L’ultima copia del Casalese. Ecco chi e perché non vuole questo libro

 

Dice Antonio Menna (che è un amico e di querele pure lui ne capisce): tranquillo, tempo due giorni e resti tu e l’avvocato. Sorrido e penso che mi è già successo. Anzi mi è successo di peggio: avevo una serie di querele e richieste di risarcimento, il giornale è fallito e me la sono dovuta spicciare da solo. Fortunatamente qui siamo in nove. E l’avvocato non ha intenzione di scappare (almeno per ora e ha già letto tutte le carte).

Però ci tengo a dire un grazie, grande, a tutti. So che esiste l’attivismo virtuale e un twit, un like non si negano a nessuno. Io però sono abituato a ringraziare per tutte le manifestazioni di sostegno. E non mi sottrarrò, oggi, a questa regola.
Non sono – non siamo – soli. Oggi ne ha scritto anche lo spagnolo El Mundo.

C’è solo da fare molto tam-tam in rete per tenere alta l’attenzione. Far notare questa vicenda de “Il Casalese” la  maxi richiesta di risarcimento da 1,2 milioni più ritiro dal mercato e distruzione di tutte le copie del libro che nell’idea di Giovanni Cosentino, fratello del potente parlamentare PdL Nicola Cosentino,  è il modo per chiudere definitivamente la storia del primo libro che narra le gesta di questo importante, controverso personaggio.
Che poi, ci pensi? Facciamo che il prossimo 5 aprile il giudice davvero decide di far sparire “Il Casalese” dalle librerie. Che fanno? Lo portano al macero? A me a questo punto piacerebbe dargli fuoco. Vedere la fiamma purificatrice e tutt’intorno i supporter, i fedelissimi, di Nick ‘o mericano che applaudono. Scene da Fahrenheit 451.

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Sono stato in casa editrice qualche giorno fa. Ho degli amici che  lavorano in Mondadori, dice che lì c’è un delizioso parco con animali assortiti.   Cento Autori è a Villaricca, popoloso comune al confine fra il Napoletano e l’entroterra Casertano. L’editore non fa (solo) l’editore: ha una farmacia. Sapendo come curare i mali del corpo voleva giustamente imparare a curare  quelli dello spirito: ha provato a farlo coi libri. Non è un editore ricco né potente, eppure si è imbarcato in quest’avventura con entusiasmo, sapeva che sarebbero potuti esserci problemi. Che, puntualmente, si sono verificati.

C’è una linea di confine tra la legittima richiesta di rettifica o anche di risarcimento e l’aggressione legale. Un milione e 200mila euro più la distruzione del libro è una richiesta che fa pendere forte la bilancia sulla seconda opzione. Qualcuno ha sconfinato e non siamo stati noi autori di questo libro, realizzato coi crismi dell’inchiesta giornalistica, consultando atti, articoli scritti nel corso di questi anni, fonti politiche, giudiziarie, economiche.

Oggi c’è stata la conferenza stampa all’Ordine dei Giornalisti della Campania.
Mi piaceva battagliare, mi è sempre piaciuto. Ma c’è stato, oggi, un preciso momento di sconforto.  Ad un certo punto ho pensato che non avrei mai potuto scrivere nulla senza confrontarmi con l’idea che un avvocato potrà poi chiedermi, anche senza alcun reale motivo, milioni d’euro, trascinandomi in una diatriba legale non voluta, non cercata, né nelle intenzioni né nella scrittura. Come quando ti costringono a litigare. Beh, ti tocca vincere se non vuoi prenderle forte: se uno ti costringe a litigare è pieno d’odio.

È successo che abbiamo parlato e che alla fine di tutto un signore con gli occhiali scuri si è alzato : sono l’avvocato di Cosentino. E ha parlato, agitandosi molto, forse era nervoso anche lui, non dev’essere facile venire a cercare la questione in casa altrui. E noi eravamo nella nostra casa all’Ordine dei giornalisti.
Noi continuiamo questo lungo viaggio che chiamavamo libertà di stampa (e scusate il libero adattamento).  Ci sono tutta una serie di questioni aperte: petizione on-line; conferenza stampa giovedì alla Fnsi; presentazioni, tante.  Poi tentare di far acquistare il libro a quante più persone è possibile.

