La crisi di EPolis: reazioni all’esterno

In questa paginetta ci sono tutte le solidarietà ricevute dalla redazione de Il Napoli. Alcune sollecitate, ovvio. Ma non come qualche maligno sostiene, “pilotate”. Molte sono sincere e lo dimostra l’attenzione delle ultime ore.
Qualcun altro sostiene invece che sbattersi così tanto per ottenere reazioni più o meno sdegnate non serve. E’ così? E’ forse meglio gettarsi nelle retrovie, aspettando tempi migliori? E’ forse meglio non urlare, non arrabbiarsi, non lottare? Io dico di no. E, da buon zapatista, agli uomini del silenzio, della pace forzata, dico: mejor la muerte que una paz tanto infame. Per poi attaccare col celebre Ezechiele 25.17

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Ma cosa succede ora, ad E Polis? La situazione è assai ingarbugliata, si parla sempre più insistentemente di stato di crisi e conseguente cassa integrazione, che non riguarderebbe dunque i contratti a tempo determinato. E poi, chissà. Una cessione da parte di Grauso ed un nuovo piano di rilancio, sostiene qualcuno. A Napoli, non avendo una redazione fisica, non possiamo nemmeno presidiare un luogo, come accade ad esempio agli amici di Brescia, Firenze, del Veneto, di Treviso.
Ci tocca guardare le agenzie, esser pronti e vigili e sperare. Sperare che da un momento all’altro qualcosa torni a dar senso a queste giornate che non sono nè di ferie, nè di lavoro (o meglio, non sono produttive). Qualche giorno fa, in audioconferenza ci siamo detti che dovevamo raccogliere le nostre email personali… semmai quelle E Polis cessino di funzionare da un momento all’altro.
Ed ho realizzato che quell’unicum telematico creato 8 mesi fa (le celebri email .sm San Marino) è sull’orlo di disgregarsi. Difficile da accettare se sei in telelavoro ed hai come interfaccia una mail, un software, un voip ed un cellulare. Ci si è spesso chiesti cos’accade ad un giornalista in telelavoro nell’ambito della produzione. Beh, penso che dopo il caso E Polis ci si dovrà domandare anche cosa accade ai giornalisti telelavoratori di una azienda in “crisi”. E’ una novità tutta da scrivere, questa.

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Oggi, tra incontri istituzional-solidali, redazionali e sindacali, c’è stato spazio per un siparietto.
Protagonisti: io e un amico, disoccupato organizzato e pluripregiudicato per vari reati ‘di strada’ e ‘di lotta’. Un giovanottone che ha mani pesanti come quelle di un orso polare e che sostanzialmente è nu bravo guaglione con una storia che farebbe piangere gli squali.

disoccupato: OOH
trad. (ciao, mi riconosci?)

io: OOOOH
trad. (ciao, ti ho riconosciuto)

disoccupato: ompà. ma che è stu fatt ro’ giurnal, stai a problem?
trad. (Sai, ho saputo della crisi societaria che attraversa il tuo attuale datore di lavoro, le mie informazioni sono corrette?)

io: Eh, mannaccia ‘o patatern
trad. (Beh, devo ammettere che hai ragione).

disoccupato: ompà. ma ch’amma fa, n’occupazion? Amma fa nu blocc, tu o ssaje, stamm a disposizion, aro’ amma venì?
trad. (In segno d’amicizia ti offro l’esperienza a mia disposizione per perorare la tua causa. Scegli tra occupazione di un sito, blocco stradale, ove dobbiamo ordunque recarci?)

io: Ompà, sta tutt ‘a Sardegn altrimenti foss stat ìo primm a scennere mmiez ‘a via
trad. (La sede dell’azienda è nella Regione Sardegna, altrimenti quest’idea sarebbe stata di indubbio valore).

disoccupato: uà che ciorta, embè nun ce sta n’ufficio cca che facimm l’occupazione oppure nu presidio?
trad. (Beh, è una congiuntura alquanto sfavorevole. Non esiste un referente locale con il quale interfacciarsi?)

io: No frà, stamm sul nuje e o compiuter
trad. (Ebbene no, la nostra interfaccia è il software sistema editoriale).

disoccupato: ompà. a prossima vota però fatt ra nu post aro stann e mast, perché accussì sai cu cchi te l’ja piglià
trad. (Permettimi un consiglio, la prossima volta verifica che vi sia un referente in loco con il quale interfacciarsi, secondo la mia esperienza è più pratico così)

io: Vabbuo’ statt bbuon
trad. (Ci penserò, ti porgo cordiali saluti a te e signora).

