Senza aiuto di nessuno, imparando a dire no *

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«Senza aiuto di nessuno, imparando a dire no»*

Sono stato per la prima volta alla Sonrisa, il ‘castello’ del Boss delle Cerimonie come ospite di un matrimonio, il 28 settembre del 2003. Ricordo la data perché è entrata nella storia: era il giorno del grande black-out elettrico in Italia. Napoli, come il resto del Paese, si fermò. Quando arrivammo in questa specie di catena di montaggio dei matrimoni nessuno si scompose. «Per noi non cambia nulla», dissero. Avevano generatori a benzina che secondo me gli ospedali della zona limitrofa si sognavano. E così, mentre l’Italia era al buio, noi avemmo le nostre 10 portate, dall’antipasto al dolce, la musica e tutto. Pure i fuochi artificiali.

No, il matrimonio cui partecipai io non prevedeva neomelodici.
Sì, don Antonio Polese venne a fare gli auguri.  Ma era tutto meno scenografico.
Il kitsch già c’era. Ma sarebbe diventato solo dopo ingranaggio di quel meccanismo ad uso e consumo dello stereotipo televisivo; il reality trash pagato oro dai network televisivi, quella schiacciasassi che appiana ogni profondità di ragionamento, mettendo sullo stesso livello  il camorrista caccia migliaia d’euro per la Comunione della figlia e l’onesta coppietta di paese che vuole il matrimonio come dentro ‘a televisione. Quello stesso meccanismo che finisce per mettere nello stesso ragionamento una lottizzazione abusiva degli anni Ottanta, il boss della camorra Raffaele Cutolo e il lavoro di centinaia di persone in una struttura ricettiva che lavora 7 giorni su 7 e non si ferma mai. Nemmeno quando muore il capo.

Perché ve lo racconto? Vi siete chiesti se davvero ‘esiste’ quel tipo di festa matrimoniale descritta nel reality di Real Time? A qualcuno sfugge che il 70 (90?) % delle cose viste in tv è sceneggiata, organizzata e predisposta. Che ci sono copioni e ruoli  in cui anche invitati, sposini e parenti si adattano. Insomma, la realtà è meno filmica.
Molti si sono chiesti e mi hanno chiesto: ma com’è possibile, questo don Antonio era stato condannato, il suo castello è un abuso edilizio e Napoli e provincia lo idolatrano da vivo e da morto?
Se vogliamo discutere di atteggiamenti la questione è più complessa e più semplice al tempo stesso. Avete mai provato ad organizzare un matrimonio, tipo il vostro? Vi assicuro che vorrete bene a tutti coloro che – pure a pagamento – si  premureranno di alleviarvi la pena logistico/organizzativa. E Polese, al pari di tanti titolari di ristoranti e organizzatori d’eventi faceva proprio questo. Se lo fai per quarant’anni è normale che tu abbia tanti fan (pure tanti detrattori, eh). Non discuto del Boss delle Cerimonie come evento sui social network. Vi basti guardare le pagine Facebook inizialmente nate per prenderlo in giro  e finite con l’idolatrarlo.

Vi sto scrivendo che sono le 4.20 del mattino. Sono in redazione per la notte referendaria. Siamo in due, potevo tornarmene a casa ma voglio vedere l’alba e passeggiare sul Lungomare stamattina.

Ho buttato giù un pezzo su come cambierà lo scenario politico in Campania. Alla fine il ‘diavolo’ Vincenzo De Luca nulla ha potuto contro la volontà popolare: il No alla riforma costituzionale ha vinto pure nel suo feudo: Salerno. Perfino ad Agropoli, dove secondo il presidente della Regione il sindaco avrebbe dovuto promettere  da yacht a fritture di pesce per portare la gente a votare Sì.
Luigi De Magistris ha una fortuna invidiabile: si è intestato al pari di Matteo Salvini la vittoria referendaria e ora con le dimissioni di Matteo Renzi può perfino sperare che cada il commissario straordinario di Bagnoli. Un altro grande risultato di questa Amministrazione.
L’idea di seguire giornalisticamente un’altra campagna elettorale, quella delle Politiche, mi gela il sangue. Stiamo diventando orrendi, sui social e non solo. Non vi nascondo che ho avuto i miei problemi, alcuni piuttosto seri, nel lavoro che svolgo, in quest’ultimo anno e mezzo, proprio a causa del clima orrendo che si andava creando alle Comunali a Napoli. Vabbé, speriamo bene.

