Giornalisti alt, farsi riconoscere

Partiamo dalla fine.
In foto c’è un pass, gentile dotazione fornita al sottoscritto, attuale cronista politico di E Polis nonché assiduo frequentatore del Comune di Napoli da un paio di lustri. Se non ho questo strano tesserino  da oggi, non posso accedere al Palazzo San Giacomo, sede dell’Amministrazione comunale di Napoli. Sì, proprio quella degli assessori arrestati e morti suicida, quella del “sistema Romeo” e dello scontro tra Rosa Russo Iervolino e Gino Nicolais. Come ho già avuto modo di dire qualche tempo fa, quando ci sono guai in vista, il palazzo di città viene dichiarato off-limits ai cronisti. Stavolta han fatto di peggio: hanno deciso una volta e per sempre di chiuderci le porte. Dunque, a Napoli, il giornalista non potrà accedere al Comune senza accredito – ovvero senza essere preventivamente schedato, non basterà più l’esibizione del tesserino professionale -.
Per farla breve: ieri è sceso il capo ufficio stampa del Comune e a noi cronisti assiepati da ore nell’androne del Municipio (a 10 gradi  e con un vento di tramontana da gelare le ossa) ha detto che non potevamo entrare. Dunque, per beccare Rosetta bisogna affidarsi alla fortuna, presidiare i quattro lati del palazzone e sperare che qualcuno riesca a pizzicarla. Tipo gatto e topo.

Si ride per non piangere, eh. In realtà l’operazione «via i giornalisti» era iniziata nel giugno 2008. Riporto alcuni stralci di documentazioni pubbliche che ho copiato a mano dagli uffici.

« A seguito della deliberazione della Giunta Comunale n° 4201 del 5 ottobre 2006 che ha disposto le nuove regole per l’accesso a Palazzo San Giacomo dei dipendenti e degli ospiti, alla luce della soluzione di alcune problematiche organizzative che hanno costretto a differire i tempi di entrata in funzione della decisione, è ora possibile darne pienamente corso. Il contenuto della presente disposizione è stato visto e condiviso dal Sig. Vicesindaco ed è stato illustrato nel corso del Comitato di Direzione del 21 maggio 2008. […] I giornalisti ufficialmente accreditati presso il Dipartimento comunicazione istituzionale possono accedere liberamente da via Imbriani mostrando l’apposito tesserino rilasciato dal capo del Dipartimento. Gli altri giornalisti non accreditati debbono richiedere l’invito al Dipartimento Comunicazione istituzionale e registrarsi all’ufficio passI».

Ad aggravare la situazione c’è un altro documento ufficiale dell’Ente, a firma del capo Comunicazione Istituzionale, piazzato in bella vista all’ufficio Pass del Comune di Napoli, indirizzato agli uffici preposti e agli vigili urbani di piantone  La foto non è venuta granché,  riporto qui le parti salienti:

«segnalo che vi è stato nei giorni un accesso disordinato di giornalisti all’ìinterno della sede comunale… […] queste disposizioni prevedono che i giornalisti preannuncino il loro arrivo a San Giacomo dandone comunicazione all’Ufficio stampa e che quest’ultimo possa procedere all’accreditamento […] al fine che si eviti, per il futuro, lo spettacolo di gruppi di giornalisti non accreditati che si aggirano per la sede comunale…».

Dunque per il futuro ci aspettano scene del genere: «Pronto? Sono il giornalista tal dei tali. Sentite mi hanno appena rivelato che ci sono gli agenti dell’Antimafia al Comune e stanno sequestrando degli atti. Che mi fate aprire il palazzo per cortesia?». Ve lo immaginate? E ancora: vi immaginate cosa significa il monitoraggio degli accessi dei giornalisti?  Il cronista del quotidiano X è entrato alle ore x ed uscito alle ore y. Cosa ha fatto? Dove è andato? E tra l’altro la cosa peggiore è che ci hanno chiaramente detto che anche se muniti di pass, i cronisti non potranno muoversi dalla saletta stampa del Comune! Tanto vale star giù al Palazzo e pararsi davanti all’auto blindata del sindaco, come fanno i disoccupati organizzati.
L’unica fortuna di ieri è stata quella di avere un presidente dell’Ordine dei Giornalisti che ha cominciato a protestare ingaggiando una battaglia con certi ottusi burocrati. Non va meglio alla Regione Campania dove l’accesso agli assessorati è monitorato da anni: lì non ci sono i pass, i controlli li fanno in altro modo. I risultati in termini di trasparenza si vedono. Eccome: nessuno ad esempio “sapeva” nulla dell’emergenza rifiuti finquando non è diventata evidente.  Dunque, si badi bene, questa non è affatto una protesta “di casta”: impedire ai giornalisti di vedere, chiedere, di essere testimoni delle attività di palazzo, significa in sostanza, occupare militarmente la casa dei cittadini. È un abuso.
Su un muro di Torre del Greco c’era una scritta che mi sembra alquanto adatta all’occasione: Mala tempora currunt : guagliù aparatev ‘a palla.