E Polis, cronaca delle sensazioni. Come dire: Houston, abbiamo un cazzo di problema.

Il titolo di questo post è “cronaca delle sensazioni”.

Perché per la cronaca degli eventi sarebbe necessaria una obiettività che attualmente non ho, nè voglio avere. Diciamoci tutto (Enzo Biagi dixit): la cosa più brutta della crisi economica con conseguente sospensione delle pubblicazioni di un giornale è il senso di smarrimento dei suoi redattori.
Non parlo solo di una questione economica (e pure lì, non vorrei essere nei panni di chi ha acceso dei mutui negli ultimi mesi) ma anche di un fatto squisitamente professionale. Roba per pochi, scusate lo snobismo: solo chi è stato notti intere con le dita inchiodate ad una tastiera, solo chi è stato giornate sane col gracchiare dello scanner nelle orecchie, solo chi è stato con temperature dai 10 ai 40 gradi fermo per ore ad aspettare chissa chi (un politico, un arrestato, un magistrato, un poliziotto) può capire quel senso di smarrimento.

E quel rumore netto, che via via si fa sempre più ritmico, come se il tic tac dei tasti stessi avesse già da solo qualcosa da comunicare al giornalista che scrive, impasta, taglia, incolla, crea, distrugge, suda o si soffia nel palmo per scaldarsi (quasi nessuno riesce a scrivere utilizzando il dito mignolo della mano che in date condizioni si ghiaccia letteralmente). Togli ad un giornalista tutto questo e gli avrai tolto autostima, capacità di comunicare, dignità e soprattutto gli avrai tolto quel sottile velo che lo difende – non sempre – dagli attacchi personali, dalle intimidazioni, dalle rappresaglie per aver rotto le balle a questo o quel miserabile di turno, sia esso il politico mariuolo o il camorrista di turno. Eduardo diceva che il teatro che comunica emozioni è gelo, io dico che questo mestiere è l’esatto contrario: dovrebbe comunicare notizie con obiettività, con “gelo”, appunto. E invece è passione allo stato puro, adrenalina. Nessun altro modo per descrivere la sensazione con la quale si approccia ad una notizia, ad un fatto importante, ad una “cosa solo tua” (volgarmente detta scoop).

Dunque, tutto questo succede – o succedeva ad E Polis, viale Trieste, Cagliari, Sardegna, Italia. Nelle redazioni dislocate lungo tutto lo stivale idem. E sui computer degli omini in telelavoro, come me, la frustrazione di non riuscire nemmeno ascoltare l’assemblea in audioconferenza perché trovi le linee occupate (ma che è un concorso a quiz?). E la mattina vuota di note avvenimenti dell’ansa da leggere e non utilizzare. Oggi la Fnsi in redazione, a Cagliari, poi assemblea, a Napoli ogni giorno stiamo cercando di coinvolgere qualcuno, mobilitare l’opinione pubblica estiva e indifferente, tra Roma e Milano frenetiche trattative – si dice – per salvare la baracca. La situazione societaria è efficacemente riassunta qui.

Per il resto, ecco il comunicato odierno. Come dire: Houston, abbiamo un cazzo di problema.

