Giornalista, un factotum di qualità: le scuole italiane e quelle americane

La scuola di giornalismo della Columbia University mette in campo un corso per avvicinare la figura del giornalista a quella del programmatore informatico, una sorta di “ingegnere dell’informazione”. Di seguito un ottimo report dell’Ansa sull’argomento:

Roma, 8 aprile 2010.  Il termine multimedialità non basta più. Le redazioni del futuro puntano a cronisti interdisciplinari in grado di padroneggiare con la stessa abilità giornalismo e informatica spinta: a raccogliere questa sfida, per prima, è la Columbia University che lancia dal 2011 un corso di laurea che ha l’ambizione di abbattere la barriera tra redattori e professionisti delle tecnologie. «Il Dipartimento di Information Technology mette a punto software che i giornalisti non usano, i giornalisti chiedono software non realizzabili dal punto di vista informatico. Vogliamo formare una nuova generazione di professionisti in grado di capire entrambi i settori», ha spiegato a Wired.com. Julia Hirschberg, professore di informatica presso la Columbia Fu Foundation School di Ingegneria e Scienze applicate. La prima tornata di candidature verrà accettata a partire da questo autunno, saranno 15 i partecipanti ammessi a questo corso che si spinge decisamente più in là rispetto a quelli di giornalismo multimediale e social media, con cui oramai scuole e università hanno sintonizzato i loro programmi alla realtà costantemente online in cui siamo immersi. Questo programma interdisciplinare prevede due semestri presso la Scuola di Giornalismo della Columbia e tre alla Scuola di Ingegneria e Scienze Applicate, sempre dell’università newyorkese. Tra i moduli di ricerca in cui si cimenteranno professori e studenti, c’è quello che riguarda il giornalismo automatizzato (individuare attività di routine da affidare alle tecnologie per liberare tempo utile ad approfondimento, interviste e scrittura); ma anche la ‘visualizzazione dei datì, con cui si raccontano le notizie soprattutto in tv (schermi sempre più grandi e processori più veloci). C’è pure il modulo ‘analisi approfondita dei datì, sepolti in rete e nei database (per sintetizzare «i dati grezzi ma rilevanti» presenti anche su Twitter). C’è poi un corso che cercherà di individuare una nuova architettura di trasferimento notizie ai dispositivi mobili come i cellulari; un altro che mira, grazie all’invenzione di un software, a ‘fiutarè notizie come epidemie e catastrofi a volte tenute volutamente basse; un altro ancora, ‘digital trust’, aiuta a distinguere nel marasma del web, sempre con l’uso delle tecnologie, le notizie più accurate. «Alcuni studenti che escono dalle scuole superiori o dalle università hanno delle abilità tecniche, ma il loro raggio d’azione si ferma alla capacità di utilizzare Wikipedia, Facebook, Gmail o alimentare siti web», ha sottolineato il professor Bill Grueskin, decano della Columbia School of Journalism a Wired online. «Ci auguriamo e ci aspettiamo – ha aggiunto – che i laureati di questo corso siano in grado di innovare di più e creare soluzioni di business così disperatamente urgenti nel settore dell’editoria». (ANSA).

Di seguito, la parte relativa ai computer e all’informatica del  Master biennale di I livello in Giornalismo dell’Istituto universitario di Napoli Suor Orsola Benincasa (ho scelto questo ma potevo tranquillamente prenderne un altro):

La redazione è divisa in un’area per le postazioni computer (che sono 37, collegate con internet, con il server del sistema editoriale che genera il giornale del master, e con le stampanti di rete), in un aula per le lezioni frontali e le videoproiezioni

Al  2009 in Italia sono attive 17 scuole di giornalismo che ogni due anni sfornano 451 praticanti giornalisti che dopo l’esame di Stato diventano professionisti.

Mica tutti alla Scuola Elettra

La Voce.info pubblica un interessante (seppur con qualche limite) identikit degli amministratori locali della Lega Nord.