Già (e chiudo) : ma voi ospitereste un libro del genere?
Quello che segue è l’incipit di una lettera che i destinatari hanno inteso render pubblica: si ospitava una presentazione de Il Casalese e gli avvocati hanno così scritto:

Le scriviamo in nome e per conto di Giovanni Cosentino, per renderevi noto che nei confronti del libro Il Casalese, che apprendiamo verra’ presentato presso la sede della Vostra Galleria, e’ stata gia’ depositata presso il Tribunale di Napoli, sezione proprieta’ industriale ed intellettuale, una richiesta ex articolo 700 c.p.c.di sequestro del manoscritto, date le numerose false informazioni gravemente diffamatorie in esso contenute e riguardanti la onorabilita’ e professionalita’ del nostro assistito […]

Il problema è che a tutt’oggi nessun giudice ha mai ritenuto Il Casalese un libro contenente false informazioni, diffamatorie, eccetera.
Ecco, io ho paura che qualcuno, per dire, si spaventi e decida di non presentare più il Casalese. O di non esporlo più in libreria. Per questo c’è bisogno dell’aiuto di tutti, oggi più che mai.

 

 

 

Chi e perché vuole 1,2 milioni di risarcimento per il libro “Il Casalese”

«Mi ci romperò la testa – disse a voce alta»
Il giorno della civetta – Leonardo Sciascia

 

Stamattina un tir ha deciso, bontà sua, di venirci addosso in autostrada. Qualche ora più tardi, invece, è stata resa nota  la notizia della maxi-richiesta di risarcimento danni (1,2 milioni di euro) contro editore e stampatore del libro “Il Casalese” che mi vede fra gli autori. Alla richiesta di risarcimento se ne aggiunge un’altra: ritiro dal commercio e distruzione di tutte le copie del volume non ancora vendute.

Le due cose si somigliano paurosamente. Due spaventi, due sproporzioni. Ma sono ottimista. Prima di tutto perché sono vivo (e vista la botta in autostrada non era scontato).

I legali di Giovanni Cosentino, fratello del protagonista di questo libro, ovvero il deputato della Repubblica Nicola, potente ex sottosegretario all’Economia ed ex coordinatore del Popolo delle Libertà in Campania, hanno preso di mira  il frutto di un lavoro giornalistico mai tentato finora in Campania (e ora abbiamo capito anche perché): l’analisi a tutto tondo della figura di uno fra i più potenti politici del Sud Italia negli ultimi quindici anni. Un personaggio dal peso rilevante,  sul cui capo pendono accuse per camorra e il cui arresto è stato fermato solo dal voto della Camera dei Deputati.

Sostanzialmente Cosentino (il fratello) ritiene che il libro abbia un «intento denigratorio» tale da far affermare coscientemente il falso ai giornalisti che l’hanno scritto. Nella richiesta di distruzione e risarcimento si citano una serie di vicende raccontate ne “Il Casalese”: vicende rispetto alle quali gli autori dei capitoli in questione sono pronti a confrontarsi e lo faranno, pubblicamente.

Due spaventi, dicevo. Ma non ho spiegato perché sono ottimista sulla seconda vicenda: perché l’angoscia che lorsignori possono arrecarci con fiumi d’atti giudiziari e risarcimenti milionari  è in parte compensata dalle tante domande durante le presentazioni, dalle mail dei ragazzi, dall’interesse verso quella che –  dotti medici e sapienti se ne facciano una ragione – è semplicemente un’inchiesta giornalistica.  Spero che quest’interesse cresca.

Già: nessuno di noi ha la presunzione di poter parare tutti i colpi che arrivano (e arriveranno). Per questo motivo mi (ci) scuserete se oggi anziché raccontare la notizia, la notizia siamo noi, i giornalisti autori del Casalese. E ci scuserete se chiediamo attenzione sulla nostra vicenda. Consapevoli del giusto diritto di chiunque a veder rettificati errori lesivi della propria dignità e reputazione, al tempo stesso altrettanto coscienti dell’onesto e diligente lavoro di documentazione e scrittura intorno a questo libro, non certo operazione commerciale né politica, visto che a editarlo è una piccola casa editrice di Villaricca, popoloso comune alla periferia Nord di Napoli, a cavallo fra il capoluogo  e il Casertano.

