Il voto secondo Saviano (giusto per farsi due risate, eh)

Se l’industria di una nota bibita osserva una flessione nella vendita del suo prodotto cosa fa immediatamente?
Semplice: una campagna pubblicitaria.

Fatta la premessa, scrivo di una cosa che non c’entra nulla con quella precedente (altrimenti poi le aziende di note bibite si offendono). L’ineffabile Roberto Saviano ha parlato. Il Verbo si è palesato oltreoceano, attraverso il Time.
In sintesi, il Nostro denuncia una cosa agghiacciante: «la mafia si compra i voti» (omioddio!). E come fa? Lui l’ha scoperto: ti danno un telefonino fuori il seggio, tu fotografi la scheda col cellulare e se hai fatto il tuo dovere ti puoi tenere il telefono, del valore di circa 75 dollari.
Due considerazioni al volo: la prima è che come al solito Saviano arriva tardi. La vicenda dei telefonini è di qualche secolo fa. E probabilmente è anche superata: 75 dollari a voto non sono convenienti, Savià. Devono costare molto meno, i voti. La seconda è dalla bocca del Nostro è scomparsa la parola camorra. Ora parla di mafia. Giustamente, rivolgendosi al pubblico internazionale, ci vuole una organizzazione conosciuta in tutto il mondo.
Altrimenti, queste note bibite come le vendiamo?

Ps: avete visto la prima puntata de “La Nuova Squadra“, fiction di Raitre? Rispetta in pieno i canoni del savianismo, no?

Agonia ed estasi, Del Prete e Maniscalco: città senza memoria

Collegare Caos calmo alla munnezza di Napoli era quasi un’impresa impossibile. Ci è riuscito Newsweek con un bel zuppone sull’emergenza partenopea, condito dai soliti luoghi comuni, tuttavia confermati da una drammatica realtà. E vabbè. Noi poveri cronisti della provincia del cassonetto continuiamo a zappare.

Oggi, sei anni fa, moriva Federico Del Prete. A E Polis abbiamo scelto di ricordarlo. E di sottolineare il fatto che Napoli ha completamente dimenticato il sindacalista dei venditori ambulanti ucciso dalla camorra, al pari di un Peppino Impastato o di un Placido Rizzotto. Eppure da Napoli, grazie a Federico Del Prete partì la protesta nel mercatino del Bronx di Taverna del Ferro contro la camorra che voleva denaro dai bancarellai abusivi. Del Prete trovò la morte tra Mondragone e Casal di Principe ma la sua storia anticamorra iniziò a Napoli. Che, ovviamente, dimentica.

Così come ha dimenticato Fabio Maniscalco, di cui ho già parlato qualche giorno fa. La scorsa settimana in Consiglio comunale nemmeno una commemorazione per un uomo eccezionale. Dov’è l’estasi di Napoli di cui parla Newsweek non lo so davvero. So pero’ qual è l’agonia.

Ancora sulla manifestazione anticamorra a Casal di Principe

Se minacciano di toglierti la vita a causa dell’impegno anticamorra, che devi fare? Devi chiedere la scorta, sperando che arrivi. E poi, da chi bisogna guardarsi? Io dico non solo dai camorristi, ma anche dalle strumentalizzazioni. Oggi ho letto le dichiarazioni di Franco Roberti, coordinatore della direzione distrettuale antimafia di Napoli sulle perplessità circa la partecipazione dello scrittore Roberto Saviano alla parata anticamorra in terra casalese. Roberti dice una cosa che ho già letto da qualche parte: «non servono eroi o martiri». Perchè rischiare la vita di un uomo – che secondo le forze dell’ordine è dichiaratamente in pericolo – soltanto per imbastire la solita passerella? Che spreco.

Ps: oggi in libreria ho adocchiato questo libro, "Napoli assediata", Pironti editore. Devo ancora leggerlo ma sembra bello. Sono racconti di vari scrittori, tra i quali Giuseppe Montesano, Peppe Lanzetta e lo stesso Saviano. Un itinerario artistico, attraverso l’Asse Mediano, terribile cascata d’asfalto che collega Napoli e i comuni dell’area Nord. Tra l’altro vedo che tra i racconti ce n’è uno di Piero Sorrentino. Se è la stessa persona che conosco io, sono davvero contento.

Il Savianismo e la lotta alla camorra

update 23 agosto: Daniela Lepore di Decidiamo Insieme, in questo post commenta le mie misere considerazioni sul Saviano nazionale. Oh, le opinioni sono opinioni. Però mi permetto di dissentire su un fatto. Lei definisce «una pretesa un po’ eccessiva (e una critica un po’ pretestuosa)» la mia provocazione nel chiedere all’eroe anti clan un ritorno in patria, scorta e motivi di sicurezza permettendo (voglio dire, se a Napoli ci viene il Papa che avrà più nemici di Saviano, significa che un minimo di sicurezza gliela garantiranno…). Dico io, lo stesso Marco Lombardi nel pezzo di qualche giorno fa su Repubblica parla della necessità per Napoli «riabbracciare al più presto Saviano». Il ragazzo, Saviano. Facciamo che quest’abbraccio avvenga non in una sala della Regione o del Comune o della Procura, ma in mezzo ai guaglioni di cui tanto il Nostro ha parlato e da cui tanto ha preso per il suo best seller.
La verità è che da Napoli tutti (o meglio, tutti i furbi) prendono. E che, una volta preso, il frutto sono solo montagne di merda contro chi ci combatte ogni giorno e che quasi quasi passa per un filocamorrista soltanto se muove critiche contro l’impero che si muove dietro Saviano.