Life oh Life

Su E Polis Napoli di venerdì me ne sono uscito, fra politica e affini con un bel pezzone su una cosa che m’ha particolarmente colpito: il fatto che da qualche giorno tutto l’archivio fotografico della rivista american “Life” è disponibile su Google. Contestualizzarlo sulla città è stato facile:  di Napoli città rasa al suolo dai bombardamenti angloamericani e martoriata dai nazifascisti, ma anche protagonista della rinascita post-bellica e luogo amato dagli americani ci sono tantissime cose da vedere. Dalla visita di Hitler e Mussolini in una città spettrale addobbata di tremende svastiche a quella di John Kennedy fino a tutta una serie di vicoli, espressioni, mestieri. Un patrimonio, insomma.

Giornalisti, per una carta deontologica anti-camorra

Giovedì 30 a Caserta si riuniranno i vertici della Federazione nazionale della Stampa in sessione straordinaria. All’ordine del giorno c’è la lotta alla camorra, elemento inprescindibile per ogni cittadino.
Fin qui, non fa una grinza.
Io penso che nella vita uno il suo contributo deve darlo a prescindere dalle posizioni e dalle situazioni. Il mio è talmente modesto che c’ho messo mezz’ora giusta per elaborarlo. Però è qui, nero su bianco. Una bozza di “carta deontologica”. Un’altra  carta straccia, direte voi. Elementi scritti cui fare riferimento, dico io.

Poche chiacchiere, ecco qui qualche appunto.

BOZZA DI CARTA DEONTOLOGICA

* Particolare attenzione e rigore nell’indicare i precedenti penali di boss dei parenti di boss o affiliati che per particolari motivi finiscono sulle pagine dei giornali. Esempio: non dovrà mai più succedere che la moglie del boss finisce sul giornale con la solita lettera «mio marito muore in carcere» e non vengono indicate le ragioni che hanno portato il soggetto in galera o eventuali procedimenti a carico della consorte.

* Impegno rigoroso nel fornire una tempestiva replica alle accuse verso servitori dello Stato. Esempio: non dovrà mai più accadere di leggere di accuse scagliate contro persone vive o defunte che hanno sfidato i clan, senza che si possa leggere, sullo stesso giornale, nello stesso giorno, un ampio contraddittorio.
* Impegno dei giornali a non enfatizzare nei titoli gli “alias” (i nomignoli) spesso in uso ai malavitosi.
* Impegno dei giornali  – fatto salvo il diritto a valutare in autonomia l’importanza di ogni notizia da pubblicare – a dare risalto a tutte manifestazioni e alle commemorazioni contro la malavita organizzata.
* Impegno dei giornalisti a denunciare dettagliatamente alle forze dell’ordine e non solo agli organismi di categoria (Fnsi e Odg) ogni tentativo di intimidazione.
* Prevedere con le Prefetture, nell’ambito dei periodici comitati per l’ordine e la sicurezza, uno spazio di discussione  fisso dedicato al monitoraggio di eventuali problemi, minacce, intimidazioni, subìti  dai cronisti nell’esercizio delle loro funzioni.
* Impegno dei comitati di redazione, di concerto con gli organismi preposti, a vigilare sulla presenza di informazione pubblicitaria “ambigua” nelle emittenti tv o su carta stampata. L’esempio più lampante è quello dei cosiddetti “neomelodici” alcuni dei quali veicolano messaggi assolutamente inaccettabili (a tal proposito basterebbe ricordare il monito dell’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato, rimasto inascoltato e la dettagliata analisi contenuta nel libro di Isaia Sales “Le strade della violenza”).