I leghisti, rispetto agli altri sindaci del Nord, si segnalano per la minore presenza di donne (6,7 per cento contro 9,4 per cento), per una maggiore presenza di giovani (età media di 46 anni contro 48) e per un maggiore livello di istruzione (14 anni di studio contro 13). Si noti che tutte queste differenze (e le altre citate di seguito) sono statisticamente significative a un livello di confidenza del 5 per cento o dell’1 per cento a seconda dei casi.  Mentre emerge l’immagine di una classe politica giovane, non sembra confermata la vulgata per cui la classe dirigente leghista è rozza e meno istruita. Non è del tutto confermata, infatti, neanche la fotografia che emerge dalla classe parlamentare leghista. Anche lì, la Lega si segnala per una minore presenza di donne e una maggiore presenza di giovani, ma il livello medio d’istruzione dei parlamentari leghisti è minore rispetto a quello dei loro colleghi di altri partiti. Se si guarda all’evoluzione nel tempo di queste caratteristiche, inoltre, si nota come le tendenze di cui sopra si stiano un po’ attenuando. Dopo il 1999, è aumentata la presenza di donne leghiste (come testimoniato anche dalla recente inchiesta giornalistica di Cristina Giudici).  Ed è aumentata l’età media dei sindaci leghisti, per un fenomeno naturale per cui giovani che si erano affacciati alla politica grazie alla Lega nel corso degli anni Novanta hanno poi consolidato le loro posizioni di potere nelle istituzioni e nel partito. […]

Il rischio di restare sempre accesi: la redazione pubblica e la qualità delle notizie

Clark Hoyt, il public editor del New York Times, ovvero il “garante dei lettori”, scrive un lungo e bell’intervento sui rischi per il giornalista sempre on-line. Dall’esperimento di “redazione pubblica” ripresa dalle telecamere e trasmessa in tempo reale sul sito del Nyt nella sezione Times Cast, fino ai tanti account twitter dei reporter Nyt (c’è perfino quello per i necrologi) fino ad altri social media, è tutto un fiorire di iniziative.
Però, dice Hoyt, qualche incidente di percorso fa pensare che questa strada non è immune da rischi. Insomma, avrai pure più visibilità e fornirai anche informazione tempestiva, ma tutto a discapito dell’accuratezza e della precisione.

But several stumbles in the past few weeks have demonstrated some of the risks for a print culture built on careful reporting, layers of editing and time for reflection as it moves onto platforms where speed is everything and attitude sometimes trumps values like accuracy and restraint.

Hoyt fa tanti esempi: imprecisioni dovute alla brevità di twitter o alla mancanza di elementi sufficienti per una valutazione, ad esempio nella riunione di redazione. Spesso i dubbi del reporter si diradano nel corso della giornata e quando deve scrivere il pezzo ha raggiunto un certo grado di accuratezza. Sui social (e in riunione di redazione poi!) non è sempre possibile. Di qui, il consiglio del public editor.

The technology may be new, the speed faster, the culture different, but in journalism, the old rules still apply: be skeptical, check it out.

Rossi Doria, eppur m’ero scordato di te. Cosa hai fatto? Non so

Marco Rossi Doria è il maestro di strada che con una sua lista alle passate elezioni comunali di Napoli, nonostante un battage mediatico degno di miglior causa raggranellò nientepocodimeno che il 3,46% dei voti; 18mila preferenze. Così poco da non garantire nemmeno per se stesso la presenza in Consiglio comunale. Dopo la clamorosa sconfitta, il cui minimo risultato fu possibile solo grazie al nucleo di appassionati attivisti che coinvolse,  unico valore aggiunto di quell’esperienza da candidato della domenica, Rossi Doria continuò a bacchettare per qualche tempo dalle colonne di importanti giornali cittadini. Poi scomparve.
Certo, uno dice che deve si pensare a sfangare la giornata e non è che ci si può occupare sempre e solo di politica comunale napoletana. Ok, giusto. Fatto sta però che ‘o prufessore dalle colonne di qualche autorevole giornale cittadino ora si veste da salvatore del centrosinistra e propone le primarie per le Comunali 2011. Giusto che dica tutto ciò che vuole, meno giusto è che dopo cinque anni di silenzio, intervallato da qualche bacchettata qui e lì, Rossi Doria torni con la grazia di un lottatore di sumo sulla politica napoletana. Ambire a governare una città significa starci dentro, ai problemi. Pure se costa “perdite di tempo” di cinque anni.  Si parla malissimo dei politici napoletani, a ragion veduta. Ma almeno quelli, nei grandi partiti, fanno la gavetta sul territorio, prima di ambire a governare una città. Rossi Doria no, lui ha fatto il corso accelerato da sindaco.
Quasi quasi me lo faccio prestare, così mi candido anch’io.