Sentite, ma come la vedete questa newsletter? I numeri dicono che la prima è andata una bomba. Ah! Se voi volete scrivermi potete farlo anche rispondendo a questa mail. A me fa piacere, leggo e rispondo.
Se  vi va, giratela ad amici, parenti, moglie, amante:  «Ce l’avete l’amante? E ve l’avita fa».

Ultima cosa, importante.  Voglio occuparmi nei prossimi mesi di chi ha lasciato Napoli e perché. Se potete, se vi va, datemi una mano: storie, suggerimenti, idee.

*il titolo è una frase di “Keep on movin” di Pino Daniele. È il mio motto, io  ho sempre vissuto così È il mio tatuaggio (aeh, è nu fatto segreto, non lo doveva sapere nessuno…).

E ‘a sape tutto ‘o munno. Ma nun sanno ‘a verità *

«E ‘a sape tutto ‘o munno. Ma nun sanno ‘a verità»*

Sabato sera Raitre ha rimandato in onda la puntata di ‘Ulisse’ con Alberto Angela che magnificava la Napoli greco-romana, normanna, borbonica. E pure quella di Bassolino e di De Magistris.
Domenica mattina il quotidiano Italia Oggi ha pubblicato la classifica della vivibilità nelle città italiane. E Napoli è al posto 103 su 110.
Da queste parti siam convinti da tempo (e lo andiamo scrivendo e dicendo) che vi sia un divario enorme fra la città reale e quella percepita. Il primo problema è quale sia la reale. Si avvicina più alla Napoli di Alberto Angela o è quella senza vivibilità classificata da Italia Oggi? Il secondo è: noi giornalisti quale dobbiamo tenere più in considerazione per narrare il presente? La percepita o la reale? (tranquilli, non accenno nemmeno alla post-verità).

Son quelle discussioni che polarizzano sui social network e per questo sono considerate interessanti (lo è ormai ogni opinione capace di portare alla rissa, la scusa nei giornali è: «fa dibattito»).  In mezzo c’è un mondo. Cito esempi noti contenenti domande ricorrenti al cronista, spesso poste anche da colleghi: «Senti, ma quello che si vede in Gomorra è davvero Napoli così com’è oggi?».
Sull’autore del bestseller alla base di tutto, Roberto Saviano, voglio soffermarmi. In questo periodo lo si vede in giro per l’Italia causa promozione dell’ultimo romanzo. E voglio usare un fatto recente che lo ha visto protagonista a Napoli, a sostegno del mio ragionamento iniziale.

La foto in alto è una scritta comparsa sui muri della Basilica di San Paolo Maggiore in piazza San Gaetano (dove ci sono le visite guidate per la città sotterranea e le botteghe del presepe). Emanuele Sibillo è, anzi era, un baby boss ucciso nel 2015 durante la sanguinosa faida della paranza dei bambini (ne scrissi, ero in un periodo particolare della mia vita). Scrivere il nome di Sibillo è un po’ una moda per certi guaglioni. La variante è la sigla F.S. (acronimo di Famiglia Sibillo). Il numero 17 è quello del capitano del Calcio Napoli Hamisk.
Una cosa mi ha sempre impressionato della storia di Emanuele Sibillo. Per un periodo di tempo, grazie a un progetto per minori a rischio aveva ‘giocato’ a fare  il giornalista. Qui c’è un video, lui è il ragazzino sulla sinistra. Poi le cose andarono diversamente. Lui morto (e c’è un altro inquietante video che lo ricorda, realizzato, evidentemente da ‘amici’ sul Youtube), il fratello Lino arrestato.