Ci scuseranno anche gli amanti dell’anticamorra-spettacolo: non siamo abituati, abbiamo fatto solo i giornalisti. Ma in Italia da giornalista a imputato il passo è breve, troppo breve.

 

Un giorno tutto questo studiare dai manuali di giornalismo (forse) ti sarà utile

Come tutti i cronisti che non hanno frequentato master post laurea o scuole di giornalismo, nutro profonda ammirazione verso coloro i quali riescono a spiegare cose che io sono riuscito a imparare solo guardandole, comprendendole e imitandole (meglio o peggio non sta a me dirlo). Dunque i manuali di giornalismo e di scrittura sono la mia passione. Ne ho molti. Dal Murialdi al Papuzzi a quelli di Sergio Lepri e Furio Colombo. Insieme ai manuali ci sono poi tantissimi libri sul mestiere che andrebbero letti: quelli che raccontano l’esperienza (uno su tutti “Parola di giornalista” di Vittorio Zucconi) o quelli scritti da giornalisti. Mi viene in mente un solo nome su tutti: Oriana Fallaci.

La premessa è per dire che non ce l’ho coi manuali. Li leggo e voglio trovarci risposte alle domande. Ho sfogliato il nuovo manuale di giornalismo Laterza, autori Alessandro Barbano e Vincenzo Sassu; il testo è per ammissione degli stessi autori destinato agli studenti dei master in giornalismo e delle scuole di scrittura. È stato mandato in stampa nel febbraio 2012. Sembra un particolare di poco conto ma a me interessa, ora spiego perché.

Il tomo affronta la «crisi delle aziende editoriali e la transizione verso il mercato delle nuove piattaforme digitali» e si vanta d’essere «il primo manuale di giornalismo che tiene conto della scrittura giornalistica e dell’organizzazione del lavoro nell’era dell’integrazione tra modello cartaceo e modello virtuale». Lo sfoglio. A parte quello di cui mi aspetto si parli (come si fanno i titoli, le varie tecniche d’intervista) scorro alla ricerca della deontologia professionale. E quel che temo si rivela realtà. Nell’analisi del “caso italiano”, non trovo quello che per me avrebbe fatto la differenza. Lo cerco alla voce “etica”. Niente.

Di cosa si tratta? D’un minimo accenno all’ultima nata tra le carte deontologiche dell’Ordine dei Giornalisti: la Carta di Firenze. Quella varata allo scopo di sanzionare chi nelle redazioni (faccio l’esempio più banale) si rivela complice di un editore che non paga e/o sfrutta i suoi collaboratori. La Carta di Firenze, nata nell’ottobre 2011, è attiva dal gennaio di quest’anno.

Basta questa mancanza (omissione o disattenzione, magari ce lo diranno gli autori) a fare del manuale in questione un cattivo libro? Ovviamente no. Ma la storia fornisce l’opportunità per una discussione sulla struttura di questo tipo di libri. È ovvio che un manuale non ti insegna a fare il giornalista, il chirurgo o il prestigiatore. Alla base teorica occorre necessariamente associare pratica ed esperienza e tutta una serie di specializzazioni. Tuttavia mi chiedo: è giusto consegnare a un aspirante giornalista dei testi di base che prescindano totalmente dalla questione lavorativa? Le tutele che ha il cronista nella difesa della sua retribuzione sono inutili nella formazione? È giusto o no fornire solo una impostazione teorica? È più importante parlare della penny press o del fatto che c’è una carta deontologica, uno strumento (buono, cattivo, efficace, inefficace non sta al manuale stabilirlo ma è suo dovere documentarlo) a tutela del giornalista?

