Est Jerusalem

Questa storia raccontata da Luca Sofri m’ha riportato al mio ricordo di Gerusalemme e a quello che scrissi appena ritornato qui. Sono strani giorni…

Bianca.
Bianca è la pietra di Gerusalemme. Città vecchia, downtown, Jaffah street. Porta di Damasco, spianata delle Moschee.
Bianca è Tel Aviv, e la mattina di polvere e caldo.
Passaport, “avete passaporto-carta d’ingresso?”.
Bianca è la faccia degli ebrei ortodossi sotto lo scafandro nero e i riccioli di barba. Foto, foto. No foto. Shalom
Bianca è la coperta di notti calde ed è bianca Giordana, che parla di sionismo e ci chiede: “Perché?” E poi ci da’ le risposte. Le sue.
Bianco è la salita verso la città antica. Bianco è il muro di sicurezza. Bianco, grigio. Separa la terra dalla terra. Una strada dal resto di una strada, una scuola dal resto di una scuola.
6.30 am: Wake up, wake up.
Bianco è il marmo e la doccia. Bianca, o quantomeno chiara la  maglietta.
Morbida e lunga la notte nel quartiere russo: fuck in ass, italian. Narghilè?
Ma è un istante.
Bianco è l’Ymca, il neon nel suk arabo. Bianca è la casa del mufti della Città Santa.
Bianca è la pietra del museo dello Yad Yashem.
Coroncina? Terrasanta? Twenty nis. Cinque dollari.
Bianca è la mattina in Moschea e Sinagoga. Bianco il giro intorno al Santo Sepolcro. Bianco il campanile.
Bianco il movimento, lo status quo. Muoversi è una regola. Chi non lo capisce, è perso. Bianca è la tomba di
Yitzak Rabin, la sua.

Nera.
Nera è la terra brulla dei beduini. Salam. Nera è l’ombra della Moschea delle pietre, dalla cupola d’oro. Neri gli altoparlanti del minareto. E la voce dei muezzin: allahu akbar, ašhadu an la ilah illa Allah..
Nera è la Muqqada e la keffiah a scacchi sulla tomba di Yasser Arafat. Neri i ragazzi di Ramallah.
Neri gli occhi della donna più bella del mondo: la ragazza soldato di un checkpoint verso i Territori. Diciannove anni, non di più. Orecchini e mitra.
“Passaporto? Ciao. Ciao”.
Nera è la casa bruciata ed esplosa. Neri i buchi sui corpi dei ragazzi uccisi a Nablus e gli occhi dei bambini malati di cuore. “Dobbiamo portarli via di qui, ma non hanno il passaporto”.
Nero è il cecchino sulla casa. Neri i computer. “Dobbiamo scrivere, è tardi. Cazzo”.  Dolci, le raffiche di mitra dalla vallata.
Nera è Betlemme e la Natività. Nera l’ombra del muro di separazione che divide vite da vite. Possibilità da speranze.
Nera è la tomba di Lea Rabin. La sua.
Nero il fango del Mar Morto, nero di notte è il ritorno e il buio di chi sa che ora è tutto diverso.

domande senza risposta

«Solo a una domanda non sapeva rispondere: perché, Signore, i bambini muoiono?» 
"L’Idiota" – Dostoevskij

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Stanotte ho avuto gli incubi e fatto sogni strani, agitati. Mi succede sempre quando vado a dormire con guai che mi frullano in testa. Evidentemente il mondo onirico compensa quello reale e viceversa. Il brutto è che, quando ti svegli, era tutto come l’avevi lasciato. Tragedie incluse.

born to 1977

Ci sarebbero un sacco di cose da dire. La più importante è che sono stato il protagonista di un film. No, non cronisti di strada. Una produzione di un fantomatico istituto Luce made in Naples. Il video si chiama "I baldi fiori del regime" e non lo troverete mai nè in edicola, nè in libreria. Però è fantastico. È una delle cose più belle mai viste. Compreso il regista.

Poi, per il resto:
– Ho la schiena a pezzi;
– Ho letto le recensioni, tutte buone, di Cronisti di strada. Idem gli ascolti (e chi l’avrebbe mai detto che mi sarei dovuto preoccupare dell’auditel?) La cosa mi coinvolge perché ho visto il lavoro di oltre un anno e mezzo, dei due autori, Paolo Santoni e Gianfranco Pannone. E perché è stato un lavoro onesto;
– Ah, ho compiuto trent’anni. Sono infatti nato il ventisettefebbraio del  millenovecentosettantasette.
– Ora, volendo ostinarmi a dire che ne ho 28+2, il giro di boa determina necessariamente una serie di riflessioni che, lo giuro, nella mia mente sono molto più struggenti di quanto io non riesca a scrivere qui.
Perché ci vuole una educazione sentimentale anche a scrivere e io, a botte di Iervolini e Bassolini, mi sa che questo galateo dei sentimenti, questa grazia nel porre le cose, questa sensibilità della carta e della penna l’ho persa (giuro che un poco ne avevo, ma pocopoco, per amici e parenti). 

Cerco di recuperarla scrivendo ma è difficile. Ho dei progetti (vedo ggente, faccio cose…[cit.]). Sarebbe bello poter raccontare la città, o almeno, qualche fattariello che conosco e capisco, in maniera sciolta, senza aver paura di dover piacere o di dover aderire al savianismo imperante. Purtroppo scrivere un libro è diventato per il 90% progetti, 9% culo e per l’1% il prodotto. Almeno per i dilettanti allo sbaraglio come me.
– Mi ha chiamato la segreteria di nanni moretti per un film. Ovviamente era uno scherzo (però il pasticciere troskista l’avrei interpretato, fosse sulo pe’ magnà…)

– Una manciata di giorni fa sono stato, per lavoro, a Bagnoli. Era un bel poco che io e Bagnoli ci chiamavamo a distanza.
Entra nel lavoro quotidiano del cronista di politica a Napoli, Bagnoli. Con le promesse dei politici e i soldi, le industrie dismesse e le case che, incredibilmente, la gente sta ristrutturando lungo tutta la costa: spera forse in una impennata dei prezzi quando i cantieri vomiteranno cemento e si alzeranno nuovi palazzi tra la terra e il mare, tra la Cala Badessa e il lungo molo che porta a  Nisida, tra il deposito di barche di manomozza e il costone friabile di coroglio. Ho fatto un sacco di foto, dopo aver visto altre foto sul web. I colori del  vecchio Lido Pola: c’è rimasta solo l’insegna di mattonelle bianche e arancioni. E poi l’amianto della Cementir, il capannone sconnesso ancora in piedi, quello rosso dell’Italsider dietro il filo spinato, metri e metri di verde e cemento accostati lì,  senza pudore l’uno affianco all’altro, senza filtri, senza mediazione umana, civile.