Sequestro e risarcimento: cosa ha deciso il giudice per Il Casalese oggi

Attendevamo con ansia un verdetto, ci è arrivato un qualcosa che non è un verdetto ma non è nemmeno una condanna. Insomma, il giudice che aveva in mano il destino de Il Casalese e doveva stabilire se accettare o no (con il criterio dell’urgenza ex articolo 700) il sequestro e la distruzione del libro-inchiesta di 9 giornalisti su Nicola Cosentino, richiesta avanzata dal fratello del parlamentare Pdl, Giovanni, ha scelto di non decidere.

Per cui il giudizio, sarà ripreso da una Sezione ordinaria del Tribunale di Napoli in quanto il giudice Anna Giorgia Carbone, accogliendo la prima delle contestazioni mosse dalla difesa della casa editrice, si è dichiarata incompetente. Era accaduto, infatti, che i legali dell’industriale Giovanni Cosentino si fossero rivolti impropriamente alla Sezione Specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Sarà, dunque, una Sezione ordinaria a dover esaminare il secondo motivo della opposizione dell’editore alla procedura di urgenza.

Significa tre cose:
la prima è che oggi – fortunatamente – non sarà nè sequestrato nè distrutto il libro;
la seconda è che non è assolutamente scartata questa ipotesi: dovrà deciderlo un altro giudice;
la terza è che resta la richiesta di risarcimento da 1,2 milioni di euro.

Il Casalese e il contagocce. Verso l’udienza sul sequestro

Domani, martedì 24, saremo di nuovo al Tribunale di Napoli per sapere cosa ne sarà de Il Casalese. Su questo libro pende una richiesta di sequestro e distruzione delle copie sul mercato più una richiesta di risarcimento danni, intentata da Giovanni Cosentino, fratello del più noto Nicola, pari a 1,2 milioni di euro.

Il giudice è chiamato a valutare solo la richiesta di sequestro e distruzione e spero lo faccia, spero non vi siano ulteriori rinvii: si tratta di una procedura d’urgenza – voluta dai Cosentino – e stavolta speriamo di avere una sentenza. Andare in giro a raccontare del libro sta diventando una esperienza strana: sembra di avere  il contagocce in mano e dover prosciugare un oceano. Ad ogni incontro, presentazione, dibattito, si arriva ad un punto in cui qualcuno dice “quindi questa potrebbe essere l’ultima volta che lo presentate, vero?”. Sì, sembra assurdo ma potrebbe essere l’ultima volta. E lo dico oggi, nella giornata mondiale del libro.

Giornalismi e la filosofia del rifiuto di Ennio Flaiano

Di questi tempi leggerla o rileggerla fa benissimo.

 

Agire come Bartleby lo scrivano. Preferire sempre di no. Non rispondere a inchieste, rifiutare interviste, non firmare manifesti, perché tutto viene utilizzato contro di te, in una società che è chiaramente contro la libertà dell’individuo e favorisce però il malgoverno, la malavita, la mafia, la camorra, la partitocrazia, che ostacola la ricerca scientifica, la cultura, una sana vita universitaria, dominata dalla Burocrazia, dalla polizia, dalla ricerca della menzogna, dalla tribù, dagli stregoni della tribù, dagli arruffoni, dai meridionali scalatori, dai settentrionali discesisti, dai centrali centripeti, dalla Chiesa, dai servi, dai miserabili, dagli avidi di potere a qualsiasi livello, dai convertiti, dagli invertiti, dai reduci, dai mutilati, dagli elettrici, dai gasisti, dagli studenti bocciati, dai pornografi, truffatori, mistificatori, autori ed editori.

Rifiutarsi, ma senza specificare la ragione del tuo rifiuto, perché anche questa verrebbe distorta, annessa, utilizzata. Rispondere: no. Non cedere alle lusinghe della televisione. Non farti crescere i capelli, perché questo segno esterno ti classifica e la tua azione può essere neutralizzata in base a questo segno. Non cantare, perché le tue canzoni piacciono e vengono annesse. Non preferire l’amore alla guerra, perché anche l’amore è un invito alla lotta. Non preferire niente. Non adunarti con quelli che la pensano come te, migliaia di no isolati sono più efficaci di milioni di no in gruppo.