Io sono convinto che retribuzione e qualità del giornalismo sono strettamente legati. O crediamo davvero che guadagnare tre euro ad articolo garantisca la libertà d’un cronista? Quel pezzo vale tanto quanto lo si è pagato. E non perché il giornalista abbia un metro e un’etica diversa a seconda di quanto lo si paga, ma semplicemente perché retribuirlo tre, cinque, sei euro significa non dargli la possibilità di documentare, telefonare, passare 5-6 ore a curare lo sviluppo di una news senza che questo non rappresenti un’operazione a perdere.

Ora capite perché è conveniente per molti sbandierare le foto di Woodward e Bernstein, di Enzo Biagi e Indro Montanelli? Perché nel mito della “stampa, bellezza” venduto a scopo di lucro sguazzano certe scuole di giornalismo (a pagamento), certi corsi specialistici (a pagamento) certe arrembanti riviste che urlano al Watergate e poi finiscono a farti scrivere (gratis) dei fattarielli del loro consigliere comunale di riferimento. Io quella famosa frase la riscriverei: «È la stampa, bellezza. Sì ma tu non fare il pollo».

Per concludere. Se un manuale vuole fornire «un sapere teorico-pratico integrato per chi voglia operare sulla carta stampata, sul radio-televisivo e sulle diverse piattaforme digitali presenti in Rete» deve cambiare approccio. Se un master post laurea vuole formare i giornalisti, deve cambiare approccio. L’esigenza accademica, questo lo comprendo, non può prevedere la trattazione del solo fatto singolo (la vertenza, il licenziamento, una crisi aziendale). Ma è da contestare questo modello di preparazione al giornalismo cui importa poco e niente di calarsi nella sua realtà di riferimento. Anche a causa di questo modello abbiamo gli allegri inconsapevoli “masterizzati”, con tesserino che escono da scuola e pensano: «tutto mi è dovuto». Arrivano nel mercato saturo, drogato, incredibilmente falsato, del giornalismo italiano e si dicono: «Dove ho sbagliato?».

Non hanno sbagliato niente loro. Semmai hanno sbagliato quelli che gli hanno dato la patente.

 

Il Quotidiano dei Giovani che non paga (e il ministero che c’entra?

Ci sono decine, centinaia di annunci del genere su siti internet, sulle riviste specializzate, volantini stradali. Perfino nei Google Adsense di questo blog (ma io vi avverto: non vi fidate!). Giornali che promettono la sfolgorante carriera del giornalista in cambio di tempo, lavoro e serietà. E la loro serietà qual è? Non pagare. Ecco, non esiste gavetta più stupida di questa, fatta così è inutile, oggi.
Il caso in questione merita attenzione. Il “Quotidiano Giovani”  che non conoscevo finora, offre lavoro. Lavoro per modo di dire. Ecco di che si tratta:

 Si richiede reale interesse per la partecipazione al progetto, desiderio di crescere insieme alla testata dedicando, al di là del tempo, reale impegno e serietà. Si offre la possibilità di partecipare ad un progetto giovane, dinamico e ambizioso, e di fare esperienza in quella che vuole essere anche una palestra per aspiranti giornalisti con l’opportunità di  conseguire  i requisiti necessari al tesserino da pubblicista.  

 

Di retribuzione manco l’ombra.
Cari amici, colleghi, aspiranti tali. Diffidate da chi in cambio del vostro lavoro, seppur agli inizi di questa professione, vuole offrirvi “il tesserino” facendovi lavorare gratis. Primo perché non è detto che ci riusciate, ad ottenerlo. Secondo perché un titolo così (ammesso che i pubblicisti di qui a qualche mese continuino ad esistere) non serve a nulla.
C’è poi un’altra cosa che inquieta  e non solo me, ma anche Luca, il collega che ha sollevato per primo la questione: perché questo sito ha in bella evidenza un banner della Presidenza del Consiglio, dipartimento della Gioventù (prima guidato da Giorgia Meloni, oggi delega affidata al ministro Andrea Riccardi)?
In che modo il ministero partecipa alla realizzazione di questa pubblicazione? Sarebbe  quanto meno spiacevole sapere che una rivista con questo tipo di vaghe (uso un eufemismo) proposte lavorative c’entri qualcosa con Palazzo Chigi.