La foto in basso invece è uno striscione anonimo comparso sul Ponte del rione Sanità. È contro Saviano, lo definisce “rinnegato”, ammonisce che «Napoli ha bisogno d’amore, non di fango». Quest’ultima immagine – rilanciata dallo stesso scrittore su Facebook – è stata scattata pochi giorni prima che comparisse la scritta su Sibillo. Che è stata invece rimossa  in fretta e furia, senza indignazione né dibattito.

Per ritornare alla domanda iniziale: qual è la città vera e quale la percepita? Ha fondamento o è frutto di una distorsione il risentimento verso lo scrittore che della città parla ma non la vive ed è definito rinnegato (mi ricorda la bella canzone di Edo Bennato) ? È vera la narrazione savianea (ah! Il romanzo sulla paranza assomiglia al bellissimo “Cidade de Deus” di Paulo Lins)? Sono vere le sue descrizioni cupe, le sue accuse al sistema politico e amministrativo partenopeo come al solito senza speranza alcuna, il dito indice accusatorio puntato senza appello alcuno?

La città vera e quella percepita. L’una tende a prevalere sull’altra? Convivono? O  con egual forza cozzano l’una contro l’altra, mescolandosi, determinando un problema anche per coloro che vogliono raccontare il quotidiano tentando d’affidarsi il meno possibile alla semplificazione?

Uffa. Avevo un libro, una parola e un luogo da consigliare, volevo creare delle micro-rubriche. La mia amica Arianna dice che devo mettere la ricetta di cucina napoletana (a proposito: sapete come si fa a distinguere una zeppola di San Giuseppe al forno con una fritta senza assaggiarle?). La foto in alto però è la mia, la cambierò ogni volta.

Vi posso chiedere di condividere questa mail a chi ritenete eventualmente interessato? Da anni “misuro” la popolarità cose che scrivo col metro dei like Facebook, dei click di Google analytics. E quanto vorrei invece un passaparola, magari accompagnato dal più bel complimento indiretto fatto ad un giornalista: quello che invita un’altra persona a cimentarsi nella lettura.

La citazione finale è di Erri De Luca e parla delle classifiche sulla vivibilità. È di qualche anno fa ma la si tira in ballo ogni volta che Napoli scivola in fondo alla classifica. Maronn, che palle citare Erri De Luca.
Dai, la prossima volta faccio meglio.

«Ignoro i criteri di valutazione ma dubito che siano adeguati allo scopo. C’è qualità di vita in una città che vive anche di notte, con bar, negozi, locali aperti e frequentati, a differenza di molte città che alle nove di sera sono deserte senza coprifuoco. Considero qualità della vita poter mangiare ovunque cose squisite e semplici a prezzi bassi, che altrove sarebbero irreali. Considero qualità della vita il mare che si aggira nella stanza del golfo tra Capri, Sorrento e Posillipo. Considero qualità della vita il vento che spazza il golfo dai quattro punti cardinali e fa l’aria leggera. Considero qualità della vita l’eccellenza del caffè napoletano e della pizza. Considero qualità di vita la cortesia e il sorriso entrando in un negozio, la musica per strada. Considero qualità della vita la storia che affiora dappertutto. Considero qualità della vita la geografia che consola a prima vista, e considero qualità della vita l’ironia diffusa che permette di accogliere queste graduatorie con un ‘Ma faciteme ‘o piacere’. Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare».

*il titolo è una frase di “Napul’è”, canzone scritta nel 1977 da un Pino Daniele 20enne.
Dice testualmente: «Napule è tutto nu suonno / E ‘a sape tutto ‘o munno  Ma nun sanno ‘a verità» (Napoli è tutta un sogno, la conosce il mondo intero. Ma non sanno la verità).