I rappresentanti della Fnsi e delle Associazioni regionali di stampa di Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Roma, Sardegna, Toscana e Veneto, al termine dell’assemblea di redazione tenutasi oggi a Cagliari nella sede del gruppo Epolis, che edita 15 testate in tutta Italia, hanno chiesto all’editore Nicola Grauso, assieme al Comitato di redazione, un incontro urgente da tenersi al massimo entro la fine di questa settimana. I 133 giornalisti del gruppo, che ha sospeso le pubblicazioni martedì scorso, sollecitano l’incontro, assieme al sindacato, per valutare l’esatta situazione dei conti dell’azienda, le cause che hanno portato alla sospensione delle pubblicazioni e le ipotesi di soluzione della grave crisi che l’editore intende mettere in atto per salvaguardare i posti di lavoro. Il sindacato è al fianco dei giornalisti di Epolis – si legge in una nota – “per sostenere un’iniziativa che possa risultare utile alla ripresa delle pubblicazioni, assicurare i livelli occupazionali e garantire i diritti materiali e morali di tutti i colleghi”.

La crisi E Polis vista da dentro.

– Stai bene?
– No amico, mai stato così lontano dallo stare bene.
(Pulp fiction)

Anzitutto una sola parola: grazie. In questi giorni difficili sono state tante le mail, tanti i messaggi di amicizia e solidarietà. Ma quanta gente legge questo blog? Io non l’avevo mica intuito il potere di questo piccolo spazio.
Poi, una piccola premessa, per tutti quelli che hanno detto, stanno dicendo e diranno: “L’avevo detto”. Rispondo che bisogna viverle, le cose, per capirle.

Difatti non riuscirò a spiegare esattamente perché E Polis il gruppo editoriale per il quale lavoro (redattore politico de Il Napoli) attraversa una profonda crisi economico-societaria sfociata ieri nel blocco delle pubblicazioni che durerà almeno fino a quando non saranno ripianati i debiti tra la società di Nicola Grauso e lo stampatore (Gruppo Seregni). Quel che dicono i giornali (anzi più che altro i siti web, perché sugli altri quotidiani la vicenda è pressoché ignorata, tranne che per Il Roma, l’Unità e il Manifesto) non è di certo tutta la verità.

Posso però dare testimonianza viva di quanto accade a me, redattore assunto a tempo inteterminato col gruppo E Polis nelle ultime ore.

Innegabile è lo smarrimento, la rabbia per lo stop ad un giornale che in soli 8 mesi (Il Napoli è nato il 6 dicembre 2006) è riuscito a ritagliarsi un posto nel panorama informativo cittadino. Lo dimostrano i tanti attestati di solidarietà giunti in queste ore e non solo da parte di politici, associazioni, magistrati, ma anche da tante donne e uomini che hanno apprezzato la qualità della nostra informazione.
Ci sarebbe molto da dire su chi bolla la free press come carta straccia, foglio infarcito di pubblicità quant’altro. Ma non voglio mettermi certo ora ad “incensare” un progetto editoriale che rischia di lasciarmi in mezzo ad una strada.

Stiamo giocando una partita sindacale delicatissima ancor più per Napoli, dove la disoccupazione è su livelli record in Europa in tutte le categorie, ancor più nel saturo comparto giornalistico che in Campania sforna ogni anno centinaia di professionisti – anche di ottimo livello – provenienti dalle scuole di specializzazione post-universitarie.
Il futuro? Labile come la fiamma di una candela esposta ai quattro venti. Però si va avanti, consapevoli del fatto che la mancanza di uno strumento, il giornale, al tempo stesso responsabilità e tutela del giornalista, qui all’ombra del Vesuvio, terreno di camorra e di infiltrazioni malavitose ad ogni livello, causerà non pochi problemi. Abbiamo attaccato duro, abbiamo dato fastidio quanto più potevamo. E ora, senza giornale, siamo guerrieri sguarniti perfino di quella spada di carta. Scoperti ad ogni tipo di rappresaglia, intelligenti pauca.

Per il resto, ovviamente brucia non avere la quotidiana “dose” di pagine da sfornare, di cose da dire. So bene che una volta esaurita la pur utile e affettuosa solidarietà, se le cose non andranno come si spera, verranno i periodi dell’oblìo, dello scoramento. Spero di non arrivarci. Comunque sia, i progetti sono tantissimi, le cose da fare anche, la voglia di farle ancor di più.
Del resto, siamo o non siamo cronisti di strada?