Il Quarto potere di Pianura

«…Pereira cominciò a sudare, perché pensò di nuovo alla morte. E penso: questa città puzza di morte, tutta l’Europa puzza di morte…».
da “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi

Non è che la mattina uno si sveglia e fa l’eroe. Anche Propp aveva le sue regole, dunque figuriamoci se nella vita reale uno si sveglia e fa l’eroe. L’eroe di carta, poi: con un taccuino in mano.
Uno la mattina si sveglia e va a prendersi il caffè; arriva in ufficio o – se è un buon giornalista – vede dove far schiarare giorno. Cioè dove trovare quelle quattro miserie umane da tradurre malamente in parole  per restituirle il giorno dopo al lettore. Un surrogato di vita comunemente noto come “giornale quotidiano”.
Uno scende la mattina e va ad esempio a Pianura, periferia Occidentale di Napoli. A Pianura qualche mese fa, quando lo Stato  voleva piazzare una discarica (un’altra…) è finita male. Male per lo Stato, costretto alla resa e alla fuga. Un quartiere a ferro e fuoco per giorni, il che dimostra la preparazione quasi militare di certi individui. Ma non dirò altro su questo: sarà la magistratura, come penso e spero, a fare luce.

Dunque, uno scende la mattina e va proprio a Pianura. Lì, in questi giorni, in una piccola strada, c’è un palazzo abitato da immigrati nordafricani. Sono tanti, sono abusivi ma non hanno dove andare. Non c’è spaccio  nè prostituzione: del resto anche se avessero voluto, i clan dell’area Ovest che hanno il predominio del business non l’avrebbero permesso. Il mio giornale, Il Napoli, ha iniziato quasi per caso a documentare il clima di odio razziale che alberga in quella stradina scura che ora sembra uno scorcio d’Alabama.  Si chiama via dell’Avvenire: un dispetto alla cecità umana che rappresenta. I bianchi vogliono che i negri vadano via. Lo chiedono abbastanza insistentemente.

Un cronista lo sa, quando certa insistenza è sinonimo di rabbia e impotenza e quando invece è sinonimo di rabbia e sicurezza di un certo “sostegno politico”. Evidentemente qualcuno non ha gradito i pezzi , visto che se il collega autore  degli articoli, nemmeno tre giorni dopo è stato chiaramente minacciato durante un suo sopralluogo in quel tetro vicoletto. Ma se uno scende la mattina e va a Pianura,  ci va perché c’è la manifestazione antirazzista – e quindi ci sono i poliziotti a garantire il diritto di ogni uomo in territorio italiano a manifestare la propria opinione liberamente – non si aspetta un’azione militare di un gruppetto di residenti arrabbiati ma apparentemente innocui.

Sassaiola, il cordone della Celere si sgancia e lascia sguarniti i cronisti prudentemente nelle retrovie. E scatta il blitz, contro uno soltanto. Lo stesso che qualche giorno prima era stato minacciato: detto, fatto. E giù insulti, cazzotti, calci. Quaranta contro uno.

Il risultato è il terrore, qualche ora d’ospedale, qualche giorno di prognosi. Per fortuna.

Ma c’è qualcosa d’impalpabile come veleno nell’aria a rendere irrespirabile queste giornate napoletane, a rendere insopportabile il solito balletto del “noi-siamo-esasperati”, cantilena recitata a menadito da chi, uomini e donne, non si è fatto scrupoli di alzare le mani addosso ad un carabiniere, ad un immigrato dializzato in attesa di trapianto, ad un giornalista.
Arrivo per la rabbia a pensare quello di cui forse molti sono sicuri: che un giornalista è stupido  a farsi picchiare. Potrebbe  anzi starsene a casa,  tanto le notizie arrivano comunque, tanto non vale la pena di farsi scannare per quattro neri che leggono il giornale giusto perché è gratis, per una ventina di piccoli camorristi di Pianura, guidati da qualche mazziere (di destra o di sinistra non importa, la meccanica non m’interessa). Lo dico ma è un attimo.

Sostiene A., invece, che a qualcuno dovremmo pure far riferimento e che lui ha bene in mente il solco tracciato da Antonino Caponnetto qualche anno fa. E io che ormai dal 1996 sono costretto a  trattare i suoi comunicati di solidarietà faccio finta di strafottermene, mentre penso a quella promessa  che sa di dogma, pronunciata col taccuino in mano ripetuta anno dopo anno, a due su uno scooter; in dieci nella stanza della cronaca; davanti ad una telecamera; in un corteo contro la guerra a Fuorigrotta o a Casal di Principe: bisogna fare quello che si deve fare.