via via ansiosa di trasportare altrove quella orchestrina, di moltiplicarla. Dal bugigattolo dove mi trovo non mi è dato vederlo lavorare, ma di sentirlo e immaginarlo com’è, come io lo vedo come vorrei che lo vedessero gli altri. Non come una curiosità da teatro, ma come una luce che miracolosamente assume le fattezze di una creatura irreale che ha facoltà di rompere, spezzettare e far cadere a terra i suoi gesti e raccoglierli poi per ricomporli di nuovo, e assomigliare a tutti noi, e che va e viene, viene e va, e poi torna sulla Luna da dove è disceso.

Ora sono travolgenti gli applausi e le grida di entusiasmo di quel pubblico: il numero è finito. Un rumore di passi lenti e stanchi si avvicina, la porticina del bugigattolo viene spinta dall’esterno. Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: ” Edua’, stai cca’! ” E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa».

Eduardo De Filippo – dal Paese Sera del 1967

D’Avanzo e la semplicità del cronista

 


Le regole di Peppe: al mattino fai cinque telefonate a cinque fonti diverse, a persone che ti possono dare notizie, non importa quali, basta che ti spieghino come stanno le cose; studia, non smettere mai di studiare, appassionati ai problemi, falli tuoi; rispondi, devi rispondere sempre quando il giornale ti chiama; ricordati che questo lavoro lo devi vivere con passione, ogni benedetto giorno.

Ho iniziato questo lavoro come tanti, ritagliando gli articoli che mi piacevano e tenendoli in casa. Rileggere e dire: «Saprò fare così, anche io, un giorno?» è uno degli esercizi d'umiltà che andrebbe imposto ai giornalisti.
Riapro oggi quella cartella. È rossa, sbiadita. Ci sono dentro molti pezzi firmati D'Avanzo.

Quando poi ho iniziato a scrivere e non solo più guardar scrivere, ho acquisito l'atteggiamento critico anche verso certi maestri. Ma è giusto così, penso.

Però poi quando incontri uno che hai letto, ritagliato e custodito, uno che si è fatto incarcerare pur di non rivelare la sua fonte, diventi piccolo.

Napoli, 2008. Inchiesta Global Service. Mezzo Comune in manette, subbuglio politico, carabinieri e finanzieri che vanno e vengono. D'Avanzo è inviato a Napoli. Noi piccoli che ci aggiriamo per il Palazzo San Giacomo. Quando D'Avanzo è al Municipio, in un momento in cui è senza parlare con nessuno, io "piccolo" gli faccio certe domande. Lui dice la sua, si resta a parlare per un poco. Resto  colpito dall'estrema precisione ad ogni risposta. È aver tutto chiaro per poterlo scrivere ancor più chiaramente.

Ecco, ora dici: ma che aneddoto è?
Hai trovato la parole "spocchia", "presunzione" in questa storia?

Eccolo, l'aneddoto.
 

Api fuoribonde

«È morto un poeta. Di poeti così ne nascono due o tre ogni secolo»
Alberto Moravia, funerali di Pierpaolo Pasolini

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La verità è sempre quella,
la cattiveria degli uomini
che ti abbassa
e ti costruisce un santuario di odio
dietro la porta socchiusa.
Ma l’amore della povera gente
brilla più di una qualsiasi filosofia.
Un povero ti dà tutto
e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria.


Alda Merini


Colpa di Alfredo

Il Signor Palomar si trova davanti alla gabbia di Copito de Nieve, un gorilla albino, allo zoo di Barcellona. Lo osserva e ne riconosce i tratti da uomo di razza bianca e lo sguardo carico di desolazione, pazienza, noia, uno sguardo che esprime tutta la rassegnazione ad essere come si è, unico esemplare di una forma non scelta…

da Palomar – Italo Calvino

È tutta colpa di Alfredo, se io ho iniziato ad occuparmi, più o meno seriamente, della politica napoletana. Ma ce ne scansino e liberino delle commemorazioni: se non fosse stato per il rispetto della sofferenza di chi resta, mi sarei prodotto in una di quelle perfide battute che a lui tanto piacevano. Quelle sulle carceri, le prescrizioni, le indagini e su una nuova tangentopoli del centrosinistra cittadino.

Ne sapeva qualcosa, Alfredo, da onesto e limpido testimone di una storia che in un pugno d’anni e con una decina di capriole ha tramutato il Pci nel Pd. Ad ogni passaggio perdendo qualcosa, come in ogni sintesi. Con nuovi imperatori e vecchi metodi. Ma lui, quadro di partito “fuori dai quadri” era rimasto ai margini del banchetto di potere, rifiutando di ammiccare e cedere, cercando semmai di giustificare con filosofia chi invece, lesto e furbo, razzolava le briciole in ogni dove.

Se n’è andato giovane e in fretta: ieri ho trovato la lunga rubrica di politici che mi regalò a suo tempo; merce preziosa come semi da coltivare. Per chiamare uno finivo sempre per sbagliare e telefonare alla povera Franca Chiaromonte, mai sgarbata («no, forse s’è sbagliato?»).

Nella sua casa piena di libri  mi è tornato alla mente  Copito de nieve, il gorilla albino dello zoo di Barcellona. Quando morì lui ne fu commosso, forse ammettendo che in fondo in fondo le due storie erano simili: diversi dal mucchio, con la consapevolezza, il peso, ma al tempo stesso il profondo orgoglio, di esserlo.