Anzitutto, mi dispiace per il titolo del post. Bisognava pur condensare uno stato di rabbia. E mi dispiace aver scritto di Roberto Saviano in 1 post su due: non ce l’ho con lui e considero anzi degno di assoluta stima il suo impegno letterario. Ma bisognerà pure rispondere.
Parto da una considerazione: a Decidiamo Insieme, il movimento dell’ex maestro di strada e candidato a sindaco Marco Rossi-Doria (che ho seguito da giornalista durante le ultime Amministrative a Napoli) piace il termine Savianismo. Rossi-Doria cita il termine Savianismo qui , riportando un articolo di oggi pubblicato su Repubblica. In estrema sintesi quest’articolo sostiene che criticare il giovane Saviano, scrittore di un bestseller, Gomorra, «voce della coscienza» minacciato dalla camorra e bandiera della lotta alla criminalità è da «oziosi incapaci e invidiosi»; tipico di persone dalle «miserie immaginative».
Ok. Mi hanno iscritto al partito degli antiSaviano, voluto da qualcuno che evidentemente ci guadagna nella contrapposizione bianco-nero. Volevo postare un commento al pezzo riportato sul blog di Rossi-Doria; tecnicamente non ci riesco. Lo metto qui. E non ne parlo più. Forse.

Gentile Rossi-Doria,
sono abituato a chiedermi il perché d’ogni cosa. Per questo, ogni volta che vedo il mio coetaneo Roberto Saviano in prima pagina (ed è quasi sempre sul glorioso Espresso) mi chiedo il perché. Le risposte non riguardano sempre la libertà di cronaca, la lotta anticamorra, la libertà d’espressione. Mi chiedo il perché di una foto in prima pagina tra due uomini di scorta, pistola in pugno; il perché di un dito indice puntato su una città intera; il perché della costruzione d’un pulpito ad inviti. Gli “abilitati a parlare” sono soltanto coloro che di questa città sanno poco e nulla o quelli che scambiano il diritto di critica con l’invidia del mediocre. Altro che ‘mille culure’: Napoli è dieci, centomila cose tutte insieme. Perché devo leggere “voi dov’eravate?” e non devo dire dove cazzo ero? Sarò drastico: penso che per fare una domanda simile occorra avere qualcosa alle spalle che valga più di un bello e vendutissimo romanzo. Perché devo leggere che la mia critica è quasi automaticamente tradotta in filocamorrismo? Quel che ho definito Savianismo è niente di più e niente di meno che il ragionamento parallelo di chi dice “è tutta camorra, è tutto uno schifo”. Eh no, così non va. C’è il diritto di attaccare un ibrido tra romanzo e reportage che non cita le fonti; c’è il diritto di arrabbiarsi se il ruolo civile di Saviano a Napoli non esiste. Invece io penso che uno scrittore così esposto debba esercitarlo, fi-si-ca-men-te. Costi quel che costi. Facile fare i discorsi su gennaro ‘o boss e pasquale ‘o camurrista parlando alla platea di attempati signori torinesi. Iniziamolo a fare con 15 ragazzi di Ponticelli o del Cavone. E vediamo se le risposte sono così bianco-nero come chi difende il Savianismo a spada tratta continua a ritenere.

La Bernardini e il Savianismo

Stamattina, sfogliando Repubblica, il solito quarto di pubblicità a colori sul nuovo numero de l’Espresso. Apertura a Roberto Saviano: “Io, condannato a morte”. Belle foto di Mario Spada. Saviano avrà avuto che so, 5-6 aperture dell’Espresso da quando è uscito Gomorra. Un nuovo Rushdie per la cultura europea, un nuovo Giovanni Falcone o Paolo Borsellino per lo sprezzo del pericolo con il quale porta avanti la sua battaglia di legalità.
Queste ultime due frasi non le penso io, sono quello che sento dire, più o meno. Anche perché quello che penso non ha molta importanza: parlano le copie vendute, le scorte, le interviste, il clamore. Parla uno dei principali settimanali italiani che col gruppo editoriale concorrente si divide il giovane di belle speranze Saviano.
Ma perché il collegamento con Rita Bernardini, o meglio con quello che la segretaria dei Radicali sostiene (si parla sempre più il dialetto napoletano nei locali romani, quindi c’è infiltrazione camorristica) ? In quest’anno si è sviluppata una nuova corrente di pensiero (beh, più che nuova è direi ciclica), il Savianismo. Ovvero l’accusa verso un sistema (quello camorristico) che diventa indiscriminata accusa verso una generazione; un dito indice comodamente puntato («e voi, dov’eravate?») su un piedistallo costruito e reso accessibile da altri. Perché m’incazzo con Roberto Saviano, perchè mi faccio il sangue amaro leggendo che nell’ultima intervista-monologo sull’Espresso parla di “questione meridionale” quasi fosse il salvatore della Patria? Eppure non ho nulla contro di lui. Ho comprato Gomorra e il libricino del Corriere, continuerò a comprare i suoi libri. Ma grazie anche a lui ora è così facile, per una Bernardini qualunque, sentire parlar napoletano in un locale di Roma e dire che per quel motivo lì sono tutti in odore di camorra.