Ogni gruppo può essere colpito, annesso, utilizzato, strumentalizzato. Alle urne metti la tua scheda bianca sulla quale avrai scritto: No. Sarà un modo segreto di contarci. Un No deve salire dal profondo e spaventare quelli del Sì. I quali si chiederanno che cosa non viene apprezzato nel loro ottimismo.

Ennio Flaiano dal “Diario degli errori”, 1967

 

Oggi è morto Totò

La prima pagina del Paese Sera con la morte di Totò

 

L’anniversario della morte di Totò, morto nel 1967, cade il 15 aprile. Questo è il ricordo, commovente, che Eduardo De Filippo fece dalle pagine del ‘Paese Sera’, storico quotidiano comunista nato nel 1948 e chiuso negli anni Novanta. Eduardo fu amico di Totò, lo testimoniano numerose attestazioni di fiducia e affetto, anche alcune belle fotografie. Quando il Principe della Risata se ne andò, il drammaturgo volle affidare un suo ricordo alla penna. Ne uscì qualcosa di puro, antico, di vero e schietto. Un ricordo pubblico perché quello privato, scrisse Eduardo, lo tengo per me.

 

«Erano più colorate le strade di Napoli, più ricche di bancarelle improvvisate di chioschi di acquaioli, più affollate di gente aperta al sorriso allora, quando alle dieci di mattina le attraversavo a passo lesto avevo quattordici anni per trovarmi puntuale al teatro Orfeo, un piccolo, tetro, e lurido locale periferico, dove, in un bugigattolo di camerino dalle pareti gonfie di umidità, per fare quattro chiacchiere tra uno spettacolo e l’altro, mi aspettava un mio compagno sedicenne che lavorava là…

Oggi è morto Totò. E io, quattordicenne di nuovo, a passo lento risalgo la via Chiaia, e giù per il Rettifilo, attraverso piazza Ferrovia. Entro per la porta del palcoscenico di quello sporco locale che a me pare bello e sontuoso, raggiungo il camerino, mi siedo e mentre aspetto ascolto a distanza la sua voce, le note della misera orchestrina che lo accompagna e l’uragano di applausi che parte da quella platea esigente e implacabile a ogni gesto, ogni salto, ogni contorsione, ogni ammiccamento del “guitto”. Do un’occhiata attorno; il fracchettino verde, striminzito, è lì appeso a un chiodo: accanto c’è quello nero. Quello rosso glielo vedrò indosso tra poco, quando avrà terminato il suo numero. I ridicoli cappellini… A bacchetta, a tondino… e nero, marrone, e grigio… sono tutti allineati sulla parete di fronte. ..Manca il tubino: lo vedrò tra poco. Il bastoncino di bambù non c’è: lo avrà portato in scena. E lì, sulla tavoletta del trucco? Cosa c’è in quel pacchetto fatto con la carta di giornale? È la merenda, pane e frittata. E la miserabile musica continua, e la sua voce diventa via via ansiosa di trasportare altrove quella orchestrina, di moltiplicarla. Dal bugigattolo dove mi trovo non mi è dato vederlo lavorare, ma di sentirlo e immaginarlo com’è, come io lo vedo come vorrei che lo vedessero gli altri. Non come una curiosità da teatro, ma come una luce che miracolosamente assume le fattezze di una creatura irreale che ha facoltà di rompere, spezzettare e far cadere a terra i suoi gesti e raccoglierli poi per ricomporli di nuovo, e assomigliare a tutti noi, e che va e viene, viene e va, e poi torna sulla Luna da dove è disceso.

Ora sono travolgenti gli applausi e le grida di entusiasmo di quel pubblico: il numero è finito. Un rumore di passi lenti e stanchi si avvicina, la porticina del bugigattolo viene spinta dall’esterno. Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: ” Edua’, stai cca’! ” E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa».

Eduardo De Filippo – dal Paese Sera del 1967