Telelavoro, ma non troppo…

La notizia, non poteva non suscitare perplessità, in specialmodo in un telelavoratore come me. Anche se credo che in questo caso si tratti di un inaccettabile eccesso.

Il direttore del Pasadena Now, un sito web di informazione sulla città californiana, ha assunto due cronisti che lavorano in India per seguire il Consiglio comunale – ‘’Costano molto meno’’ e copriranno le sedute via internet (via lsdi.it).

È a questo che ci stiamo avvicinando? Ad una progressiva perdita d’identità del giornalismo come cronaca dei fatti che hai visto, sentito, capito, “toccato”? Il motto del New York Times è “all the news that fit to print”. Dobbiamo pensare che le notizie che vale la pena di pubblicare possano anche non essere necessariamente quelle vissute, capite, comprese?

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Sempre Lsdi.it, propone un interessantissimo studio a cura del Comitato di Redazione Rcs Periodici, sui freelance. Vale la pena leggerlo fino in fondo.

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Mentre in Italia le edicole danno addosso alla free press, additata quasi quasi come nemica dei giornalai per la gratuità del suo prodotto (peggio ancora se di livello qualitativo alto), in Danimarca nasce una nuova free press che sarà distribuita direttamente in 500mila case. Se ne parla al congresso dell’Associazione mondiale dei giornali. Anche qui la sensazione è che l’Italia sia anni luce indietro.

Telelavoro

Da giornalista-deskista, faccio una cosa che per la stragrande maggioranza dei miei colleghi è una cosa nuova: il telelavoro. Cioè: mi collego ad un server centrale sul quale risiede il software che utilizzo, nella fattispecie software editoriale e così monto una pagina, la scrivo, la titolo. Negli otto anni precedenti, salvo un periodo da figlio di nessuno, di abusivo (ovvero appestato, cioè non puoi entrare in redazione altrimenti loro passano i guai e così scrivi da casa a spese tue al 100 %) ho sempre lavorato avendo una redazione come punto di appoggio fisico.

Vabbè, tutta sta tiritera per tracciare un piccolo bilancio:

Cose buone del telelavoro

1. Pranzo (o almeno la cena) ad orari accettabili.
2. La privacy del tuo computer coi cazzi tuoi dentro, senza che nessuno mette becco.
3. Non ci sono colleghi cagacazzi che non hai voglia di vedere e che sei costretto a vedere
4. Eventuali porcate redazionali ti appaiono attutite, ammorbidite.
5. Se ti fanno male i piedi, ti metti i calzerotti con l’orsacchiotto e nessuno ti rompe le palle.
6. Se piove la sera non hai il problema che ti sei scordato l’ombrello.
7. Se hai il wireless, puoi scrivere pure da un letto a baldacchino.
9. Ti responsabilizza enormemente sulla fattura del prodotto.
10. Non c’è il fottuto collega che ti ruba le penne dalla scrivania.

Cose cattive del telelavoro

1. Se fai l’errore di mangiare prima di aver finito il lavoro, ti strafoghi come un suino berbero.
2. Avrai pure il tuo computer ma cazzo, consumi la tua bolletta enel.
3. Non puoi fare i gavettoni il 15 agosto in redazione, nè provare l’ebbrezza di un omicidio a mezzanotte
4. Le dinamiche redazionali sono lontane, fai più fatica a capire cosa succede
5. Non chiami più il bar per il caffè ma devi fartelo tu (eccheppalle).
6. Quando scendi, devi tornare a casa. Che è sempre più lontana in qualsiasi posto tu vada.
7. Non puoi più stringere nuove amicizie interne all’azienda, o almeno è più difficile.
9. Con 2 telefoni cellulari, 1 telefono fisso, 1 skype, 2 mail ti esaurisci forte.
10. Non ti arriva più la strenna di Natale e di Pasqua!