Cosa succede in città (ai giornalisti)

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In Germania sono passato sulla Normannenstraße, per il museo della Stasi. Un palazzone ministeriale come tanti a Berlino. Dentro, un’esposizione dei gingilli da spia: il bottone-microfono, la penna 007 e lo strumento di tortura. Eppure il controllo, il tentativo di governare con la paura, per decenni è stato affidato  ad un materiale ben più “docile” e conosciuto: la carta. Quintali, tonnellate di carta dattiloscritta. Tizio va a fare, a dire, parla con Caio. Le vite degli altri lo spiega bene.

Questo probabilmente c’entra non poco la rabbia che  mi è venuta sapendo di una  amica e collega giornalista,  come Giuliana Covella, finire schedata nel dossier del Cau, il collettivo autorganizzato universitario di sinistra, un documento chiamato “No Casapound”, tutto centrato sui protagonisti della vicenda che per mesi ha visto giocare agli anni Settanta, nel cuore di Napoli, al rione Materdei, un gruppetto di giovani di destra e uno di sinistra. Solidarietà dagli enti di categoria, Ordine dei Giornalisti e Associazione della Stampa, poi però resta la rabbia di un pensiero a senso unico: probabilmente se fosse accaduto ad una firma eletta dell’antiberlusconismo militante si sarebbero mossi i social network in massa. Qui c’è solo una precaria  di trent’anni.

Stesso discorso per Alessandro Migliaccio, che un anno fa venne schiaffeggiato dal capo della Polizia Municipale di Napoli, Luigi Sementa. Un anno dopo, il risultato è trovarsi al punto di partenza, con un processo che stenta a partire. Dover incassare il silenzio del Comune di Napoli. Dover fare appello alla Procura affinchè si muova qualcosa, si faccia giustizia.

In entrambi i casi la solidarietà di Ordine e sindacato c’è stata. Ma, a malincuore, ho visto pochi colleghi interessarsi a queste vicende. Non li  biasimo, ma individuo in questo disinteresse a Napoli uno schifato distacco dai fatti della nostra professione.
Potremmo, dovremmo, io dico, fare qualcosa per riavvicinarci tutti.