Social amicizia

Alla fine, non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”
Martin Luther King
(grazie a Giulio Cavalli per la frase).

Dice che una società ne vende a pacchetti, di amici da Facebook. Massimo Gramellini sulla Stampa scrive che è l’uovo di Colombo: da sempre l’amicizia di massa «è soggetta alle regole della convenienza». Si compra, insomma.

Correva l’anno 1994 e la Smemoranda gialla era (ed è ancora) per me l’elemento attraverso il quale, avevo quindici anni, ho prodotto le riflessioni più approfondite sull’argomento. Anche allora gli amici li compravi più o meno con la sicurezza che solo le spalle forti di qualcun altro ti danno. Ma non ne voglio fare un dramma, poi le cose sono andate avanti e via via facce che si sono susseguite.

La memoria ha selezionato per me i momenti più strani delle persone: di un amico ricordi di quando ha comunicato a tutti di voler entrare in polizia, io invece ricordo, che so, l’elastico che teneva i suoi capelli lunghi.

Il social network degli anni Ottanta era il diario di scuola: ad un certo punto lo passavi a tutti gli amici e ricevevi i loro diari per scriverci impressioni, far disegni. Io ero gettonatissimo. Per scrivere; non necessariamente è un bene a quindici anni.
Hai presente quando le cose si imbrogliano? Dovevi sbrogliare una corda dai nodi e te la cavavi più o meno egregiamente, poi le corde diventano tre, cinque, venti, cinquanta. E il tempo non c’è, non c’è il tempo di seguire ogni singola corda da capo a coda. Così finisci per scegliere le corde meno annodate e le altre le tagli. Le guardi lì – eri affezionato – ma che puoi farci?

Scriveva Lucio Dalla sulla Smemo e io avrei capito solo anni dopo:
Amici e nemici nella stessa mano.
Divisi ma nella stessa mano, uniti dall’aria del mondo nel sole e nella pioggia nella stessa stanza, a un tiro di sputo a sentirsi il respiro, a guardarsi nell’occhio per occhio anche da chilometri lontano. Amici nemici dov’è che andiamo.

Oggi le mille corde dei rapporti si sono evolute, sono diventate cavi Usb, quelli del computer. Sono più corti e sono più o meno uguali, i cavi del computer. Tranne che per capo e coda. Lì devi stare attento: ognuno va in un modo e se non lo rispetti guai, eh, non funziona più nulla. Ed è inutile che ci litighi, coi cavi del computer, non t’ascoltano proprio. E invece come mi piace litigare.

Vedi? Funziona che non c’è da spiegare così tanto: se non va ci si perde e basta. Si sfronda l’albero – ‘che tanto in primavera fiorisce – ma ogni primavera che passa è un poco di meno. Ivano Fossati mi suggerisce dal 1994 che bisogna parlare, io sono arrivato a sostenere che non bisogna farlo, piuttosto bisognerebbe aver la forza d’ascoltare. Alla fine forse è meglio comprare amici a pacchi, illudersi non che siano amici, ma che quelli non acquistati col 3×2, reali, scalpitanti, problematici, e litigiosi, aggressivi e scontenti e divertenti e volgari, lamentosi, irresistibili, ubriachi e noiosi, si comportino allo stesso modo del pacchetto social: tranquillità e poche pretese.

Concludendo il saccheggio dai Novanta, come quello che per farsi grande salì sulle spalle del gigante, la riscrivo per la centesima volta: Stefano Benni che tu sia benedetto.

Mellonta Tauta
Di aver sperato
non mi vergogno

né di sperare
Chico
non credo alle scritte
enormi dei palchi
credo alla carne
da tatuare
Alba.
Amici comuni

recensiscon sconfitte

Notte.
Di nuovo il suono

di calci di fucile

che sfondano porte
Rosa.
E poi
siamo soli
lasciate il mondo

alla fine
alle ruspe
ai re della droga
ai pipistrellia
chi tradisce
gli amici

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *